Quando Silvio Berlusconi, all'apertura delle urne il 28 marzo 1994, apprese che l'avventura politica di Forza Italia cominciava con il 21% dei voti, corrispondenti a circa otto milioni di elettori, lo considerò un risultato deludente. Fu uno dei pochi italiani a pensarlo: tutto il paese assisteva elettrizzato al crollo del sistema dei vecchi partiti, e l'affermazione di un movimento di neue politik che da zero (ma con la rilevante stampella di tre reti televisive a proprio favore) si imponeva come primo partito sembrava un trionfo. Eppure, “mi sarei aspettato di più” confidò il Cavaliere ai suoi, “Pilo mi parlava del 25”. (Di lì a poco - alle Europee '94 - avrebbe raggiunto e superato l'obiettivo).

Con quasi nove milioni di voti e un rotondo 25,6%, che ne ha fatto la lista più votata in Italia, il Movimento 5 Stelle ha ottenuto, a vent'anni di distanza, il debutto che sarebbe piaciuto a Berlusconi, e lo ha fatto con una stampa apertamente diffidente, quando non ostile. Un'aggregazione nata politicamente e ideologicamente dal nulla (mentre la Forza Italia di allora guardava al Pentapartito e ai suoi orfani) e coagulatasi intorno allo stigma carismatico e al genio retorico di Beppe Grillo ha cambiato la tradizionale geografia elettorale della penisola. Quello che segue è un primo, incompleto ritratto della nuova maggioranza grillina. Che comincia con una constatazione: a nessuno, nell'arco politico, piace essere considerato il “genitore" dei 5 Stelle. “Not my cup of tea”, dicono, con fastidio antropologico, democratici e berlusconiani, spiegando che i voti, lui, li ha presi soprattutto dagli altri. Ma è davvero così?

 

chiamulera 1 13 marzo 13
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1. Cominciamo da uno sguardo lanciato sulla mappa politica italiana 2013, realizzata con ammirevole tempismo e precisione da YouTrend.it.

Il M5S conquista cinque regioni: Liguria, Marche, Abruzzo, Sardegna, Sicilia. Due di queste sono state negli ultimi vent’anni tendenzialmente berlusconiane (Sicilia, e più debolmente Abruzzo), due sono regioni “crinale” tra destra e sinistra (Sardegna e Liguria), e una, le Marche, è da sempre un tradizionale serbatoio di voti dei progressisti.

Scomponendo il quadro nel frazionamento comunale, ecco che si profilano in modo più leggibile le vere “regioni grilline”: la Liguria occidentale e il genovese (tranne il capoluogo), il torinese (tranne il capoluogo) e le valli alpine del Piemonte, le cinture urbane di Venezia, Padova, Treviso, Udine, Belluno (con percentuali intorno al 30%), una parte del parmigiano e di Versilia, la dorsale adriatica da Rimini al Molise (intorno al 32), il Lazio da Civitavecchia a tutta l’area romana esterna al Grande Raccordo Anulare, la Sardegna nell’area di Cagliari e nel medio Campidano, e poi la Sicilia, quasi ovunque nell’isola ma con dei picchi straordinari nella parte occidentale (35%).

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Insomma un mosaico eterogeneo. Al Sud il voto al movimento prende tinte borboniche e ribellistiche ad Alcamo (48%), Trapani, Marsala, Siracusa, Agrigento, Palermo (primo partito), mentre nel Nordovest appare evidente lo spostamento di voti dalla sinistra “radicale” no Tav. Nel Nordest il quadro è ancora più complesso. Il M5S porta alla ribalta aree del Paese di solito poco interessanti dal punto di vista politico: c’eravamo abituati a ragionare in termini di “asse pedemontano” per quanto riguarda Pdl e Lega, contrapposto all’Italia “rossa” di Emilia e Toscana, ma chi avrebbe mai pensato che l’epicentro del successo grillino si potesse collocare tra Urbino, Macerata e Fermo (dove l’indotto della media impresa pellettiera e calzaturiera è fortemente colpito dalla recessione), o nella Liguria ponentina del turismo e delle spiagge, o nella pianura sarda?

2. Un voto seccamente suburbano, quello dei 5 Stelle, che pesca nei centri medi e piccoli che gravitano intorno ai capoluoghi ma che lascia i centri città e le periferie più urbanizzate nelle mani del centrosinistra, e le grandi aree rurali e paesane del Nord e del Sud a un Pdl sempre più provinciale, in senso tanto culturale quanto sociologico.

Ma il grande dato è la straordinaria duttilità del messaggio grillino, che ha pescato a piene mani tanto nell’elettorato moderato quanto in quello della sinistra. Un Giano bifronte, con tutte le fragilità e le ambiguità ideologiche che questo può comportare (e che prima o poi verranno al pettine). Un esempio rivelatore: Imperia, provincia storicamente berlusconiana, che cinque anni fa votava con il 57% l’alleanza Pdl-Lega, è ora solidamente in mano al M5S, con un tracollo che costa al Cavaliere il 27% dei voti. Qui è chiaro che la chiamata alle urne del M5S di un elettorato che forse si asteneva e forse votava Berlusconi ha danneggiato soprattutto quest’ultimo. Una cosa simile è accaduta in talune aree del Nordest: in centri di corona urbana come Albignasego, Vigonza, Villorba, Chioggia, per esempio, tutti un tempo spiccatamente berlusconiani, dove sussiste un folto sottobosco di minuscole partite Iva in piena crisi, che guadagnano spesso meno di mille euro al mese.

Secondo esempio rivelatore: le Marche, dove il crollo del centrodestra è più contenuto (-16%) e anzi viene raggiunto dal simmetrico cedimento del centrosinistra (-15,6%). Qui è evidente l’erosione della storica “regione rossa” d’Italia, che avviene però ai margini di tale area (Parma, Ferrara, il mestrino, Urbino, Grosseto, Viterbo...), mentre nel cuore (Firenze, Bologna, Pisa, Reggio Emilia) la sinistra ancora tiene. Un’interpretazione convincente del voto del 2013 suggerisce che il principale errore della campagna bersaniana sia stato strategico/organizzativo: pochi comizi, poche telefonate, poco sforzo di persuasione. Poco studio su come reggere il colpo nelle aree-chiave dove si giocava il voto, per impegnare lì piuttosto che altrove le proprie energie (questo è avvenuto, anche se ma in misura non sufficiente, in Lombardia, dove non a caso il Pd è calato meno che altrove).

3. Come illustra uno studio di Renato Mannheimer, Grillo ha infine attinto a piene mani da un elettorato che nel 2008 non aveva votato. Un grillino su tre qualche anno fa non “esisteva” elettoralmente. E non solo perché si fosse astenuto: ma perché nel 2008 non aveva ancora diciotto anni. Ecco, forse è qui che dovrebbe partire il ragionamento, anziché trattare “crocianamente” i grillini come gli hyksos che vengono a portare il caos e la distruzione, invasori sconosciuti arrivati dal nulla e destinati a tornarvi. Il Pd ha perso voti, ma nel resto d'Europa socialisti sono stati, in tempi recenti, puniti molto di più dai propri elettorati, e alcuni di essi (Francia) sono andati al governo con numeri simili a quelli nostrani. Il risultato della sinistra italiana è deludente, ma non tragico; può diventarlo, se non le riuscirà di invertire questa secca dinamica generazionale.