La pandemia: un virus creato in laboratorio? Un complotto per privarci della nostra libertà? Una cabala delle multinazionali farmaceutiche?

Le cronache del Covid-19 ci presentano una versione amplificata di un problema che ci accompagna da molti anni. Non tanto, o non soltanto, il problema delle fake news - delle bufale - che distorcono la percezione pubblica dei fatti della scienza come di quelli della politica.

Il problema, più ampio, è quello del rapporto tra scienza e cittadinanza, negli anni della comunicazione atomizzata, della disintermediazione e della sfiducia.

Le opinioni manipolabili

La pandemia è solo l’ultima arrivata in una lunga serie di questioni sulle quali, in una democrazia, l'opinione informata dei cittadini dovrebbe esercitare un peso predominante, e che tuttavia presuppongono un patrimonio condiviso di conoscenze scientifiche di base. Senza questo patrimonio, le opinioni sono facilmente manipolabili: dalle campagne di disinformazione virale sulle reti sociali, dai mezzi di comunicazione in cerca di notizie ad alto impatto, da forze politiche che tentano di trarre vantaggio dalla paura e dalla polarizzazione.

La stessa tensione tra fatti acclarati e "fatti alternativi" ha percorso, e percorre, i dibattiti sul nucleare, sul Tav Lione-Torino, sui cambiamenti climatici, sui vaccini, sulle "medicine alternative", sui cibi geneticamente modificati.

Nel caso della pandemia, a questo problema ben noto se ne è aggiunto un altro.

Guardiamo, per confronto, al caso del riscaldamento globale: il consenso della comunità scientifica su questo tema è consolidato da molti anni, i fatti sono chiari.

Il problema quindi è soprattutto un problema di comunicazione, di sociologia della scienza e dei media, di pedagogia.

Nel caso del Covid-19, a queste difficoltà si aggiunge il fatto che molti dei problemi scientifici di cui si discute non hanno ancora trovato risposte consolidate. Non conosciamo ancora con sufficiente precisione molti dati importanti: la mortalità, i canali di diffusione, le cause che provocano i casi più gravi. Si assiste quindi, dal vivo, al dibattito tra i ricercatori, anche di discipline diverse: virologi, epidemiologi, clinici, e persino fisici ed economisti. E il dibattito tra scienziati, su problemi che non hanno ancora trovato una soluzione, è spesso aspro, può essere feroce. Un libero confronto tra opinioni, quando i dati ancora non hanno una interpretazione univoca, che è un ingrediente necessario per il progresso.

Nelle circostanze presenti, purtroppo, questo dibattito, che sarebbe normalmente confinato alle pagine rarefatte delle pubblicazioni scientifiche, si svolge in una sorta di diretta streaming, e non può non essere causa di ulteriore disorientamento, ma anche di sconforto, e a volte di sfiducia nel lavoro scientifico nel suo complesso.

Come ricondurre le polemiche ai fatti?

Perché qui dovrebbe stare il discrimine tra l’informazione e la decisione: i ricercatori – climatologi o virologi, fisici o medici, sociologi o economisti – cercano di stabilire la migliore approssimazione possibile dei fatti pertinenti, e su questa base poi dovrebbe fondarsi il dibattito civile e politico. Possiamo discutere, per esempio, se istituire politiche di sostegno alle famiglie, ma dovremmo concordare sul numero di neonati in Italia nel 2019. Possiamo discutere di priorità tra le categorie di persone da vaccinare, ma dovremmo concordare sul livello di efficacia e sicurezza dei vaccini disponibili.

Come per tutte le domande complesse, non ci sono risposte semplici.

Non possiamo – né vorremmo – trasformare tutti in scienziati: la forza di un paese è fatta di tutte le vocazioni, artigiani e chef, imprenditrici e artiste, atleti e insegnanti. Certamente, non vogliamo un governo di scienziati, e nemmeno una delega decisionale agli "esperti" sulle questioni immaginate come "tecniche": quella non potrebbe chiamarsi democrazia. Sappiamo anche che la figura dello scienziato messianico, latore di verità indiscutibili, non aiuta: può accendere gli applausi dei tifosi, quelli che sono già convinti, ma non può raggiungere chi ha già perso la fiducia nel sistema della conoscenza.

Le risposte percorribili sono a loro volta complesse, richiedono la pazienza dei tempi lunghi.

Bisogna spogliare le cose di scienza dalla dimensione magica che hanno assunto, grazie anche ai risultati spettacolari delle tecnologie che teniamo in mano tutti i giorni: se è magia, non ci si può fidare.

Dobbiamo riconquistare la fiducia perduta rendendo accessibili i metodi – il metodo – su cui la conoscenza si fonda: la dialettica paziente di ipotesi ed esperimenti, la trasparenza dei percorsi e la condivisione dei risultati, la consapevolezza dei limiti dei nostri modelli imperfetti.

La battaglia contro la pseudo-scienza, le bufale virali, le teorie del complotto, è una battaglia trasversale.

Non può essere combattuta con successo dai camici bianchi – i medici, i chimici, i fisici - senza il contributo essenziale delle scienze umane: capire la sociologia dell’informazione, nel nuovo ecosistema delle reti sociali; rivisitare la pedagogia della scienza; comprendere le paure che stanno dietro le superstizioni con gli strumenti della psicologia.

Infine, specialmente nel nostro Paese, si devono rompere le barriere culturali che inducono molti a sentirsi estranei alla scienza, e quindi esclusi. E questo si fa costruendo narrative, aprendo orizzonti, mettendo a disposizione una semplice cassetta degli attrezzi che aiuti a fornire risposte concrete a problemi quotidiani e non solo a nutrire mitologie.

«Tutti possono cucinare!», dice Auguste Gusteau in Ratatouille. Così, anche senza diventare chef, tutti possono capire come la scienza si costruisce, e usarne gli attrezzi per navigare la propria vita quotidiana in modo consapevole.

La sfida del Covid, con i suoi conflitti e i suoi negazionismi, è destinata a concludersi tra non molto. Altre sfide, come quella del riscaldamento globale, ci accompagneranno per generazioni.

Facciamoci trovare preparati.