1. La primavera elettorale europea continua, e con essa continuano le sorprese che i cittadini europei procurano ai loro governi. Sorprese relative, peraltro, visto che l’analisi dei sondaggi mostrava chiaramente già qualche settimana fa che cosa stesse bollendo in pentola. Vediamo che cosa è accaduto e sta accadendo paese per paese, per finire con l’Italia.
2. La Francia.
François Hollande ha vinto, com’era prevedibile, il secondo turno delle presidenziali del 6 maggio. Fra meno di un mese, però, i francesi torneranno alle urne per rinnovare il Parlamento (primo turno 10 giugno, secondo turno il 17).
I sondaggi continuano a dare la sinistra come favorita. A una condizione, tuttavia: che anche questa volta tenga la ferrea conventio ad excludendum che ha impedito per molte elezioni qualunque accordo al secondo turno fra il Front National e l’Union pour un Mouvement Populaire (Ump). È evidente, però, che le elezioni saranno vissute a sinistra come un “test di gradimento” delle prime scelte politiche di Hollande (a cominciare dalla formazione del nuovo governo e dal grado di autonomia/incisività mostrato nel rapporto con la Germania di Angela Merkel); e, a destra, specularmente, come verifica della effettiva capacità di crescita del Front National di Marine Le Pen.
3. La Grecia.
Le elezioni politiche del 6 maggio non hanno prodotto alcuna maggioranza coerente. Al crollo dei partiti storici di destra e di sinistra si è accompagnato il successo di nuove formazioni di estrema destra ed estrema sinistra; dopo che tre tentativi di formare un nuovo governo sono andati a vuoto, anche il quarto – per un governo di unità nazionale – sembrerebbe fallito.
Il Paese pare dunque avviato a nuove elezioni generali a giugno: dall’esito, superfluo dirlo, estremamente incerto. Il tema di cui la politica greca discute è lo stesso, benché in toni assai più drammatici, di quello che occupa la politica francese: la tollerabilità delle misure di rigore volute dall’Unione europea, che per i greci si colora anche dell’opzione uscire/rimanere nell’euro.
3. L’Irlanda.
Il referendum sul Fiscal Compact si terrà il 31 maggio. Per ora nei sondaggi i “sì” rappresentano la maggioranza relativa, ma le percentuali di indecisi sono ancora molto alte e, soprattutto, è alta (pari a circa un terzo del totale) la percentuale di chi dichiara di non aver capito su che cosa si vota. E gli irlandesi già una volta, nel 2008, bocciarono il Trattato di Lisbona sulla cosiddetta “Costituzione Europea” proprio perché, come le analisi del voto dimostrarono, ritenevano di “non aver capito” su che cosa gli fosse stato chiesto di pronunciarsi.
Il Trattato fu poi approvato un anno dopo; forse perché i cittadini se lo erano studiato, forse perché nel frattempo c’era stata la crisi e la necessità del sostegno di Bruxelles. In ogni caso, il referendum irlandese rappresenta una prima importante verifica di sostenibilità del Fiscal Compact e una sua bocciatura complicherebbe senza dubbio la strada della ratifica, che nel resto d’Europa tocca per lo più ai Parlamenti nazionali.
4. La Germania.
Qui i test elettorali sono stati due: il 7 maggio, le regionali nel piccolo Land dello Schleswig Holstein; il 13 sempre le regionali nel Nord Reno-Vestfalia, il Land più popoloso (la “Lombardia” tedesca). Questo secondo – e molto importante – test è stato decisamente negativo per la Cancelliera Merkel, facendo segnare un tracollo della Cdu, cui si è accompagnato il successo della Spd e dei Verdi, la sopravvivenza tutt’altro che scontata dei liberali della Fdp, l’ingresso nell’assemblea regionale dei Pirati, e l’uscita della Linke (la sinistra di ispirazione comunista). Il primo inciampo sul percorso del governo è anche qui il voto sul Fiscal Compact, che il Parlamento tedesco deve ratificare con una maggioranza dei due terzi: occorre dunque anche il il voto favorevole dei socialdemocratici della Spd, che al momento e con l’attuale formulazione del patto non appare scontato.
