L’intelligenza artificiale porterà guadagni reali?  Il World Manufacturing Report, per il 2025, stima in 31,2 miliardi di dollari i ricavi globali derivanti dall’Intelligenza Artificiale. E in 13,2 miliardi gli investimenti delle imprese in metodologie e tecniche per progettare sistemi hardware e software con prestazioni equiparabili a quelle umane.

Su un ideale podio primeggia il settore bancario, finanziario e assicurativo (al tema IA per industria e banche, il Centro Einaudi ha già dedicato un seminario online, che potete vedere cliccando qui). Per il 2021 ha già posto a budget 12 miliardi di dollari, cui seguono la manifattura con 9,5 miliardi e il commercio con 9,3 miliardi.

In Italia avrà presto sede a Torino sede I3A, l’Istituto italiano per l’Intelligenza artificiale. Secondo le intenzioni governative, costituirà un network di coordinamento delle attività di ricerca e di trasferimento tecnologico in campo IA, per potenziarne lo sviluppo lungo il territorio nazionale, anche attraendo talenti dal mercato internazionale, grazie a un budget annuale di 80 milioni di euro.

L’Italia con il freno tirato

L’impatto sulle aziende viene monitorato dal Politecnico di Milano (i dati dell’Osservatorio Digital Innovation sono consultabili qui). Il 90% delle imprese italiane ha una corretta percezione dell’IA; il 50% lo identifica con «sistemi che replicano le capacità tipiche degli esseri umani» e il 40% con «gruppi di tecniche come il Machine Learning». Ma i progetti fin qui avviati sono ancora fermi alle fasi di progetto o di sperimentazione (46% dei casi). Ed è il migliore dei casi, perché il 34% delle aziende non ha ancora adottato nessuna iniziativa in merito.

La mappa
La mappa
Fonte: Osservatorio Digital Innovation Politecnico di Milano

Complessivamente, solo l’8% delle imprese italiane può essere considerata “avanguardista” in tema IA e appena il 4% “organizzata” perché, per il resto, l’Osservatorio Digital Innovation rileva un 17% di “aziende immobili” o “in cammino” (36%) o, comunque, ancora “apprendiste” (14%).

Più avanti a livello internazionale

A livello globale, invece, i dati del PoliMi evidenziano che nel comparto aziendale si investe già in IA per ottenere o sostenere vantaggi competitivi (84% dei casi nel mondo) o per riposizionare l’azienda su nuovi business (75 per cento). Ma anche per opporre barriere all’entrata ai nuovi entranti (75%) o per contrastare lo sviluppo della concorrenza sul fronte tecnologico (69%).

Se, a oggi, l’IA in azienda provvede sostanzialmente alla pianificazione della produzione, monitorandone la qualità e gestendone la consegna, il futuro prossimo parla già di implementazione anche in altre funzioni aziendali (come la progettazione dei prodotti e il marketing).

Un mercato nazionale da 200 milioni di euro

Nonostante i ritardi nazionali nell’utilizzo, il mercato dell’IA in Italia si attesta intorno a un valore che il Politecnico di Milano stima in 200 milioni di euro (per il 33% afferenti l’Intelligent Data Processing, per il 28% il Natural Language Processing e Chatbot/Virtual Assistant, per il 18% il Recommendation System, per l’11% il RPA Intelligente e per il 10% il Computer Vision).

Si tratta di una cifra che a fronte delle opportunità future è da considerarsi soltanto l’inizio di un percorso ampio e promettente. Ma richiede attenzione a una distribuzione priva di discriminazioni delle chance, addestrando i sistemi di IA all’equità. È un tema spesso lasciato in ombra, ma che è invece assolutamente centrale: più aumentano le opportunità più aumentano le responsabilità.

Algoritmi senza etica?

Gli algoritmi non sono neutri. A seconda dei valori che incorporano e apprendono, possono creare discriminazioni. Tant’è che all’Incubatore del Politecnico di Torino I3P, per esempio, si è da poco insediata una startup che si occupa di “intelligenza artificiale antropocentrica”, ClearBox. Ovvero, come si dice oggi: explainabile artificial intelligence. Con un meccanismo di reverse engineering si può arrivare a capire come mai le macchine arrivino a prendere determinate decisioni nella selezione del personale, per esempio, nella sanità, o nel pricing delle assicurazioni, “virando” su scelte non volute da chi le ha impostate all’inizio.

L’utilizzo della IA, giustappunto, è anche una sfida di impatto sociale. Tant’è che le applicazioni possono essere implementate anche in altri ambiti e rispondere alle esigenze dei territori. Da questo punto di vista, ancora Torino si trova all’avanguardia con il Big Data for Social Goods che si propone di attivare algoritmi di IA per fotografare i fabbisogni sociali e misurare l’impatto delle azioni intraprese da istituzioni ed enti. Così, si realizza un interessante collegamento tra la scienza dei dati e cooperazione allo sviluppo, per offrire nuove opportunità al non profit e aiutare questo settore ad allocare le risorse in modo più efficiente.

Il contributo alla sostenibilià

Più in generale, vi sono primi studi ed evidenze sugli usi possibili delle AI per il terzo settore che ne mostrano la capacità di contribuire anche a tutti i 17 obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Onu, con un buon numero di pratiche già attuate soprattutto nel campo della salute e del benessere, SDG3 e dell’istruzione di qualità, SDG4 (i 160 casi individuati finora possono essere approfonditi qui).

L’approccio culturale: qualche idea

Mancano dunque ancora molti elementi per giungere a una implementazione completa dell’intelligenza artificiale. Secondo il Wmf Report 2020, perché l’IA sia un volano sviluppo per l’industria - e quindi per la società - occorre anzitutto alimentare un dibattito pubblico per aumentare la fiducia nei sistemi di IA, gestendo le aspettative dei produttori sulle loro capacità.

Come ottenere maggior fiducia? Sicuramente vanno implementate riflessioni etiche nell’intero ciclo di vita dell’IA, garantendo qualità, privacy e disponibilità di dati.

Soprattutto occorre porre l’uomo al centro degli ambienti di lavoro di IA e assicurare l’allineamento strategico dell’IA in tutte le organizzazioni, sostenendone i percorsi di transizione. Per esempio, grazie alla promozione di reti di fornitura resilienti e alla formazione di forza lavoro (sia attuale che futura) capace di interfacciarsi con gli algoritmi.

In un’epoca come quella attuale – per di più segnata dallo spartiacque del Covid – è ormai chiara e indifferibile la necessità di percorsi sostenibili.Bisogna implementare standard, politiche e regolamenti adatti.

La tecnologia non è neutra e l’IA va sempre più studiata con la contaminazione tra discipline differenti: dall’informatica alla cultura, dalla sociologia alla scienza, dall’economia alla finanza.