Tutto comprendere non è tutto perdonare, tuonava Nietzsche rovesciando una delle massime di Pascal. Oggi è il turno dei liberali capire che cosa intendeva. Circola in rete un video in cui Bertinotti ammette che il comunisimo ha fallito la propria missione storica, non per via del destino cinico e baro, ma dilaniato dalle sue stesse contraddizioni interne. Alla fine del video, chi è sempre stato su posizioni politiche liberali, si sente giustamente vendicato. Abituati a essere guardati dall’alto verso il basso dal benpensante di sinistra, le parole di Bertinotti suonano paiono finalmente vendicare il buon senso. Tanto che alla fine verrebbe anche da perdonare quest’uomo in fondo civile, educato, bonario. Ma pensiamoci bene. Un conto è l’onore delle armi, che Bertinotti senz’altro merita per il candore della sua ammissione (non è da tutti, infatti, ammettere di aver dedicato la propria vita al futuro di un errore). Ma tutto comprendere deve essere per forza tutto perdonare?

 

1. Prendiamo un’altra e ben più attuale ammissione di colpa. Quando Renzi, da segretario del Pd, accusa la Cgil di difendere una ideologia appoggiando a spada tratta l’articolo 18 - e non gli interessi dei lavoratori - ammette implicitamente ed esplicitamente che la storia del suo partito è una lunga e protratta vacanza dalla realtà. Tanto che la minoranza del partito (che Renzi chiama “la vecchia guardia”) è oggi sul piede di guerra. Possiamo dire che anche in questo caso tutto comprendere è tutto perdonare?

Da un certo punto di vista, potremmo. In fin dei conti, se finalmente riusciamo a uscire dal tunnel in cui ci siamo infilati con l’ossificazione in senso para-costituzionale dello Statuto dei lavoratori, tutto di guadagnato. In fondo perdonare è divino - se si è dalla parte giusta della storia. Il compromesso democristiano fra popolari e comunisti ha devastato l’economia e quindi la mentalità del paese; ma tant’è, se possiamo finalmente metterci una pietra sopra, tanto meglio.

2. Un primo monito contro questo atteggiamento “celestiale” ci viene dalla storia intellettuale. Quello a cui stiamo assistendo è il ripetersi di un luogo topico di ogni cultura cattolica. Si chiama “pentimento”. Le culture protestanti non frequentano molto questo concetto e neanche l’ebraismo pare interessato a dargli troppo peso. Il pentimento è l’attimo di contrizione finale che assicura, se non direttamente il paradiso, almeno indirettamente il purgatorio, e quindi la vita eterna. Per quanto il massimo esponente di questo atteggiamento morale possa essere trovato nell’operato dell’inglese padre Brown, il parroco-detective inventato da G.K. Chesterton, si tratta in fondo di una inclinazione tipicamente italiana, il paese cattolico per antonomasia. Dalla catechizzazione scolastica della Commedia dantesca alla legislatura sui “pentiti” di ogni risma, l’italiano non trova alcuna difficoltà nel perdonare anche il più sfrontato dei peccatori. Ma se in passato questo avveniva sul letto di morte, e dopo un’esistenza miserabile, o in galera, oggi basta una apparizione video a segnalare la contrizione. Troppo poco.

Che in politica non si tratti di una buona prassi è evidente. Fa parte, anzi è uno dei motori del gattopardismo nazionale, per cui tutto cambia proprio perché non cambi nulla. Abbiamo sbagliato compagni, continuiamo così - dice Bertinotti, a ben comprendere le sue parole. In fondo anche papa Francesco è dei nostri, sottolinea. E se il Papa dice che il capitalismo è una porcata, noi avremmo pure mancato il bersaglio nei modi (la lotta di classe rivoluzionaria) ma il bersaglio è ancora lì, da colpire.

