L'attacco militare americano del 21 giugno 2025 contro tre siti nucleari iraniani rappresenta una svolta nell'escalation del conflitto mediorientale, con implicazioni potenziali oltre i confini regionali. Trump ha annunciato il completamento dell'attacco "molto riuscito" contro i siti nucleari di Fordow, Natanz ed Esfahan, precisando che tutti gli aerei sono usciti dallo spazio aereo iraniano dopo aver sganciato "un carico completo di bombe" sul sito primario di Fordow.
La scelta del timing dell'operazione militare non è stata la più felice.
L’effetto sorpresa sfruttato pienamente solo una settimana prima da Israele non è stato replicabile. Così, anche la distruzione dei siti potrebbe non avere eliminato materiali e asset, che potrebbero essere stati spostati e nascosti dagli iraniani nei primi otto giorni del conflitto, come dimostrerebbero alcune foto satellitari del sito stesso di Fordow, due giorni prima dell’attacco, apparse sui giornali.
Dal punto di vista dell'efficacia militare, l'Iran possedeva già la capacità di produrre materiale fissile in tempi relativamente brevi, avendo raggiunto livelli di arricchimento dell'uranio del 60%, vicini al 90% necessario per l'uranio di grado militare. Le strutture di Fordow e Natanz erano centrali per questa capacità produttiva, con stime che indicavano la possibilità di produrre abbastanza materiale per diverse bombe nucleari in un periodo che andava da poche settimane a diversi mesi.
L'utilizzo di bombardieri B-2 e di bombe bunker-buster suggerisce una pianificazione militare mirata a massimizzare l'impatto sui componenti più critici del programma nucleare iraniano: colpire non solo le capacità di arricchimento dell'uranio, ma anche le infrastrutture più difficili da ricostruire, quelle che richiederebbero anni per essere ripristinate completamente.
Tuttavia, l'analisi tecnica evidenzia che alcune componenti critiche per lo sviluppo di un'arma nucleare funzionante rimangono al di fuori del raggio d'azione di un attacco aereo convenzionale. L'iniziatore di neutroni, componente sofisticato che fornisce i neutroni iniziali per avviare la reazione a catena, e le tecnologie per la miniaturizzazione necessarie per l'adattamento missilistico rappresentano sfide tecnologiche che non possono essere risolte semplicemente con bombardamenti. Questi elementi avrebbero comunque richiesto all'Iran da uno a tre anni per essere sviluppati, anche senza l'interferenza militare americana, e avrebbero dovuto essere testati. Questo fa supporre che il bersaglio dell’iniziativa militare potrebbe essere più politico che non militare e tecnologico.
L’azione è stata significativa dal punto di vista diplomatico. L'attacco è avvenuto mentre erano in corso colloqui a Ginevra tra la delegazione europea e il ministro degli esteri iraniano, incontri coordinati con gli Stati Uniti e finalizzati a persuadere l'Iran a garantire l'uso esclusivamente civile del suo programma nucleare. Questa simultaneità temporale non può essere considerata casuale, ma rappresenta piuttosto un messaggio politico chiaro sulla priorità dell'approccio militare Usa rispetto alle soluzioni diplomatiche europee.
La dimensione politica dell'operazione si manifesta chiaramente nel suo impatto sull'alleanza strategica con Israele.
L'inserimento diretto degli Stati Uniti nel conflitto israelo-iraniano rappresenta un segnale inequivocabile di sostegno militare che va oltre le tradizionali forme di supporto diplomatico ed economico. L’escalation arriva dopo che Israele aveva lanciato una serie di attacchi contro il programma nucleare iraniano il 13 giugno 2025, dimostrando una coordinazione strategica tra i due alleati che rafforza la posizione israeliana nella regione.
Il messaggio rivolto ai nemici di Israele e degli Stati Uniti nel mondo arabo risulta chiaro: Washington mantiene la capacità e la volontà di proiettare forze militari decisive quando i suoi interessi strategici sono minacciati. La dimostrazione di potenza militare serve a contrastare la percezione di un'America ripiegata su se stessa, interessata principalmente agli affari interni ed economici nazionali. E’ stata una risposta diretta alle crescenti valutazioni di un possibile isolazionismo americano in stile MAGA. L'intervento militare diretto confuta le narrative che dipingevano gli Stati Uniti come una potenza in declino, riluttante ad assumersi responsabilità globali. Al contrario, dimostra che Washington rimane disposta a utilizzare la forza militare per proteggere i propri interessi strategici e quelli dei suoi alleati più stretti.
