Anthony Marasco nel suo articolo sul pentimento di Bertinotti (che ha affermato che la Sinistra – a differenza del Liberali - è stata – per la sua sordità verso diritti individuali – dal "lato sbagliato della Storia") a un certo punto sostiene che "il compromesso democristiano fra popolari e comunisti ha devastato l’economia e quindi la mentalità del paese".
In che senso la ha devastata, e poi come si articolava il compromesso. In sostanza, si tratta di capire come si articolava il compromesso fra la Democrazia Cristiana (DC) e il Partito Comunista (PCI). La prima inseguiva il secondo che stava allargando il proprio consenso. Per inseguirlo la DC ampliva - con il consenso del PCI - la spesa pubblica. Il quale ultimo, non potendo andare al governo, non si poneva il problema della governabilità del sistema – o meglio cercava una soluzione, ma come partito che fosse "di lotta e di governo". Il sistema, di conseguenza, era "ingovernato" per una lunga parte del percorso, ma non per tutto il percorso, perché, alla fine, andava salvato. Il sistema doveva, infatti, essere compatibile con un'economia integrata con l'estero e con la presenza della proprietà privata. E così è andata, come ora provo a mostrare. Sul pentimento di Bertinotti proverò a fare delle considerazioni.
1. All'origine del debito e dell'inflazione degli anni Settanta e Ottanta. a) la spesa pubblica maggiore delle entrate produce un deficit, che può essere finanziato da una combinazione di emissione di obbligazioni e di moneta; b) soprattutto negli Settanta, le obbligazioni, se non sottoscritte dai privati, erano acquistate dalla Banca d'Italia; c) in questo modo, la moneta che entrava nel sistema cresceva, e, alla lunga, produceva inflazione; d) l'inflazione non era anticipata da un mercato finanziario primitivo e, di conseguenza, i rendimenti del debito pubblico erano negativi, ossia il rendimento delle obbligazioni emesse dal Tesoro era inferiore al tasso d'inflazione; e) poiché le entrate dello stato crescono in proporzione alla crescita del reddito nazionale nominale, lo stato aveva delle entrate fiscali crescenti (seppur inferiori alla crescita delle spese), mentre pagava il debito pubblico (le cedole e i titoli in scadenza) in moneta corrente, il cui valore era inferiore a quello in essere quando le obbligazioni erano state sottoscritte; f) in questo modo il debito pubblico pesava relativamente poco sul bilancio dello Stato e perciò la spesa appariva meno onerosa. Dagli inizi degli anni Ottanta, questo meccanismo di un debito pubblico con costo occultato è bloccato dalla decisione - detta del “divorzio” - fra la Banca Centrale e il Tesoro, ossia la Banca d'Italia non poteva più comprare il debito non optato dai privati. Venendo meno la domanda della Banca d'Italia, il debito, per essere sottoscritto dai solo privati, doveva offrire un maggior rendimento, che cominciò a diventare maggiore del tasso di inflazione. In questo modo, il debito pubblico aveva un costo finanziario e politico esplicito, e dunque non poteva più essere la variabile che “accontentava tutti”, vale a dire sia i fruitori della spesa, sia chi frenava sul versante del pagamento delle imposte.
2. La correzione dei conti dagli anni Novanta. a) se il bilancio dello stato è in avanzo (le entrate sono maggiori delle spese) ecco che si ha un surplus (detto “primario”). Se questo surplus è pari al pagamento degli interessi, non è più necessario emettere altre obbligazioni per pagare gli interessi. E dunque si ha il pareggio di bilancio. b) in questo modo, non si emettono più obbligazioni, e il debito pubblico è invariato. Man mano che l'economia cresce, sempre che si mantenga un “surplus primario” adeguato, il debito pubblico finisce per pesare sempre meno sul bilancio dello stato e dunque sul conflitto politico legato alla combinazione delle entrate e delle spese. c) un rapporto debito / PIL decrescente riduce il rischio che un rialzo dei rendimenti possa creare una crisi.
3. Gli effetti della dinamica salariale. a) se i salari crescono più del prodotto per addetto, ecco che i prezzi debbono salire, rendendo le merci più costose e quindi meno competitive rispetto a quelle prodotte con salari che crescono come la produttività o meno della produttività. b) I salari in linea o sotto la produttività aumentano il margine di profitto lordo, e dunque la possibilità di ridurre i prezzi, oppure aumentare la qualità a parità di prezzo, e in ogni modo consentono di accrescere l'autofinanziamento d'impresa.
4. La grande decisione. A un certo punto è presa la decisione di entrare nell'euro, con ciò intendendo che il debito pubblico sarebbe dovuto andare sotto controllo, e il meccanismo dell'aggiustamento dei conti (e del consenso) attraverso le svalutazioni reso impossibile. Questa è stata la “grande decisione” presa negli anni Novanta. In breve. I salari crescevano più della produttività. Ad un certo punto le merci italiane diventavano meno competitive, e dunque o si fermava la crescita salariale, o si investiva in tecnologie superiori, che avrebbero “protetto” la crescita del costo del lavoro. La svalutazione della lira diventava la più semplice delle soluzioni, perché le merci italiane tornavano temporaneamente appetibili, mentre non si toccava la dinamica salariale, ossia si lasciavano intatte le “relazioni industriali”. Questo percorso non richiedeva – almeno nel breve termine – che la tecnologia salisse di livello - una cosa peraltro regolarmente non avvenuta, neppure nel periodo più lungo. Il “canto del cigno” del modello italiano si è avuto nei primi anni novanta: in seguito alla forte svalutazione che si era avuta con Amato I (1992), l'economia era ripartita, e, con l'arrivo di Ciampi (1993), si raccolsero i frutti. Frutti che continuarono – in misura meno marcata – con Berlusconi I (1994), Dini (1995), e Prodi I (1996). