Dopo un periodo di sospensione dei lavori seguito al lancio del nuovo sito del Centro Einaudi, la testata editoriale nata dall’idea di Alberto Musy riprende le pubblicazioni, con nuova energia e grandi aspettative.

Agenda Liberale fu un’intuizione di Alberto Musy che, nella sua intensa e preziosa partecipazione alla vita del Centro Einaudi, la pensò come strumento per rafforzare la presenza delle idee liberali nel dibattito sulle policies. Da questa settimana, essa riprende il cammino, dopo un cantiere di riflessione che ha fatto seguito al ripensamento complessivo del sito del Centro Einaudi. Quest’ultimo completa così la gamma dei suoi prodotti editoriali, tutti ormai esclusivamente on-line: la gloriosa rivista “Biblioteca della Libertà”, che da cinquant’anni scandisce la storia del Centro e che si conferma strumento insostituibile di approfondimento del pensiero liberale, offrendosi ora in particolare come palestra per giovani studiosi; l’innovativo “Quadrante Futuro”, curato da Mario Deaglio nella forma di un moderno atlante di informazione economica (e non solo) orientato sui quattro fuochi principali: Terra, Paesi, Settori e Congiuntura (più un Focus sull’Italia); e “Lettera Economica”, curata da Giorgio Arfaras, che da diversi anni risponde in modo indipendente, sintetico e aggiornato alla crescente domanda di informazione economica e finanziaria.

Rispetto alle altre testate, Agenda liberale intende innanzi tutto mettere a disposizione del dibattito sulle idee i risultati, le sollecitazioni, i fermenti provenienti dalle proprie attività e da quelle del Centro, ricche di incontri e di confronti spesso particolarmente in linea con l’attualità. In secondo luogo, Agenda Liberale intende offrire una palestra agli studiosi che partecipano alle ricerche del Centro Einaudi, a partire da quelli più giovani, invitandoli a misurarsi con l’elaborazione di analisi e proposte di politiche possibili. Ancora, questa testata cercherà di favorire una disseminazione più ampia delle analisi liberali sui temi più d’attualità, favorendo anche il confronto all’interno del mondo liberale che, spesso, su temi controversi, non la pensa (ovviamente) sempre allo stesso modo; infine, si offrirà come supporto al mare magnum dell’informazione, scritta e on-line, per veicolare prese di posizione e commenti di stampo liberale, che oggi non è facilissimo individuare.

Lo sforzo di Agenda Liberale sarà sostenuto, in primo luogo, dal Comitato direttivo del Centro, che svolgerà le funzioni anche di Comitato editoriale, fornendo sollecitazioni, consigli e proposte; quindi, naturalmente, dall’impegno di chi al Centro lavora quotidianamente, a partire dal Direttore, Giuseppe Russo, che con me apre questa nuova serie della testata; e dai collaboratori, dei quali alcuni fedeli e sperimentati, il cui numero intendiamo allargare per costituire una rete sempre più articolata e radicata nel Paese, nelle università, nei centri studi e nelle diverse segmentazioni della vita associata (a proposito, chi si candida a intervenire troverà qui le modalità per farlo). I loro sforzi saranno coordinati da Francesca Rota, una giovane studiosa da tempo attiva nel Centro, nel quale riporta l’operoso contributo di un nome che al Centro è rimasto particolarmente caro, quello di Giorgio Rota: a tutti – Comitato, Direttore e personale, collaboratori e coordinatrice – va il mio ringraziamento caloroso e l’augurio (reciproco) di buon lavoro.

Dare vita a un nuovo strumento di diffusione delle idee liberali è particolarmente importante e attuale. Il pendolo della storia sembra allontanarsi dal picco degli entusiasmi per la cultura liberale: troppo poco è durata l’illusione che fossimo diventati “tutti liberali”; ma, soprattutto, troppo forte si è fatta la disillusione sulla sincerità e profondità di questa presunta svolta. Difendere le ragioni della libertà è tornato a farsi difficile, in alcuni casi pericoloso: se i totalitarismi tradizionali appaiono definitivamente sconfitti e delegittimati, nuove forme di chiusura, intolleranza, fanatismo e violenza si diffondono nel mondo.

Non c’è solo l’integralismo islamico che minaccia le condizioni di una serena convivenza tra genti di idee, religioni e tradizioni la diversità delle quali non dovrebbe necessariamente determinare la mancanza di rispetto reciproco. Un tarlo sembra corrodere le stesse istituzioni della democrazia liberale, quale l’abbiamo costruita in un faticoso processo di conquiste ideali e politiche durato secoli: non a caso, si moltiplica la produzione di libri che segnalano (e festeggiano) la “fine della politica”, addirittura l’inutilità delle elezioni e la conseguente necessità di archiviare il modello della democrazia rappresentativa che - aggiungo io - è tale solo se liberale.

