La forza di Legacoop in Piemonte si può riassumere in quattro numeri. Il primo: 4%. è l’impatto dell’Associazione sul Pil regionale. Il secondo: 30mila. Sono gli addetti occupati. Il terzo: 500. è l’insieme delle imprese che danno vita all’arcipelago cooperativo. L’ultimo numero, il due, indica le pepite: Novacoop nella grande distribuzione e Nova Aeg, nel campo dell’energia, entrambe tra le prime venti grandi aziende del Piemonte. è da questi numeri che Dimitri Buzio, 48 anni, biellese, di formazione bocconiana, al secondo mandato come presidente regionale riparte, dopo aver segnato nei primi due anni al timone dell’associazione cooperativa più forte (quasi 800mila soci) una sorta di rottura generazionale con il passato. E ha “promozione” come parola chiave anche se lui, venendo dalla finanza, si presenta come un uomo di numeri. Ma forse proprio guardando a questi sa di guidare un colosso. Che può ancora crescere.
Presidente, che cosa la rende ottimista?
«Innanzitutto è una questione di radici. Qui, a Torino, è nata la prima cooperativa di consumo d’Italia: il “Magazzino di previdenza” fondato nel 1854. E in 170 anni questa forma di impresa riconosciuta anche dalla Costituzione ha sempre avuto un ruolo di primo piano in Piemonte. E oggi è più attuale che mai, oserei dire vivace. Basta scorrere l’Agenda 2030: tutti i temi individuati dall’Onu per un futuro più sostenibile sono una sorta di minimo comun denominatore per le nostre imprese: dall’inclusione all’ambiente, dalla lotta alla povertà al diritto alla salute, per citarne alcuni. Valori che le cooperative esprimono da sempre e oggi trovano terreno fertile in un campo più largo, anche grazie alle nuove generazioni».
Ci fa un esempio concreto?
«Ad Alba c’è una storica libreria che sin dagli anni Settanta è stata un punto di riferimento culturale per le Langhe e più in generale per l’intera provincia di Cuneo. Ma dopo 50 anni e in un contesto in cui il mercato librario è profondamente cambiato hanno riscontrato una difficoltà nel mantenere inalterato il servizio sul territorio. Siamo così intervenuti grazie al sistema di filiera che vantiamo in quel settore nella speranza di sostenerli nella gestione aziendale e contemporaneamente salvaguardarne l’identità culturale».
Un soccorso che interviene anche in altri campi?
«Più che un soccorso è una storia di rete. Che funziona. Le racconto un altro progetto appena varato dove abbiamo messo insieme una cantina sociale che produce Moscato bio e due cooperative che si occupano rispettivamente di disabili e di comunicazione, che hanno curato l’etichettatura e la promozione. Ne è nata la vendita di un vino che è già un successo dal punto di vista dell’inclusione e della sostenibilità».
Qual è la vostra carta migliore?
«La filiera. Favoriamo l’unione, la collaborazione tra soci. Perché solo così si riesce a stare sul mercato senza diventare ancelle del sistema. In altre parole, siamo un acceleratore diffuso per le cooperative alle quali vogliamo offrire accompagnamento alla vita di impresa e formazione continua. E con particolare attenzione a sostenere i processi di fusione, perché più cooperazione non fa rima solo con più cooperative ma anche con realtà solide che abbiano le dimensioni giuste per affrontare le grandi sfide».
Insomma, anche lei riconosce che piccolo non è più bello, sfatando una delle regole attorno alle quali il Nord Est ha costruito l’immagine di locomotiva d’Italia?
«Dico che bisogna fare un’analisi per settore. Spesso i comparti hanno storie differenti. è chiaro che nel campo agroalimentare, uno dei nostri settori di punta, se ci si vuole consolidare sul mercato nazionale e crescere nell’export, bisogna raggiungere certe dimensioni. D’altronde credo che nella regione un modello vincente sia quello che arriva dall’altro Piemonte: province come Cuneo, Novara, Biella. Dove sono maggiormente presenti le Pmi con un fatturato che va da 5 a 50 milioni e un numero di addetti tra 50 e 250. è la dimensione che si sta dimostrando giusta per competere sui mercati. Anche stranieri».
Quale nome le viene in mente se guarda alla galassia Legacoop?
«La cartiera Pirinoli di Roccavione. Sicuramente il caso di workers buyout, cioè di impresa rigenerata dai lavoratori più riuscito, tanto da diventare un esempio per tutta l’Italia. E siamo orgogliosi di aver contribuito a quel salvataggio proprio grazie al know how che Legacoop può mettere in campo in simili situazioni. Oggi l’azienda ha 80 dipendenti, cresce sui mercati esteri e ha distribuito un ricco ristorno ai suoi soci. Non è comunque l’unica impresa che abbiamo salvato dal fallimento o dalla cessazione di attività per il ritiro del titolare. Ecco, offrire una continuità attraverso la forma cooperativa alle aziende che restano senza eredi è un altro obiettivo».
