Nelle scorse settimane due episodi di cronaca particolarmente gravi paiono porci di fronte a un quesito: esiste in Italia un movimento animalista serio? Quali speranze abbiamo di avere un dibattito pubblico intelligente sul tema controverso dei diritti degli animali?

1. Il primo caso riguarda l’aggressione subita da Ignazio Marino da parte di un gruppo di animalisti. Il candidato sindaco al Comune di Roma è stato alacremente contestato a Campo de’ Fiori per via della sua attività medica precedente alla carriera politica. L’accusa degli animalisti, infatti, si riferiva a uno studio sui babbuini a cui Marino aveva partecipato nel 1992, il cui obiettivo era quello di mettere a punto una tecnica efficiente per il trapianto di fegato. I contestatori non hanno lasciato alcuno spazio di replica al candidato del Pd costringendolo a correre ai ripari, tanto che la polizia è dovuta intervenire per sedare la protesta e riportare l’ordine. 

Il secondo episodio, invece, si è svolto a Milano e ne è stata protagonista l’associazione animalista "Fermare Green Hill". Sabato 20 Aprile 2013 cinque attivisti hanno occupato il quarto piano della facoltà di farmacologia dell’Università degli Studi. Si sono introdotti nei laboratori, dove vengono condotti esperimenti per la realizzazione di farmaci, hanno liberato centinaia di cavie (senza curarsi se fossero infette oppure no), hanno mischiato e confuso targhette di riconoscimento e così distrutto il lavoro degli scienziati. I danni provocati da questa azione di protesta sono difficili da quantificare, non solo in termini di denaro, ma anche di avanzamento medico-scientifico. Gli animali coinvolti, infatti, erano inseriti in un programma di ricerca riguardante soprattutto malattie del sistema nervoso attualmente senza cura, quali il morbo di Parkinson, la sclerosi multipla, la sclerosi laterale amiotrofica, la sindrome di Prader-Willi. L’episodio è talmente eclatante che persino la rivista Nature ne ha parlato negli scorsi giorni.

Queste azioni sono state definite dagli attivisti stessi atti di disobbedienza civile, ma siamo sicuri che proteste come quelle contro Marino o la distruzione del laboratorio della Statale possano essere inserite in questo contesto?

2. Seguendo Rawls, si può definire disobbedienza civile un atto di coscienza pubblico, non violento, politico, contrario alla legge, compiuto con lo scopo di produrre un cambiamento nella legge. Con questa definizione si intende dire che sono atti di disobbedienza civile quelle speciali azioni che sono supportate da valori di giustizia pubblicamente condivisi, che sottostanno all’ordinamento politico e che mirano al cambiamento legislativo in una situazione in cui tale cambiamento non può avvenire per via istituzionale. L’esempio più chiaro di disobbedienza civile è sicuramente rappresentato dal movimento per l’acquisizione dei diritti civili della comunità afroamericana negli Stati Uniti negli anni Sessanta.

Ma "fermare Green Hill" e Martin Luther King Jr. possono essere messi sullo stesso piano?

Per prima cosa, è importante notare come le proteste di queste settimane non possano essere considerate non violente. Per quanto nessun individuo abbia subito danni fisici, costringere una persona alla fuga impedendogli il confronto e, soprattutto, occupare un laboratorio con la forza, invadendo così lo spazio altrui, e distruggere documenti e lavoro di altri non possono essere considerati atti pacifici.

In queste circostanze gli animalisti hanno agito attivamente e non certo passivamente, come facevano invece i freedom riders che occupavano i posti sugli autobus per soli bianchi nella speranza di essere arrestati. Essi sapevano che posti al cospetto della legge le loro ragioni avrebbero alla lunga prevalso, e non si sbagliavano. Se oggi abbiamo un presidente nero negli Stati Uniti lo si deve anche e soprattutto alle lotte non violente di questi cittadini coraggiosi.

Un’altra cosa da notare è il riferimento ai principi politici che devono guidare l’azione di disobbedienza civile. Questa, infatti, non è giustificata se si fonda su ragioni personali (in quel caso di parla di obiezione di coscienza), ma su ragioni pubbliche. Si tratta quindi di azioni che mirano a criticare l’esclusione da parte di minoranze da diritti che altri cittadini invece hanno. In questo senso, sembra difficile pensare che gli animali possano essere considerati veri e propri cittadini di una comunità politica, con gli stessi diritti e doveri degli esseri umani.

