Nel 1990 un amico fraterno, che era tra i leader che guidavano il Movimento della Pantera all’interno della Facoltà di Giurisprudenza di Torino, dopo avere occupato l’occupabile tappezzò le pareti con carta di giornale arringando più o meno così il popolo studente: «Quando l’occupazione finirà, tutto deve essere lasciato pulito e in ordine come lo abbiamo trovato. Protestiamo contro la riforma Ruberti e lo sfacelo delle strutture, ma non gli offriremo il fianco per denigrare questa sacrosanta contestazione definendoci dei vandali». Non è letterale, ma quasi.
A Lettere e Filosofia, dove ero iscritto, ma senza frequentare visto che già lavoravo, le cose andarono meno bene. Prevalse lo spirito para-rivoluzionario e la facoltà divenne un bivacco. Ovviamente i leader di allora sono diventati, per lo più, membri attivi della confraternita dei comunisti con il Rolex. È ciclico, non si scappa.
I ragazzi di Ultima Generazione, che imbrattano le opere d’arte, i palazzi della politica e fermano la circolazione delle statali nei momenti di massimo traffico, sono coloro che manifestano adesso quello spirito di ribellione che per la mia generazione è stata (anche) la Pantera. L’istanza è diversa, sicuramente più urgente rispetto a una riforma scolastica che viene giudicata nefasta. In gioco c’è molto altro, ovviamente, e si legge con chiarezza il tratto disperato di questi gesti plateali.
Però, per me, rimane un aspetto dirimente nel giudicare una contestazione: il rispetto della cosa pubblica, di ciò che appartiene a tutti. Che c’era ieri, c’è
oggi e ho il dovere di preservare domani. Vale anche per un Van Gogh, non solo per l’acqua. Capisco che il gesto è dimostrativo, che sui quadri presi di mira c’è un vetro, ma ormai la stura è stata data. Il cretino con un martello che si avventa sulla pietà di Michelangelo lo abbiamo già visto.
Quel mio fraterno amico, che protesse la Facoltà di Giurisprudenza dal bivacco, aveva ragione da vendere. Non solo: quando è diventato avvocato, un bravo avvocato, non si è fatto triturare dal sistema. Ha il vezzo delle moto e se lo concede, ma nella sua professione l’etica è solida come roccia e non ha perso di vista il suo modo rispettoso di relazionarsi con la cosa pubblica. Sarà per questo che siamo ancora amici fraterni.
Lo so che anche l’ambiente è di tutti, è “la cosa pubblica” per eccellenza. Non mi sfugge. Infatti ciò che mi ha spinto a scrivere l’ennesimo parere non richiesto, è stato il frammento di una trasmissione de La7 nel quale mi sono imbattuto scrollando la timeline di Facebook. L'economista Daniele Archibusi, uno con il cuore che guarda a Ultima Generazione con grande attenzione, ha chiesto a uno dei leader di UG presenti in studio: «Come sei arrivato fin qui dalla stazione?». Risposta: «In taxi».
Già, ha risposto proprio così: in taxi.
L’economista, senza alcuna vis polemica ha fatto notare che la scelta del taxi è stata avventata, che meglio sarebbe stato prendere un mezzo pubblico, perchè per un leader l’esempio è tutto, è la molla che motiva gli altri e che rende un’azione credibile. L’appello di Ultima Generazione è condivisibile in tutta la sua drammaticità e urgenza, ma se il bene comune ti interessa, ma solo in parte, e se puoi prendi il taxi invece della metro, abbiamo di fronte il solito problema, quello che ci perseguita dal Sessantotto e che arriva fino alle vacanze extra lusso di Giuseppi Che Guevara Conte a Cortina d’Ampezzo: l’ipocrisia dell’azione politica. Predicare benissimo, razzolare come capita.
Temo non sia un gran bel segnale. Spero di sbagliarmi, perchè questa volta c’è in gioco molto di più di una vita da leader.
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