Quale altro settore immagina possa crescere nei prossimi anni in Piemonte?
«Direi tutto ciò che ruota attorno all’assistenza e alla sanità complice anche la tendenza demografica a essere una delle regioni più vecchie. Qui come cooperative possiamo avere un ruolo di primo piano nel ridefinire il welfare mantenendo però come stella polare l’universalità del servizio sanitario. Penso al progetto della Casa della salute di Pianezza che vede coinvolte una grande cooperativa sociale, una cooperativa di medici di medicina generale e una Mutua del territorio, impegnate nella sperimentazione di una nuova forma che integra sanità e assistenza, nonché creazione di una comunità, attraverso la realizzazione di un condominio solidale per gli anziani soli attraverso il sostegno di una rete di medici. Oppure la partnership che vede coinvolta un’altra delle nostre cooperative sociali con la Fondazione Mondino, eccellenza nella cura e nella ricerca delle neuroscienze, per sviluppare soluzioni innovative per migliorare la qualità di vita dei pazienti. E poi la logistica, che si avvia a un cambio di pelle che dovremo essere capaci di intercettare».
Che cosa intende?
«Con il completamento dei due corridoi internazionali del Terzo Valico e della Torino-Lione il Piemonte diventerà uno dei poli europei della logistica. Ma di fronte a una simile trasformazione l’attuale sistema logistico che si regge al 60% su aziende monoveicolari è destinato a mutare profondamente. Ecco, dovremo saper cogliere quell’opportunità, puntando a economie di scala».
Quali altri obiettivi si immagina?
«Valorizzare i gioielli nascosti che abbiamo. Come la cooperazione di abitanti che negli anni Sessanta ha risposto al bisogno di nuove case per una popolazione crescente e nei primi anni Duemila ha contribuito ai processi di rigenerazione urbana. E che ora ha davanti a sé una nuova sfida: offrire accesso a una abitazione dignitosa per quelle fasce sociali in espansione, tenuto conto anche dei flussi migratori degli ultimi anni. O ancora, pensiamo a cosa vuol dire per l’agroalimentare poter contare sui due principali marchi della grande distribuzione capillare come Coop e Conad. O Nova Aeg che può diventare un prezioso alleato in campo energetico per le altre cooperative. è accaduto proprio con la Cartiera di Pirinoli messa in grande difficoltà nei mesi delle superbollette e ripartita grazie all’intervento della società energetica creata da una costola di Novacoop».
La solidarietà come parola chiave?
«Sicuramente è una delle nostre parole chiave. Le racconto un altro episodio. Finita la pandemia e caduti gli obblighi di indossare dispositivi di protezione individuali Novacoop si è trovata con 120mila mascherine che dovevano essere destinate ai propri lavoratori e che sono risultate inutilizzate. Nell’ambito di un confronto all’interno della presidenza di Legacoop Piemonte è emersa la disponibilità a realizzare il progetto che ha reso possibile regalare le mascherine a 13 cooperative sociali del Piemonte che gestiscono Rsa e altre strutture in cui vi è l’obbligo di utilizzo. Un’iniziativa che ha permesso di evitare sprechi in un’ottica di sostenibilità e di economia circolare e nel contempo ha consentito alle nostre imprese sociali di risparmiare circa 32mila euro dopo che Covid e crisi energetica hanno influito non poco sui bilanci. Solidarietà certo, ma anche innovazione sono parole che riteniamo possano descrivere la cooperazione di oggi e di domani. Nell’ottica della transizione energetica abbiamo rafforzato la rete con gli operatori energetici e siamo prossimi alla nascita della prima Cer (Comunità energetica rinnovabile) in forma cooperativa promossa da Legacoop. Ma anche nell’ottica di un nuovo approccio al modo di fare e pensare alla cultura come quello di una nostra cooperativa di Novara che è stata la prima in Italia ad offrire un corso di laurea certificato e riconosciuto dal Ministero in discipline del teatro musicale. Oppure, la collaborazione tra chi gestisce i servizi di guida al Museo Egizio di Torino e gli operatori di una nostra cooperativa sociale che hanno realizzato dei percorsi di visita inclusivi che fossero fruibili anche a ragazzi autistici».
Quale contributo pensate di poter dare al Piemonte?
«Credo si debba puntare a un orizzonte concreto, a un nuovo protagonismo cooperativo. Non siamo una forma imprenditoriale residuale rispetto ad altri modelli perché dove siamo presenti arricchiamo l’offerta. E possiamo dare un contributo anche sotto il profilo del pensiero, non secondo schemi del Novecento ma reinterpretando il nostro ruolo con progetti che sappiano parlare alle realtà del nuovo millennio».
Questa intervista è contenuta nel numero monografico speciale di Mondo Economico di ottobre dedicato al modello Legacoop del Piemonte. Sul notro sito, cliccando qui, si possono acquistare le copie sia cartacee sia digitali.
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