È bene tuttavia tenere distinti gli inevitabili riflessi sul piano nazionale di un’elezione regionale importante come questa dalla questione “consenso dell’opinione pubblica tedesca sulle scelte di rigore”. Questo secondo, al momento, non pare in discussione, almeno fintanto che si parla di rigore applicato agli “altri” europei. Va segnalato, tuttavia, che la Confindustria tedesca, forse preoccupata per le conseguenze che le politiche di rigore potrebbero sortire sull’export delle imprese nazionali, ha per la prima volta preso in qualche modo le distanze dalla posizione della Cancelliera.
5. E veniamo all’Italia.
Il secondo turno delle amministrative si terrà il 20 e 21 maggio, ma al di là dell’esito dei ballottaggi – da cui pure potrebbero venire sorprese o mancate conferme – lo scossone lo hanno già dato i risultati del primo turno (6-7 maggio). Le analisi del voto effettuate dall’Istituto Cattaneo (il confronto è con le regionali del 2010 ed è sul numero assoluto dei voti, assai più significativo quindi che sulle percentuali) hanno puntualmente messo in luce i fenomeni più rilevanti: un forte calo della partecipazione al voto, soprattutto, se non esclusivamente, al Centro-Nord; il crollo del Pdl e della Lega, in un quadro in cui tutti i partiti perdono consensi; il mancato successo dell’Udc, salvo che al Sud; infine, il successo al Centro-Nord del Movimento 5 Stelle, che drena voti da Lega e Idv.
I sondaggi politici, per parte loro, restituiscono l’immagine di un elettorato in cui prevalgono incertezza e sfiducia, quando non proprio rabbia: il 44,5 per cento degli intervistati si dichiara incerto o incline all’astensione, secondo il 41 per cento nessuno degli attuali leader politici sarebbe in grado di governare, il 63 per cento ritiene che i politici sono sempre uguali e stanno abbandonando Monti e il suo governo; è coerente, in un certo senso, che il 53 per cento preferisca votare il più tardi possibile, perché un governo politico in questo momento peggiorerebbe solo le cose (Ipsos per Rai, 9 maggio).
Due cose si possono dedurre, a questo punto.
La prima è che il voto per il Movimento 5 Stelle non è, per il prevedibile futuro, destinato a liquefarsi: come si può vedere leggendo il blog di Beppe Grillo, è portatore di proposte stravaganti a volte, massimaliste in altre, frammentarie sempre, ma anche capaci di rispondere al bisogno largamente – e comprensibilmente – diffuso di voltar pagina e archiviare una classe politica percepita come inadeguata, gerontocratica e corrotta, oltre che giurassica nelle forme di comunicazione.
La seconda è che in Italia si aprono verdi praterie a destra, nel senso che è lì, e non al centro, che c’è uno spazio di opinione oggi largamente non rappresentato. Non a caso è per lo più lì che si collocano gli astenuti (Ispo per Corriere della Sera, 11 maggio).
Che sia nell’autunno 2012 (più probabilmente se le cose vanno male e ci sarà bisogno di un’altra manovra pesante di aggiustamento dei conti pubblici) o nella primavera 2012 (più probabilmente se l’economia migliora e il rigore si allenta), anche l’Italia tornerà a votare. E a quel punto che cosa ci aspetta? Più un destino elettorale “greco” o più un destino “francese”? La risposta dipende da quale sarà la situazione economica, quanta la turbolenza sui mercati finanziari, quale la legge elettorale, quale ed eventualmente come ristrutturata rispetto a oggi l’offerta politica…
Troppe le variabili per formulare un pronostico attendibile. Auguriamoci, almeno, un pizzico di fortuna: è certo che ne avremo bisogno.
© Riproduzione riservata