L'impatto sui rapporti transatlantici non è ambiguo. I colloqui di Ginevra tra i diplomatici europei e l'Iran, che avevano prodotto speranze per ulteriori dialoghi ma nessuna svolta concreta, sono stati letteralmente vanificati dall'azione militare americana. Questo sviluppo ridimensiona nuovamente il ruolo europeo nella gestione delle crisi internazionali, relegando l'Unione Europea a un ruolo marginale nelle decisioni che riguardano la sicurezza globale.
La reazione iraniana non si è fatta attendere, con l'Iran che ha denunciato gli attacchi americani come un tradimento della diplomazia, avvertendo di possibili conseguenze. La minaccia più significativa riguarda la possibile chiusura dello Stretto di Hormuz, punto nevralgico del commercio petrolifero mondiale attraverso cui transita circa il 20% del petrolio globale.

La chiusura di Hormuz, seppur votata dal parlamento iraniano come misura di ritorsione, appare improbabile nel breve termine per ragioni strategiche ed economiche fondamentali. L'Iran stesso dipende criticamente dalle esportazioni petrolifere per le sue entrate nazionali, e una chiusura prolungata dello stretto danneggerebbe sia le sue stesse capacità economiche, sia le altre nazioni del golfo, schierandole automaticamente con gli Stati Uniti e contro l’Iran.
La situazione attuale presenta elementi di instabilità che potrebbero evolversi rapidamente.
Il mondo attende la risposta iraniana dopo gli attacchi ai siti nucleari, mentre continuano le proteste a Teheran contro il raid americano. La pressione interna iraniana per una risposta proporzionata si scontra con i calcoli strategici di un regime che deve bilanciare la necessità di mantenere credibilità regionale con la sopravvivenza del sistema politico interno. Tutte le opzioni sono sul tavolo: quella del ritorno al negoziato senza ulteriori rappresaglie. Quella di una rappresaglia seguita dal negoziato, così come quella della rappresaglia ritardata nel tempo, in attesa di vedere quali sostegni forniranno all’Iran gli alleati, come Pakistan, Russia e Cina.
Le dichiarazioni ufficiali della Cina invitano a riprendere l’azione negoziale, e quelle russe sono ovviamente di condanna, ma non lasciano intendere uno schieramento a fianco dell’Iran, anche per ragioni pratiche di capacità economiche concretamente limitate della Federazione Russa, esausta dalla guerra in Ucraina.
L'operazione militare americana dimostra come la strategia di "massima pressione" ha subito un'evoluzione qualitativa, passando dalle sanzioni economiche all'azione militare diretta, ciò che accade quando le misure diplomatiche ed economiche sono insufficienti a raggiungere gli obiettivi politici desiderati.
Le implicazioni a lungo termine di questa escalation rimangono incerte. L'Iran dovrà ora ricalibrare le sue strategie nucleari e regionali in un contesto significativamente più ostile, soppesando con attenzione gli aiuti concreti degli alleati (la Cina potrebbe aver dato accesso ai suoi satelliti, per rendere più precisi i suoi lanci balistici, ma l’aiuto potrebbe essersi fermato lì, e certo ha interesse a mantenere aperto Hormuz), mentre gli alleati degli americani nella regione potrebbero sentirsi incoraggiati ad adottare posizioni più decise nei confronti di Teheran. L’interesse dei piccoli ma influenti paesi del Golfo è spingere Teheran verso il dialogo diplomatico e sul piatto non c’è solo il programma nucleare, ma la rescissione dei rapporti di fornitura militare verso i proxy Yemeniti, Hezbollah e di Hamas.
Una lezione importante di questa crisi riguarda comunque il fallimento della diplomazia europea nel gestire efficacemente le sfide alla sicurezza internazionale. Nonostante gli sforzi e i tentativi di mediazione, l'Europa si è trovata nuovamente marginalizzata di fronte alle decisioni unilaterali americane, evidenziando i limiti strutturali del suo approccio diplomatico in un contesto internazionale sempre più multi-polarizzato e militarizzato.
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