Il suo nome resterà legato indissolubilmente alla nuova linea ferroviaria Torino-Lione. Mario Virano, architetto e direttore generale di Telt dal 2015, è scomparso a 79 anni - ancora giovane si dice oggi nell'inverno demografico - tra il cordoglio unanime. Era un punto di riferimento e certamente non un gerontocrate. Il cordoglio dei suoi più stretti collaboratori la dice lunga. Ricordano "l'uomo del dialogo" e le parole che amava ripetere: «Bisogna sempre misurarsi con il rovescio delle cose, con il proprio contrario».

Mediatore, su una delle opere infrastrutturali in Italia, lo è stato. Venne individuato da Gianni Letta come presidente dell'Osservatorio tecnico sulla Torino-Lione dopo i gravissimi scontri del 2005 a Venaus, peraltro innescati dal governo Berlusconi che male impostò il dialogo con la popolazione valsusina. Da allora, per una decina d'anni, lavoro di cesello con i sindaci del territorio e le istituzioni arrivando a modificare il progetto e inserendo elementi di confronto sul modello francese. Ne pagò conseguenze anche sul piano personale, blindato e sotto scorta per le continue minacce delle ali estreme del movimento no-Tav.

Poi, nel 2015, salì sulla tolda di comando della società italo-francese incaricata di costruire la tratta internazionale. Ha contribuito a costruire un team giovane e motivato, unendo culture professionali diverse. E stato sempre nel mirino dei no-Tav, che sui loro siti hanno personalizzato lo scontro, creando addirittura una sezione, «Il cantiere di Virano». Curioso, che un sessantottino convinto (nato nel 1944, era nel collettivo di Architettura a Torino, vicino al Pci di Diego Novelli in cui poi si è impegnato attivamente anche per i progetti urbanistici), sia stato bollato come uomo delle peggiori lobby finanziarie di potere.

L'ho conosciuto bene, Mario Virano, da quando aveva preso in mano l'Osservatorio. Ricordo lunghe conversazioni nel suo studio nel centro di Torino, in cui alternava alla lucidità oggettiva sui problemi, la cultura artistica e una sottile ironia. «Ho fatto il Sessantotto e me ne intendo di guerriglia urbana, e pensano di spaventarmi?», mi diceva con un mezzo sorriso pregandomi di non riportare la battuta nell'intervista. Mai una sbavatura nelle polemiche, sempre un occhio di riguardo alla sua squadra, ai suoi collaboratori più giovani. «Ricco di una profonda cultura umanista, aveva il gusto dell'innovazione, della sperimentazione, della ricerca di soluzioni nuove, di progetti pensati per i cittadini e la loro quotidianità», ricorda Piero Fassino.

Quando un personaggio se ne va c'è sempre il rischio della beatificazione e penso proprio che a lui non piacerebbe. Ci siamo scambiati ancora qualche mail nelle scorse settimane, sempre dandoci del lei. Così come in tante visite sui cantieri in Italia o in Francia. Mi mancherà. Ogni sua esperienza professionale - anche sulla tolda di comando dell'autostrada del Frejus - non veniva rinnegata, ma era un tassello da cui trarre qualche lezione. In chiave di sostenibilità, anche: perché - se si va a guardare bene - la Torino-Lione è molto avanti su questo fronte, ben di più di quello che fu l'autostrada dagli orrendi piloni in mezzo alla valle di Susa.

Sobrietà subalpina, insomma, che adesso lascia in eredità alle generazioni più giovani. Forse è questo il suo ultimo contributo per la nuova linea ferroviaria ad alta capacità tra Torino e Lione. Farsi da parte, in modo che gli ultimi irriducibili (e anacronistici) contestatori, non possano più "personalizzare" scontro alcuno. Bisognerà ricordarlo per questa energica pacatezza civica, di cui hanno un enorme bisogno sia la politica sia l'economia.