Se poi abbandoniamo i libri e passeggiamo per la Rete e sui social forum, verifichiamo facilmente il tasso di intolleranza, di violenza verbale, di rifiuto all’ascolto delle voci critiche che corre su quelle piattaforme; sembra che benessere diffuso (comunque straordinariamente superiore a quello goduto solo pochi decenni fa) e progresso della tecnologia abbiano contribuito a creare non una società più consapevole, ma un mondo sempre meno “aperto” (à la Popper) in termini appunto di predisposizione al dialogo, al confronto, alla critica: un mondo sempre più violento (non solo a parole) e conformista, e sempre meno responsabile.

Non è il profilo di una società liberale. Ma i liberali non disperano. Consapevoli anche di rappresentare uno dei pochi poli di pensiero politico organizzato e coerente, a fronte delle difficoltà che tradizioni politico-culturali altrettanto nobili e radicate, quali il socialismo democratico, stanno attraversando. In molti Paesi, peraltro, la stessa presenza negli organismi di rappresentanza politica delle forze di ispirazione liberale è messa a repentaglio o pesantemente in forse, come dimostrano le débâcle subite da due storici partiti liberali, quali il tedesco e il britannico. In Italia, il contorto e inefficace bipolarismo nato sulle macerie della Prima Repubblica ha favorito una polarizzazione di carattere personalistico che ha lasciato poco spazio alle raffinate analisi liberali. Ma la tendenza è universale: la semplificazione brutale del dibattito, l’esasperazione dei caratteri personalistici, la fiducia in forme rudi di decisionismo rendono la politica uno spazio sempre più rozzo, dove si combatte a colpi di slogan e si cerca ispirazione non nei maestri ma nei sondaggi. Una politica così brutalmente semplificata, d’altra parte, deve misurarsi con problemi sempre più complessi che gli slogan non bastano ad affrontare. La globalizzazione, la pervasività della finanza, la nuova divisione del lavoro, l’evolversi della geografia economica, i nuovi squilibri internazionali rendono il pianeta sempre più complesso: l’annuale Rapporto sull’economia globale e l’Italia, curato da Mario Deaglio (lo presenteremo a Milano il 23 novembre) ne offre una puntuale e insostituibile lettura.

In questi termini, abbiamo bisogno di più democrazia, di migliore politica e di più diffusa intelligenza: senza entrare nel merito delle ricette possibili, l’impegno prioritario dovrebbe essere quello di favorire una condivisa rilegittimazione del confronto politico, senza il quale non può esserci società libera. Perché la fatale alternativa non potrebbe che essere rappresentata dal ricorso o a scorciatoie di natura personalistica, ovvero a forme di permanente mobilitazione di comunità virtuali, tanto fragorose quanto fanatiche: ma il giacobinismo elettronico e i soviet on line non risulterebbero meno fatali alla democrazia dei loro antichi, reali e non rimpianti predecessori. La rilegittimazione passa necessariamente dalla dimostrazione che la politica serve per rafforzare le condizioni di convivenza. Ad esempio, è facile prendersela con l’austerità; ben più complesso è definire il profilo della cittadinanza moderna, il ruolo dello Stato, lo spazio per la responsabilizzazione civica: la ricerca sul nuovo Welfare guidata da Maurizio Ferrera è un ulteriore contributo del Centro a questo dibattito. Dunque, la democrazia si rafforza seminando idee e sperimentando soluzioni; e la libertà si tutela attraverso il pluralismo e un po’ di sano anti-conformismo.

Il pensiero democratico-liberale dovrà dunque vedersela principalmente con le schiamazzanti sirene del populismo? È probabile, e i nostri autori non mancheranno di esercitarsi sul tema, suscitando – ne sono certo – un dibattito che andrà oltre la ristretta cerchia degli amici del Centro Einaudi: il nostro nume, del resto, non potrebbe che apprezzare lo sforzo, condotto nel suo nome, di favorire un dibattito ancorato alla realtà, che non per questo rinuncia alle proprie idealità e alla propria visione del mondo. E poiché sappiamo che le idee camminano sulle gambe degli uomini, sentiamo l’impegno non meno importante di favorire la formazione di classe dirigente di cui questa istituzione, per cinquant’anni, è stata fucina generosa. Agenda Liberale non trascurerà questa funzione.