All’alba dei sessantanove anni Hillary Clinton è nuovamente in corsa per la presidenza americana. La saggezza conquistata nella sua ormai ventennale carriera politica la proteggerà nello scontro con gli altri candidati e dal ripetere la grande occasione mancata del 2008?

The Wisdom of Eve, "La saggezza di Eva", è il titolo di un racconto di Mary Orr del 1946 che fece da base per la sceneggiatura del film "Eva contro Eva", di Joseph L. Mankiewicz. È la storia di una attrice di teatro americana nel passaggio dalla giovinezza all'età matura, ma fin dalla scelta dell'archetipico nome Eva l'autrice ci segnala che il suo desiderio è di parlare innanzitutto delle donne, della donna. Di come tutte le donne, da sempre, debbano confrontarsi più del mondo maschile con l'autunno della bellezza, l'invecchiamento, la perdita di seduzione. Di come il tempo sottragga alla donna parte dell'antico potere, ma le offra anche la possibilità di crescere, migliorarsi, allontanarsi dal ruolo di icona e acquisire nuove dimensioni.

Esiste una saggezza di Hillary Clinton, ora che la candidata alla presidenza americana si avvicina ai sessantanove anni, una saggezza conquistata nella sua ormai ventennale carriera politica? E tale saggezza la metterà al riparo dalle sfide di una campagna presidenziale che si annuncia lunga e complessa? Era il 1995 quando Hillary, allora first lady, tenne il famoso discorso di Pechino sui diritti delle donne, che si può considerarne il battesimo quale voce autonoma rispetto alla carismatica figura del marito. Tre anni dopo venne lo scandalo Lewinsky. Nel 2006-2007 il debutto dell'avventura presidenziale. Poi quattro anni da Segretario di Stato. Una carriera al tempo stesso lineare ed eclettica: prima donna ad avere reali chance di accedere alla presidenza, non c'è dubbio che Hillary sia la più esperta, la più saggia politicamente tra i candidati presentatisi per il 2016 - e il primo dibattito democratico del 13 ottobre ne è stato la prova. Ma quello che mostra il dibattito è forse una nuova saggezza, estesa ai campi della empatia, della affabilità, persino - è lecito usare questo termine in politica? - della dolcezza. Hillary - figura caratterialmente divisiva, fin qui: amata ma spesso odiata, percepita come inossidabile parte dell'establishment - è stata capace di accogliere con grande naturalezza l'assist che le ha fornito Bernie Sanders quando è sbottato: "sono stanco e stufo di sentir parlare delle tue dannate mail". "Anche io", ha risposto lei, in un sorriso allargatosi a una risata, e gli ha stretto la mano. E poi, in molti punti del dibattito, è apparsa estremamente a suo agio, non costretta dall'urgenza di esibire una preparazione e una grinta che le sono ormai riconosciute.

Certo, è possibile che questo non dipenda solo da Clinton e dai suoi anni di esperienza politica e umana - un cursus honorum servirà pure a qualcosa, in fondo? -, che la mettono finalmente a riparo dalla retorica machista. Come nota il Washington Post, è anche l'America che è cambiata. In otto anni, i consiglieri di Hillary non le chiedono più di esibire tratti mascolini per camuffare o moderare lo "scandalo" di una donna candidata, non le suggeriscono di imitare Margaret Thatcher o Golda Meir. L'antropologia liberal è penetrata più a fondo nel sistema politico statunitense.

L'esperienza maturata da Hillary la proteggerà dal ripetere la grande occasione mancata del 2008? Allora fu la travolgente avanzata di Obama a fermarne la candidatura, nonostante l'impressionante dispiegamento di mezzi economici. Nel 2016 avrebbe potuto farlo la "forza tranquilla" della candidatura di Biden. My redemption, "la mia redenzione", si intitolava l'accattivante spot in bianconero che gli chiedeva di scendere in campo: "Joe, run". Ma Biden ha annunciato che non si candiderà, allungando la lista di quanti hanno preferito non turbare la possibile ascesa dell’ex Segretario di Stato. Se non ci saranno ulteriori colpi di scena, sembra essere solo la allegra opposizione da sinistra di Sanders a impensierire Hillary, che nel terzo trimestre dell'anno ha raccolto meno finanziamenti del previsto (ma che resta comunque in testa, con trenta milioni di dollari contro i 26 di Sanders e il milione di Martin O'Malley). Hillary occuperà presumibilmente quello che Schlesinger definì in modo memorabile il “Vital Center” della politica americana: a sinistra del centro, ma con le armi possenti della ragione e del buon senso. Sanders è forte, ma divisivo, dotato di un’oratoria rugginosa (e anche lui non è esattamente un adolescente). Resta una sfida antropologica: rompere la barriera dell’empatia, trasformare il buon esito del primo dibattito democratico in una nuova consuetudine. È una strada in salita, e l'essere donna, per fortuna, non basterà. Hillary dovrà mostrare forza, e saggezza.