Per la prima volta in oltre 170 anni, Reuters, la prestigiosa agenzia di stampa britannica, verrà guidata da una donna. Alessandra Galloni ne assumerà la direzione al pensionamento di Stephen J. Adler. Che una donna diriga una redazione “fa” notizia perché si tratta di un evento eccezionale.
Dall’analisi quantitativa del binomio Donne&Editoria emergono dati sconfortanti in termini di parità di genere. Tuttavia, vi sono in atto validi progetti per invertire la rotta, anche in Italia.
Chi dirige i giornali che leggiamo?
Nel mondo dell’informazione tuttora sono forti le asimmetrie nella distribuzione dei ruoli. E ciò, nonostante le donne raggiungano migliori risultati nell’istruzione e nella formazione. E frequentino i luoghi deputati alla cultura con maggiore assiduità degli uomini (17,2% contro un equivalente maschile pari al 12,9% secondo i dati Istat).
A livello mondiale risulta che le donne ricoprono meno del 30% delle posizioni di comando nelle redazioni (dati Global Report on The Status of Women in the News Media). Inoltre, un’analisi di giornali, radio e televisione in Africa, America, Asia ed Europa (dati Global Media Monitoring Report) mostra che, nell’attribuzione dei ruoli, sono soprattutto gli uomini a realizzare la produzione delle notizie poi diffuse (fino al 73%) e a occuparsi come giornalisti di argomenti centrali come politica, economia e cronaca nera (nel 64-70% dei casi). In Italia, il 63% degli articoli sono firmati da giornalisti uomini ed è il territorio nazionale a detenere il record negativo europeo di maggior disparità di genere (dati European Journalism Observatory).
Qual è la rappresentazione femminile nell’informazione?
Se le donne sostanzialmente non sono chiamate a dirigere giornali o a scriverne gli articoli, come saranno rappresentate nelle notizie? In modo stereotipato oppure senza che ne siano evidenziati i punti di vista. Solo nel 16% dei casi, infatti, le donne sono le protagoniste delle notizie e, per lo più ci si riferisce loro come mogli e madri. Le opinion maker e le esperte ingaggiate nei talk di informazione poi sono solo il 32% e il 24% del totale e vengono interpellate principalmente su temi sociali e in misura irrisoria (6-7% dei casi) per questioni economiche o politiche (dati Osservatorio di Pavia).
Spazio a progetti per una visione a tutto tondo
Per cercare di colmare il gender gap nell’ingaggio di esperti da parte dei media, l’associazione GiULiA – Giornaliste Unite Libere Autonome, dal 2016 aggiorna un database su base europea che raccoglie i nominativi di esperte in diversi campi della conoscenza (STEM, economia e politica internazionale). A oggi, il database comprende 130 esperte sui temi STEM e 60 in ambito economico. Nel 2021 è stato esteso anche al settore della Storia e della Filosofia. Le selezionate sono individuate secondo rigorosi criteri (attualità e contenuto innovativo dei temi trattati e rilevanza delle pubblicazioni) e, così, si è proceduto a oltre 400 nuove interviste.
Per mostrare come la leadership sia anche una questione femminile e affrancare così l’immagine femminile da meri ruoli di cura, va citata la rubrica Unstoppable Women di Startup Italia che propone storie di imprenditrici e founder attraverso interviste e inchieste, report e racconti. Tra l’altro, Startup Italia, un magazine dedicato all’innovazione e alla tecnologia, vanta anch’esso una direzione femminile (Anna Chiara Gaudenzi), che stralcia i molti stereotipi culturali presenti anche in ambito STEM, dove sono tuttora minori le percentuali di iscrizione ai corsi di laurea (30% donne e 70% uomini secondo i dati Almalaurea) e i tassi di occupazione (89% contro un equivalente maschile di 91,8% per l’Osservatorio Talents Venture-Assolombarda).
Il 23 aprile si celebra la giornata del libro e del diritto d’autore
Passando dai giornali ai libri, la situazione non cambia. Il genere femminile è sostanzialmente escluso dai ruoli strategici della editoria (dati Osservatorio su donne e uomini nell’editoria-InGenere). In 10 anni, la percentuale di donne ai vertici è sì aumentata, passando dal 16,6 al 22,3% . Ma rimane una maggior presenza maschile che raggiunge il 77,7%. In più, per quanto il trend occupazionale femminile sia in crescita (il 64,9 per cento dei nuovi ingressi sono donne), le occupate risultano impiegate perlopiù nella “cucina editoriale” ed adibite a ruoli accessori di traduzione o correzione testi.
Il divario di genere si ritrova anche nei cataloghi, nella critica e nei riconoscimenti. Se solamente il 38,4 per cento degli autori sono donne, le scrittrici recensite sono il 24 per cento in meno degli scrittori e le giornaliste culturali sono il 30 per cento in meno dell’equivalente maschile. Il Premio Strega -in oltre 70 edizioni- è stato attribuito solo 10 volte a scrittrici e, nel corso del Salone internazionale del libro di Torino, le autrici presenti sono state pari solo al 28 per cento.
La flessione economica
Oltre al gap di genere, l’editoria deve fare i conti con la flessione economica e il cambiamento nelle abitudini di svago. Senza contare il ritardo nell’innovazione. Nonostante l’industria culturale del libro valga tre miliardi di euro e nel 2019 abbia registrato una crescita di +4,9%, a causa delle ripercussioni per Covid-19 si conteggia una perdita di fatturato annuo media del 20-30% (dati AIE, Nielsen e Informazioni Editoriali). Nelle prime settimane del lockdown del 2020 è stata pari all’85% (dati IE-Informazioni Editoriali). Fondazione Symbola, nei Rapporti annuali Io Sono Cultura, avverte che l’editoria italiana soffre della “sindrome Pickwick”: «Scrive, edita, pubblica, distribuisce e vende ancora come Charles Dickens». Inoltre, la popolazione che legge almeno un libro all’anno è pari solo al 40% ed è stabile dal 2018 (dati Istat).
Qualche timido segnale?
Ora, dopo le fasi acute della crisi per Covid19, vi sono anche indizi di ripartenza del settore (come la resistenza delle librerie di quartiere con servizi di consegne a domicilio, una certa spinta riorganizzativa degli editori e misure cospicue quali il Fondo per l’attuazione del Piano Nazionale d’azione per la promozione della lettura di 8,7 milioni di euro). Ma la strada è molto in salita. Si deve misurare con l'infosfera digitale.
Il resoconto di una paritaria presenza femminile finalmente raggiunta - nell’editoria come nei media - è il prossimo saggio che vogliamo finalmente leggere. O la notizia che non vogliamo più veder fare notizia.
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