La recente manifestazione d’interesse del fondo KKR sul 100% delle azioni Tim riporta d’attualità il ruolo dello Stato nell’economia e rilancia la questione mai risolta della separazione della rete. L’OPA (Offerta Pubblica di Acquisto) di KKR giunge al termine di una lunga stagione di investimenti del fondo statunitense nel settore delle infrastrutture digitali in Europa e, nell’aprile di quest’anno, anche in Italia con l’ingresso nel capitale di FiberCop.

Il settore d’intervento è d’interesse nazionale. E rappresenta una sfida economica per il fondo di private equity che per Tim è disposto a investire oltre 10 miliardi di euro. Da alcune settimane sono in corso operazioni di posizionamento in merito al futuro del campione nazionale delle telecomunicazioni. Tim, partecipata dallo Stato tramite CDP, detiene gran parte della rete su cui viaggiano quotidianamente comunicazioni personali e dati commerciali. La stessa infrastruttura svolge una funzione strategica nel settore della difesa e sicurezza.

Sottoposta a un complesso sistema di gestione e controllo affidato a Telecom Sparkle, che gestisce i 600mila chilometri di cavi in fibra ottica (perlopiù sottomarini), e a Telsy, che vigila sulla loro cifratura e sicurezza, la rete Tim è dunque un bene strategico irrinunciabile che connette il Paese.

L’avance di KKR rende attuale e urgente il progetto della rete unica

Si tratta di un’operazione pendente da tempo e che, allo stato, ipotizza la fusione tra Open Fiber (controllata al 60% da CDP) e FiberCop (oggi partecipata al 58% da TIM, al 37,5% da KKR e al 4,5% da Fastweb) al fine di diffondere su tutto il territorio nazionale la rete veloce.

Su questo dossier complesso e delicato il Governo è chiamato a esprimersi e a valutare se esercitare e, nel caso, con quale estensione il cosiddetti golden power. È infatti per salvaguardare gli assetti delle imprese operanti in ambiti ritenuti strategici e di interesse nazionale che recenti interventi legislativi hannoriservato al Governo l’esercizio di nuovi e speciali poteri decisionali e di veto estendendoli ai settori dell’energia, dei trasporti e delle telecomunicazioni.

Ilgolden power, istituito con D.L. 15 marzo 2012, n. 21 e recentemente modificato e ampliato dal D.L. 8 aprile 2020, n. 23 (Decreto Liquidità), da ultimo è stato esteso nei termini suindicati dal D.P.C.M. 23 dicembre 2020, n. 180.

Perché occorre l'intervento dello Stato

Ritengo assolutamente auspicabile un intervento di sistema dello Stato nell’economia con il ruolo di scudo per le compagnie strategiche italiane, i c.d. “campioni nazionali”, di rilancio del sistema industriale e a tutela dei livelli occupazionali.

È fondamentale chiarire al mercato che lo Stato è vigile sugli asset strategici del Paese, che devono essere salvaguardati da incursioni di investitori stranieri se con obiettivi distanti dal bene nazionale. La rilevanza della rete e della proprietà, è un tema strategico che non può essere lasciato alla sola iniziativa del libero mercato.

L’evoluzione dell’infrastruttura di rete è un passaggio fondamentale del processo di digitalizzazione delle PMI e il ruolo dello Stato deve essere quello di garante della creazione di valore anche per le imprese private.

Si auspica quindi che l’intervento del Governo proceda nel senso di rafforzare una politica industriale d’interesse nazionale, capace di beneficiare del supporto d’investitori esteri senza rinunciare all’italianità delle eccellenze imprenditoriali strategiche, anche avvalendosi del modello di partnership tra pubblico e privato. Ritengo, inoltre, fondamentale il conseguimento del progetto di creazione della rete unica, passaggio imprescindibile per garantire il controllo nazionale dell’infrastruttura e delle sue funzioni.

Si tratta di un obiettivo necessario e coerente con lo spirito del PNRR: aggiornare la funzione economico-sociale dello Stato per creare un argine a possibili default e sostenere i consumi e gli investimenti all’interno di una politica industriale di sostegno e rilancio dell’economia.