Il ministro dell'Interno Piantedosi è stato ieri in Prefettura a Torino dopo avere visitato i cantieri di San Didero blindati dalle forze dell'ordine. Il ministro delle Infrastrutture, l'altro giorno, ha punzecchiato il presidente francese Macron sul rischio che la Francia attivi la tratta nazionale di collegamento con il nuovo tunnel del Fréjus soltanto nel 2045. Non se ne può più.
La nuova linea ferroviaria Torino-Lione è una delle infrastrutture più controverse in Italia. Sappiamo che cosa è successo nel corso degli anni, frutto incrociato di una maldestra comunicazione istituzionale all’inizio del progetto, furbizie politiche, ideologia. Fino agli scontri fisici violenti in Valle di Susa e alle opposte piazze, favorevoli e contrarie: a Torino come sui giornali e sui media in genere. Per non parlare di che cosa accade regolarmente sui social e sui siti degli antagonisti.
Le deturpazioni
Va aggiunto anche che la Valle di Susa ha subìto nel tempo più deturpazioni. Dai domicili coatti all'autostrada A32 del Frejus, terminata nel 1994, che ha dei tratti veramente orrendi con i suoi piloni a violentare la bellezza del paesaggio. Ma molte obiezioni vennero compensate - e zittite - con tanti soldi.
La Emi - Editrice missionaria italiana - ha mandato in libreria “Prendiamoci cura della casa comune” a cura del Gruppo Cattolici per la Vita - no Tav veraci - con tanto di prefazione del comboniano Alex Zanotelli. In 165 pagine, con bibliografia e linkografia, viene letta in trasparenza l’enciclica «Laudato si» di Papa Francesco. Va letto, raccogliendo l'invito di un dibattito onesto. C’è bisogno di ragionare con pacatezza su questi temi, senza deragliare subito nella voce alta o nelle accuse reciproche che non consentono di proseguire nel confronto. Io, per esempio, con alcune creature - anche amici di vecchia data - vengo subito apostrofato come pennivendolo mainstream, per dire. E si blocca tutto lì. Anzi, non inizia neppure.
Detto questo, che la dice lunga su come in Italia siamo maestri nel non saper gestire con intelligenza il conflitto, agli oppositori cattolici del Tav mi sento di rivolgere qualche considerazione e qualche dubbio.
- Sono rimasto deluso. Fate riferimento all'enciclica di Bergoglio, a legittimi richiami evangelici, all'urgenza di contrastare il climate change. Ma non dedicate una parola una per condannare la violenza delle manifestazioni. C'è una narrazione che non mi convince: sembrate martiri manganellati e assaltati da uno Stato di polizia, con la Bibbia in mano e il catastrofismo vittimista di chi sostiene che i corridoi europei servono principalmente per trasportare armi. O siete scollati dalla realtà o siete ambigui: portate pazienza, ma non credo al discorso degli infiltrati a vostra insaputa.
- Di sicuro siete persone animate da ottime intenzioni, ma la cura della casa comune parte dal rifiuto netto della violenza, da qualunque parte arrivi. Se siete seri, vigilate su questo aspetto, sennò come si fa a ragionare? Mettete in piedi un servizio d'ordine e impedite ai violenti (anche quelli della Valle di Susa, che sicuramente ben conoscete) di contaminare le vostre idee. Oppure, fate un educational tour dove esiste effettivamente uno Stato di polizia, come in Iran, e poi ne riparliamo. I lavoratori colpiti dagli assalti o le forze dell'ordine che debbono presidiare i cantieri (tra partentesi: che paghiamo noi contribuenti, come pure tutti i danni) sono servi del potere che meritano molotov addosso? La violenza è inaccettabile a prescindere.
- Mi chiedo che idea abbiate della democrazia e della casa comune. Se un'opera viene varata e decisa, come una legge, a un certo punto va accettata. Ci sono stati molti cambiamenti nel progetto, in meglio, raccogliendo le istanze dei Comuni. La questione è che ormai la nuova linea si farà e non la si potrà far saltare in aria o sabotare. Semmai si dovrà - ed è auspicabile - discutere su come sistemare al meglio la tratta nazionale (che collegherà l'imbocco del nuovo tunnel con la rete ad alta velocità). E ancora: è evangelica la logica «Nimby»?
- Voi sostenete che non è così, invece il fatto che non si muova foglia per protestare contro la seconda canna autostradale del Fréjus (che porterà più traffico su gomma) mi lascia molto perplesso. Sembrano pesi e misure molto diversi (in chiave «Laudato sì», beninteso).
- La nuova opera porterà lavoro in Valle di Susa, almeno mille posti nei prossimi anni. Ma voi dite che non va bene, che sulla bilancia vanno messi altri pesi, che gli investimenti vanno orientati su altre urgenze. Non mi convincete, mi dispiace.
Il caso Crozet
La ricerca del bene per la «casa comune» è un compito difficile, che va perseguito con tenacia. Forse anche ai cattolici no-Tav sfuggono degli elementi. Vedono complotti ovunque. Ve ne segnalo uno. Citate come guru indipendente l'economista francese dei Trasporti Yves Crozet, docente all'Università di Lione, assoldato come consulente dalla Corte dei conti europea. Il professore, in realtà, presiede il think tank della principale lobby francese (l’Union routière de France, ndr) che federa gli attori della mobilità stradale (società autostradali, industriali, petrolieri) la cui prevenzione nei confronti di una infrastruttura come la Lione-Torino, progettata per consentire il trasferimento modale e merci dalla strada alla ferrovia (camion e container su ferro, ndr) è facilmente comprensibile.
Il cambiamento auspicabile
Ho portato recentemente i miei studenti dello IED a visitare i cantieri di Chiomonte. Sono rimasti stupefatti dall'incontrare giovani professionisti attenti all'ambiente appassionarsi nel raccontare il loro lavoro. Avevano una idea del Tav - altro che informazione main stream - come di un luogo dove si stava devastando la natura e facendo nulla per una corretta comprensione dei fatti. Ha dunque ragione l'esortazione del volume: «Prendiamoci cura della casa comune».
C'è da sperare che qualcosi cambi, anche se la protesta - cattolici a parte (che sono poi una parte di cattolici, perché non credo che tutti i cattolici la pensino così) - si è ormai molto radicalizzata. Potrebbe essere un segnale importante che proprio in Valle di Susa nascesse qualche esperimento di dialogo aperto e schietto. Ci si riuscirà?
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