3. Un altro motivo per non perdonare automaticamente chi ammette di aver sbagliato lo si trova in quanto sta accadendo in queste ore intorno al cosiddetto Jobs Act (quando la smetteremo di usare a caso l’inglese sarà sempre troppo tardi). Invece di svolgere per intero il ragionamento, che porta alla giusta conclusione che occorre rimodulare il mercato del lavoro, Renzi e i suoi continuano a fare “a muina” della lotta ideologica. Ci costringono a ragionare come loro facendoci partire dalle stese premesse (sbagliate). Quindi ci costringono a partecipare a una battaglia di clave a cui noi liberali non apparteniamo, né per inclinazione né per bagaglio culturale. Renzi sarebbe un liberista selvaggio, anzi peggio. Una Margaret Thatcher rediviva.

Il motivo per cui il mercato del lavoro va rimodulato non sta nella demonizzazione dell’avversario tipico del cattolicesimo secolarizzato che passa per sinistra in Italia. Matteo Renzi non è Thatcher in ritardo sulla storia, anche perché la Thatcher non è il demonio. Avessimo fatto anche noi alcune delle riforme compiute dalla Thatcher e da Reagan negli anni Ottanta, oggi non saremmo al punto in cui siamo. Il vero motivo che spinge verso una rimodulazione è che produce diseguaglianza. (E questo è un discorso di sinistra, sia chiaro). Non può esistere che in ragione della data di nascita un cittadino abbia tutte le tutele immaginabili e un altro no. Mantenere fermo il mercato del lavoro al 1970 (anno in cui fu promulgato lo Statuto dei lavoratori) ha prodotto una casta di assunti a vita e una plebe di “precari” (termine che ha sostituito “proletari” nella noiosa prosopopea della dogmatica di sinistra).

4. Con l'avvento dell'economia della conoscenza, il lavoro si è in parte dematerializzato uscendo dalla fabbrica ottocentesca. Irreggimentare questa nuova forma di lavoro come se avvenisse ancora in fabbrica, e fosse un lavoro usurante, è non aver capito - o voluto capire - un bel nulla di quello che è successo negli ultimi trent'anni. 

Essendo dunque mutati il contesto storico e la natura stessa del lavoro, non modificare lo Statuto ha portato ad una ossificazione del mercato del lavoro ingiusta e - lasciatecelo dire - insensata. Un conto è tutelare i deboli. Un altro è formare una casta gerontocratica a cui si concedono tutti i privilegi in schiaffo a chi è giunto ultimo. Si obietta che se fosse dipeso dal sindacato tutti i lavoratori godrebbero oggi delle stesse tutele. Può darsi, ma il paese allora sarebbe fuori dalla storia in orbita geostazionaria intorno al pianeta Papalla. Oggi non è più possibile fornire a tutti le stesse garanzie garantite per negoziazione sindacale nel 1970. Non funziona più. E solo quello che funziona è vero, il resto sono discorsi metafisici di cui si può anche fare a meno. Il risultato non cambia.

5. Bertinotti ci ha imbottito di parole per tutta la sua carriera politica. Possiamo comprendere umanamente il suo rammarico per una sconfitta senza appello, ma prima di perdonare guardiamo a quei poveri giovani italiani di talento che oggi sono a studiare all’estero, non per avventura dello spirito, ma perché lo Statuto dei lavoratori è stato inopinatamente applicato al lavoro intellettuale provocando il collasso dell’Università italiana; pensiamo a chi per aprire una azienda innovativa oggi va oltre confine per non essere schiacciato sul nascere dalle tasse; pensiamo anche a chi ha delle idee d’impresa talmente innovative che la burocrazia italiana neppure contempla, e quindi sopprime in embrione.

6. Renzi oggi dice ai suoi che sull’articolo 18 hanno fatto una guerra di religione. Lo comprendiamo, ma francamente nessun perdono. Noi liberali lo sappiamo da sempre e abbiamo cercato in tutti i modi di farlo capire quando ancora si era in tempo utile per correggere il tiro, ma nulla. Non è stato possibile. Gente come Bertinotti ci giudicava dei selvaggi incivili. 

Quindi caro Matteo Renzi avanti tutta. Recupera il ritardo storico e culturale che ha inflitto al paese danni inenarrabili. Noi ti capiamo. Ma perdonare la tua parte politica (democristiana e comunista) no. Non ci pensiamo proprio.