La vendita dell’Nft del Tonto Doni di Michelangelo custodito nel museo fiorentino degli Uffizi ha suscitato molte polemiche e pone un problema mai affrontato come accade quando un’innovazione tecnologica irrompe su un tessuto normativo preesistente che non la poteva prevedere.

Intanto va spiegata la sigla Nft (Non Fungible Tokens) che rappresenta un contenitore digitale (file) che conserva l’immagine di un’opera che viene registrata in una piattaforma e che diventa una sorta di certificato di autenticità digitale del bene, che resta unico e diventa trasmissibile.

In sostanza una nuova creazione può essere realizzata con modalità tradizionale oppure trasferita in digitale e in questo caso può essere commercializzata dopo che la carta o la tela o la scultura è stata distrutta. Così ha fatto provocatoriamente il noto artista inglese Damien Hirst che l’anno scorso ha bruciato decine di sue opere in diretta streaming dopo aver realizzato e venduto le versioni digitali in Nft. Lo scenario che si potrebbe preannunciare è dunque quello di una pinacoteca pubblica o privata ridotta ad una scatola di pendrive.

L'artista di Bristol Damien Hirst ha fatto una scelta radicale con le sue opere

Analogo sistema può essere utilizzato per le edizioni limitate e cioè per quei multipli numerati dell’opera che l’artista firma e distribuisce. Nulla vieta che tale pratica possa essere adottata, se autorizzata e se gestita con le regole proprie dei beni pubblici, anche per i capolavori museali che diventano oggetto di merchandising.

Attenzione però: la vendita di questi gadget, anche in formato di Nft, non significano cessione del diritto di riprodurre o diffondere l’immagine perché questo diritto deve essere espressamente ceduto. Il che, per quanto riguarda le opere museali, deve restare assolutamente escluso.

Ciò significa che l’acquirente di un’opera multipla custodita in Nft può gustarsi privatamente l’immagine e nulla più.

Così volgarizzato il problema sorto con l’iniziativa degli Uffizi sembra di facile soluzione ma è evidente che si rende necessaria una regolamentazione che disciplini la materia e che scongiuri l’indebolimento dei diritti di immagine dei capolavori museali. In attesa di capire se il mondo della creatività artistica virtuale, Metaverso compreso, si diffonderà o se farà la brutta fine di Second Life.

*Avvocato in Torino