Infine, per Rawls, la disobbedienza civile rappresenta una forma di protesta tanto estrema da essere giustificata solo in casi speciali in cui sono messi in discussione i principi di giustizia fondamentali di una società liberale, ovvero il principio di libertà e il principio dell’equa eguaglianza delle opportunità. Anche sotto questo punto di vista, sembra quantomeno controverso pensare che fare esperimenti sugli animali sia pericoloso per la libertà ed eguaglianza dei cittadini.

Ora, nonostante non possano essere definite azioni di disobbedienza civile, come dobbiamo porci di fronte a queste proteste?

3. Dal punto di vista del metodo, al di là del problema della disobbedienza civile, bisogna dire che all’interno di una società democratica qualsiasi soppressione del dialogo o di espressione di idee e la deliberata distruzione del lavoro altrui sono sempre ingiustificate e da condannare. Inoltre, dal punto di vista dell’efficacia, sembra difficile pensare che proteste come quelle di questi giorni possano davvero porre l’attenzione su un argomento complesso come quello dei diritti degli animali.

Esporsi e impegnarsi per un cambiamento legislativo è sicuramente meno forte da un punto di vista mediatico, ma allo stesso tempo molto più efficiente da quello dei risultati concreti. Ovviamente, è più incisivo sul lungo periodo cambiare una legge piuttosto che liberare cento topi. Sotto questo aspetto, tra l’altro, bisogna ricordare che esiste una direttiva europea sulla sperimentazione animale in vigore dal 2010 per garantire la protezione degli animali utilizzati a fini scientifici. La norma è il prodotto di un lungo iter legislativo e di un dibattito che ha coinvolto associazioni ambientaliste e animaliste - tanto è vero che è stata approvata dall’organizzazione Eurogroup for animals, di cui fanno parte i principali gruppi animalisti di vari paesi europei, tra cui l’italiana Lega antivivisezione.

La direttiva si basa su due principi fondamentali, da un lato quello della limitazione della sperimentazione solo a scopo medico e della sostituzione dell’uso degli animali con metodi alternativi, quando possibile; dall’altro quello della minima sofferenza da parte degli animali: i metodi di anestesia e le procedure chirurgiche utilizzate in laboratorio devono eliminare o comunque ridurre il più possibile il dolore degli animali nel corso dell’esperimento.

Per quel che riguarda il merito della questione, invece, le cose sono più complicate. Uno dei grandi problemi del dibattito pubblico italiano su questioni controverse, come è quella dei diritti degli animali, è di non riconoscerne la complessità. Capire se e in che senso gli animali sono soggetti di diritto non è semplice, soprattutto perché esiste un disaccordo non componibile sul loro status morale. Esistono infatti due argomenti filosofici (e in quanto tali non falsificabili scientificamente) in contraddizione tra loro ed egualmente potenti. Da un lato, infatti, sembra giusto pensare che non si debba disporre del corpo degli animali, in quanto capaci di provare dolore come gli esseri umani. Dall’altro, però, sembra egualmente intuitivo pensare che possa esistere una sorta di gradazione morale tra specie viventi diverse a seconda della capacità di ciascuno di muoversi e interagire col mondo. Del resto, sembra difficile pensare che un essere umano non sia diverso da un gatto, che un delfino non sia diverso da una pianta, o che un leopardo non sia diverso da un batterio.

Un altro punto di complessità riguarda il fatto che la questione sui diritti degli animali è inserito in un dibattito più ampio circa il rapporto tra il regno della possibilità e quello della moralità, ovvero se il fatto che la tecnologia e la scienza permettono di intraprendere determinati percorsi rende, di per sé, questi percorsi giustificati. È banale dire che il fatto di sapere mettere a punto armi chimiche o nucleari non rende l’utilizzo di queste giustificate da un punto di vista morale (al di là del loro impiego effettivo). Quando si tratta di cavie da laboratorio, però, non è altrettanto chiaro che la sperimentazione per la realizzazione di farmaci contro malattie attualmente incurabili sia allo stesso modo deprecabile. La domanda che dobbiamo porci è se la vita di un topo sia sullo stesso piano di quello di un malato di sla.

Convinzioni morali differenti inevitabilmente portano a risposte differenti. Il punto importante, però, è che in una democrazia questo tipo di dibattito, vertendo come verte su questioni non componibili e fondamentali, non può né essere messo da parte, né affrontato con mezzi diversi da quello del dialogo, anche aspro ma civile, e dal riconoscimento della complessità dell’argomento.

 

Immagine: Teddy Bear Natural History di Stephanie Metz.