NEW YORK - James Schnepper, amministratore delegato del più grande produttore di tetti americano, GAF Commercial Roofing, è convinto di aver offerto la massima flessibilità possibile ai suoi quasi 4mila dipendenti durante la pandemia.

«Abbiamo permesso a tutto il personale amministrativo di lavorare a distanza fino al mese scorso, e stiamo gradualmente passando a un modello ibrido — spiega —. Abbiamo fornito formazione ai dirigenti sulla gestione delle riunioni su Zoom, e ampliato la capacità di connessione e la sicurezza della rete interna per consentire l’accesso al nostro sistema da remoto».

New Jersey

Schnepper, che è noto per la sua onnipresenza nell’ufficio di Persippany, in New Jersey, è sempre rimasto in contatto con i suoi dipendenti, cercando di capire i loro bisogni. Oggi, perciò, fatica a capire perché più del 10% dei suoi addetti si siano licenziati da aprile e perché il personale che resta chieda “maggiore flessibilità” per il ritorno in azienda. 

Il quartier generale di GAF Commercial Roofing a Persippany, nel New Jersey.

La pandemia ha costituito un enorme esperimento di telelavoro, che in pochi mesi ha catapultato le imprese in avanti di almeno dieci anni nella gestione del personale a distanza.

New normal

Ora che le aziende tentano di riunire i lavoratori in ufficio, stanno scoprendo che le regole e le attese sono cambiate. E molte stentano ad adattarsi alla “nuova normalità”. In particolare, da due importanti ricerche fatte negli Stati Uniti e in sei altre nazioni industrializzate, oltre che da un’analisi della Harvard Business School, emerge uno scollamento fra dirigenti e impiegati. Una "grande disconnessione" tanto grave da rischiare di compromettere la crescita economica, stando all’analisi del Future Forum Pulse, che ha intervistato circa 11mila colletti bianchi negli Stati Uniti, Australia, Francia, Germania, Giappone e Regno Unito.

Flessibilità cercasi

Il 94% dei dirigenti, infatti, si dice fiducioso che le politiche post-pandemia che sta mettendo in atto soddisferanno i dipendenti. Ma la percentuale scende al 33% fra gli impiegati in posizione non manageriale. Che cosa vorrebbero per essere più ottimisti? Il 76% desidera flessibilità sul dove lavora e il 93% flessibilità sul quando lavora. Questi risultati non oscillano da oltre due trimestri, in tutte le aree geografiche esaminate.

«Le aziende dovrebbero ridefinire lo scopo dell’ufficio — evidenzia l’analisi della Harvard Business School —. L’ufficio può diventare uno strumento per potenziare specifici sforzi di collaborazione, connessione o creatività, lasciando ai dipendenti maggiore equilibrio tra lavoro e vita privata. I datori di lavoro dovrebbero cogliere l'opportunità della pandemia per modernizzare il rapporto con i dipendenti. quelli che terranno conto delle prospettive di tutti avranno maggiori probabilità di ricevere lealtà e fiducia a lungo termine».

I knowledge workers

Al contrario, sottolinea Joseph Fuller, docente di management alla Harvard Business School, «le aziende che implementeranno politiche basate sulla presunzione di aver anticipato correttamente come si evolverà la pandemia causeranno forti attriti».

I leader aziendali, a suo dire, dovrebbero invece definire le condizioni di lavoro in modo temporaneo, evitando le regole universali a favore di soluzioni su misura per ruoli e processi specifici. Né dovrebbero presumere che le preferenze dei lavoratori rimarranno statiche. A mano a mano che si passa da una fase all’altra, le loro esigenze cambieranno proprio come quelle dell’azienda. Sembra complicato e laborioso, certo. Ma l’alternativa è l’esodo: il 57% dei cosiddetti “knowledge workers” dei sei Paesi analizzati dice di star considerando seriamente la ricerca di un nuovo lavoro.

I dirigenti si sono accorti del rischio e, in gran maggioranza, stanno progettando politiche di sostegno alla forza lavoro. Ma anche qui il Pulse Forum registra un problema: il 66% sostiene di farlo con un input “minimo” da parte dei dipendenti in posizione non manageriale. Altro scollamento: i due terzi dei dirigenti ritiene di essere "molto trasparente", mentre meno della metà dei lavoratori (42%) è d’accordo.

Il ritorno faticoso in ufficio

Non sorprende che molte imprese si siano rivolte a società di consulenza per gestire il ritorno in ufficio. E queste sembrano avere un messaggio univoco: la via verso la produttività e la crescita passa attraverso la flessibilità. Il colosso multinazionale PricewaterhouseCoopers (PwC), ad esempio, nel suo ultimo report, The Future of Work, sostiene che «le aziende che offrono un ambiente di lavoro ibrido o completamente remoto avranno un vantaggio competitivo nel trattenere e attrarre talenti». Poi avverte i CEO che le risorse per la salute mentale e la copertura per l'assistenza all’infanzia (i nidi e gli asili pubblici non esistono negli Usa) sono diventati benefit indispensabili nel mondo incerto post-pandemia.

L’accompagnamento psicologico

«La capacità di attrarre, sviluppare e trattenere i migliori talenti è diventata un fattore di differenziazione aziendale fondamentale», recita sempre la PwC. La buona notizia, secondo la società, è che i leader aziendali stanno recependo il messaggio. Secondo un suo sondaggio, il 55% dei dirigenti sta rafforzando il supporto per i dipendenti con problemi mentali e circa la metà sta aumentando di almeno il 10% gli investimenti in un ambiente di lavoro virtuale. 

Ma potrebbe non bastare. Anche i dati raccolti da PwC, infatti, mettono in evidenza che la flessibilità funzionerà solo se sarà accompagnata dall’ascolto, sotto forma di consultazioni regolari dei dipendenti per capire di che cosa hanno bisogno.