I-Fast, indicatore congiunturale del Centro Einaudi, continua a migliorare
La congiuntura italiana non si fa intimidire da due guerre vicine e mette a segno un altro piccolo progresso. L’indicatore I-Fast, che il Centro Einaudi costruisce sulla base di serie storiche disponibili frequentemente, progredisce e si dirige verso la parte positiva del grafico. Ricordiamo come esso è costruito: esso aggrega il sentiment e le aspettative delle imprese italiane su una serie di variabili correlate con la variazione futura del Pil. La sua scala di misura va da -3 volte a +3 volte la deviazione standard dell’aggregato rispetto alla media mobile a 12 mesi.
Un valore positivo indica aspettative migliori e un consensus migliore di quello medio dei precedenti dodici mesi. Come si vede dalla figura, nel passato I-Fast ha mostrato capacità di anticipare l’andamento futuro dei tassi di crescita tendenziali del Pil italiano. Nel secondo trimestre del 2022 I-Fast era sceso sotto la linea di zero, anticipando il declino del ciclo produttivo di breve termine. Ricordiamo che nel secondo trimestre del 2022 l’Italia era entrata nella crisi energetica conseguente alla guerra in Ucraina. Il punto più basso dell’indicatore è stato toccato nel terzo trimestre del 2023, al quale sono seguiti due trimestri (l’ultimo del 2023 e il primo del 2024) di forte recupero. Il valore adesso è 0, ma rispetto allo stesso periodo del 2023 il miglioramento è di 0,55 deviazioni standard, tanto da far pensare che non solo la recessione è stata scongiurata, ma anche che la ripresa sia, pur faticosamente, in corso.
Figura 1 – Indicatore sintetico congiunturale I-Fast (scala sinistra) e variazioni percentuali tendenziali del Pil italiano (scala destra)
Ma di che tipo di ripresa parliamo?
Guardando dentro le variazioni di alcune delle costituenti di I-Fast, si tratta di una ripresa più in potenza che già compiutamente espressa. L’indice che riguarda i livelli produttivi non si sono infatti mossi verso l’alto, mentre si sono mossi gli ordini, sia dei beni strumentali che dei beni di consumo, e perfino gli ordini dall’estero. Siccome gli ordini precedono la produzione, ci attendiamo che nei prossimi mesi volgano all’insù anche gli indicatori della produzione e questo dovrebbe assicurare all’Italia di navigare nel 2024 con un certo margine di sicurezza.
Figura 2 – Variazioni assolute congiunturali (ultimo trimestre sul trimestre precedente) di alcune componenti dell’indicatore I-Fast. La scala indica le d.s. (deviazioni standard) dalla media mobile annuale.
Le previsioni di crescita per il 2024 sono molto basse. Potrebbe andare meglio
Il punto è che su una crescita del tasso di variazione del Pil nel 2024 non c’è accordo neppure tra gli istituti di previsione e il governo. Se il 2023 è finito con l’1 per cento di espansione, come si concilia il miglioramento degli indicatori congiunturali con le previsioni? Tutte le previsioni si aggirano intorno al valore di +0,7%, che però appare più basso della crescita del 2023. Anche Bankitalia prevede nel 2024 un aumento dell’ordine dello 0,6 per cento nel 2024, per tornare al +1,0 per cento nel 2025 e infine accelerare all’1,2 per cento solo nel 2026.
Molti previsori però hanno sbagliato negli ultimi anni, prima esagerando la stabilità della ripresa del 2022 e poi esagerando l’impatto del rialzo dei tassi di interesse nel 2023. E’ realmente diventato complicato fare previsioni, perché le imprese sono diventate assai più veloci che in passato a reagire agli stimoli. Questa può essere una chiave di lettura. In secondo luogo, stiamo forse sottovalutando alcuni elementi dell’economia nazionale che stanno giocando in chiave espansiva, ma che non sono perfettamente compresi.
