Il termine circular economy è entrato rapidamente nel linguaggio della green economy, spesso citato nell’indicare la nuova rotta che l’economia dovrebbe seguire e altre volte semplicemente perché di tendenza. I modelli di economia circolare sono modelli di business che mirano a rivedere la logica della creazione del valore.
Vengono presentatati come efficienti nell’uso delle risorse, resilienti ed economicamente vantaggiosi. Se li si intende strumento per dare concretezza al concetto più astratto di “sviluppo sostenibile”, allora non bisogna dimenticare il loro contributo anche al terzo pilastro della sostenibilità: equità e benessere sociale. Tuttavia, quanto promesso dev’essere analizzato criticamente.
Burocrazia e rebound effect
L’implementazione di questi modelli si può scontrare con vincoli fisici, tecnologici e istituzionali. In Italia sperimentiamo la lentezza nella definizione dei criteri e nella concessione delle autorizzazioni end of waste (cessazione della qualifica di rifiuto necessaria perché questo sia reintrodotto in un ciclo produttivo), che rischia di frenare molte idee imprenditoriali. Il successo delle pratiche circolari è poi molto esposto al rischio del rebound effect, cioè la perdita dei vantaggi derivanti dall’aumentata efficienza di un prodotto o servizio a causa di un incremento nell’uso dello stesso. Per esempio, il mercato second hand come scusa per dismettere più velocemente i beni ha più a che fare con il consumismo che con l’allungamento della vita del prodotto. Così come l’uso sconsiderato di un bene perché in modalità sharing o il suo semplice affiancamento al bene di proprietà, invece che sostituzione, non sono sintomi di una profonda trasformazione delle abitudini di consumo in favore di comportamenti più sostenibili.
Gli aspetti critici
In un rapporto pubblicato a dicembre (Avoiding blindspots: Promoting circular and fair business models), Circle Economy ha sollevato gli aspetti critici di alcuni modelli di business circolari, chiamandoli “punti cechi”. Il rischio è proprio che questi modelli, invece di spianare la strada alla sostenibilità, ci conducano a una trasformazione di facciata ma di immobilità sostanziale. Credo che molti degli elementi elencati siano comuni ai modelli di business tradizionali. Ispirandomi a quelli più tipici dell’economia circolare, vorrei focalizzare l’attenzione sugli aspetti che dipendono dalla presa di coscienza dell’impresa, più che da fattori esterni, e a questo livello possono essere governati.
La supply chain
A pesare sull’ambiente è spesso la lunga e complessa supply chain, la quale può essere rivista innanzi tutto rimodulando le quantità prodotte per evitare la mole di invenduto distrutto senza essere mai passato tra le mani di un consumatore. Nelle strategie di business circolari si aggiunge poi la reverse logistic, ovvero la raccolta e il trasporto dei beni usati per estrarne il valore residuo attraverso pratiche di riuso, remanufacturing e riciclo, tra le altre. Questa va necessariamente ottimizzata per non rendere inefficace il beneficio ambientale raggiungibile attraverso il core business di questi nuovi modelli, cioè il recupero del bene o dei suoi materiali. Ove possibile la capillarità delle strutture di raccolta e trasformazione è utile per ridurre al minimo la movimentazione dei beni e la condivisione di questi spazi e mezzi con attori che applicano la stessa strategia permette di abbattere costi ambientali e monetari.
L'eco-design
Altrettanto fondamentale perché l’attività di recupero non venga compromessa è l’eco-design. Investire adeguate risorse (a partire da quelle temporali) nella fase di progettazione significa garantire un opportuno trattamento del prodotto a fine vita. Vuol dire, per esempio, agevolare il processo di disassemblaggio e sostituzione di singole componenti, o assicurarsi che i rifiuti completino il processo di biodegradazione (o di compostaggio) in un range di condizioni verosimile (sono stati riscontrati casi in cui il processo non si realizza in condizioni diverse da quelle dei “test di laboratorio”, difficili da trovare costantemente nella realtà). Consapevoli di questi limiti, l’impegno nello stadio di ideazione del prodotto appare determinante.
La fidelizzazione
Inoltre, l’impresa sceglie il modo in cui attuare ai messaggi che intende veicolare. Incentivare la restituzione di un bene durevole con agevolazioni che incitano a nuovi acquisti immediati ed espandere i servizi post-vendita, come la riparazione a prezzi vantaggiosi, sono entrambe strategie di fidelizzazione del cliente che potrebbero essere trasmesse come “pratica circolare”. Di fatto, è la seconda che contribuisce contemporaneamente a instaurare una relazione duratura con il cliente promuovendo comportamenti virtuosi per l’ambiente. L’impresa è responsabile delle sue azioni e, parzialmente, anche di quelle dei consumatori.
Finché l’economia circolare resterà una proposta premium o una strategia di diversificazione non si attueranno i benefici dell’auspicata transizione sostenibile.
I beni meno impattanti sull’ambiente non devono automaticamente essere venduti come prodotti di lusso.
Lo stesso vale per i servizi. Se la mobilità sharing non viene estesa oltre il centro città, per esempio, difficilmente gli abitanti delle periferie, già più svantaggiati, ne trarranno beneficio.
Il modello di business e il contesto Ue
L’obiettivo di un’impresa innovativa e coraggiosa dev’essere quello di far diventare il modello di business aziendale un modello circolare. Non destinare quest’ultimo a una gamma di prodotti extra o a una nicchia di mercato. Dato il supporto tecnologico a disposizione, molto dipende dalla volontà con cui si dirigono gli investimenti.
Il contesto è promettente: la Commissione Europea è una delle istituzioni più credibili nella volontà di rendere i principi di economia circolare cardine delle sue politiche (è stato aggiornato a marzo il Piano d'azione per l'economia circolare) e l’Italia, dal canto suo, ha accumulato un vantaggio competitivo notevole negli ultimi anni (il Rapporto sull’Economia Circolare in Italia la pone al primo posto per performance produttive e di gestione dei rifiuti). Ma la concomitanza di benefici economici, ambientali e sociali è ben lontana dal manifestarsi da sola, come mera conseguenza dell’adottare un modello di business che rientra tra gli archetipi dei modelli “circolari”. Si tratta di paradigmi complessi che richiedono una visione sistemica e multidisciplinare.
Indubbiamente la transizione imprenditoriale verso la sostenibilità necessita del supporto di attori esterni. Ma le imprese devono presentarsi con dichiarazioni chiare e convinte, proporre piani ambiziosi e attendibili per attrarre i finanziamenti necessari, aumentare la fiducia degli investitori e dei consumatori, rafforzare il network di collaborazione su cui il cambiamento si fonda.
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