Alcuni fattori della resistenza dell’economia italiana
C’è in primo luogo la questione dell’occupazione. Non solo sono aumentati sorprendentemente gli occupati, +362 milia da gennaio 2023 a gennaio 2024, ma è anche cresciuto il tasso di occupazione. La percentuale di lavoratori dipendenti aumenta e il lavoro precario (e indipendente) sta diminuendo. E’ vero che se l’occupazione cresce di una volta e mezza la crescita del Pil, si stanno aggiungendo all’economia posti di lavoro a produttività decrescente. Questo succede se la composizione della nuova occupazione privilegia i settori nei quali la produttività può crescere poco, in via strutturale, come quello del turismo, ma d’altra parte l’aumento dei redditi da lavoro rende comunque la congiuntura più resistente alle fluttuazioni cicliche.
C’è in secondo luogo la questione delle scorte. Quando i tassi di crescita sono inferiori all’unità, la dinamica delle scorte può determinare il risultato. Nel 2023 le scorte sono scese parecchio. Se non ci fosse stato un decumulo di scorte, la variazione del Pil italiano nel 2023 sarebbe stata di +2,5 punti percentuali e non di +1. La pressione al ribasso delle scorte, pari a -1,5 punti, non può essere infinita, perché ha limiti di tipo fisico e finanziario. L’esaurimento delle scorte in eccesso contribuirà dunque all’espansione della produzione nel 2024.
Competitività Globale: L’Italia supera Francia e Germania nel potere di acquisto dell’export
Un’altra qualità, mutata a poco poco, dell’economia italiana, è la competitività delle esportazioni, relativamente meno correlate con la domanda dell’Europa centrale e più distribuite globalmente. Nel 2022 le esportazioni sono servite a pagare le importazioni di gas a prezzo maggiorato, senza radicare un progresso macroeconomico nella bilancia commerciale. Nel 2023 la domanda estera netta ha invece contributo per +0,3 punti alla crescita del Pil e non è affatto detto che il 2024 segni un peggioramento. Da osservare che nel 2019 la domanda estera netta contribuiva da sola per mezzo punto percentuale di aumento del Pil. Adesso, questo non si vede per via dell’espansione dei consumi di importazione, accelerati dall’aumento degli occupati, dall’inflazione, e anche dalla politica fiscale espansiva di bilancio pubblico.
Prima o poi proprio quest’ultima dovrà cambiare, perché le nuove regole del Patto di stabilità europeo comporteranno l’avvio di una procedura per disavanzo eccessivo, pressoché certamente. Quando questo avverrà, probabilmente nel 2025, la competitività delle esportazioni potrà venire utile a compensare l’inevitabile stretta interna di natura fiscale.
Chiudiamo la riflessione proprio con questo ragionamento. L’indicatore che suggeriamo di osservare è il tasso reale effettivo di cambio, che esprime l’import che ogni paese può comprare con le proprie esportazioni. L’Italia con un valore di 98 supera di 13 punti sia la Francia, sia la Germania, pur essendo accomunata nel destino europeo di un peggioramento tendenziale e lento delle ragioni di scambio, dovuto alla sua dipendenza energetica dalle fonti primarie importate. Il potere di acquisto dell’export italiano è però migliore rispetto a quello delle locomotive d’Europa, e non si tratta di un fenomeno volatile, ma la conseguenza di un miglioramento strutturale della competitività, per quanto limitata ai settori aperti al commercio internazionale.
L’economia italiana continua ad essere afflitta da numerosi problemi strutturali, mentre la congiuntura si sta dimostrando più solida delle aspettative, anche se ad alimentarla non sono solo le virtù che abbiamo descritto, ma pure il deficit pubblico eccessivo, che l’Istat ha certificato nel 2023 del 7,2% del Pil. Circa due punti oltre quello programmato (5,3%) e che dopo le elezioni europee dovrà essere in un modo o nell’altro frenato.
Figura 3 – Indici dei tassi reali effettivi di cambio, tassi medi di cambio ponderati per i flussi di commercio estero e aggiustati per il livello relativo dei prezzi al consumo.
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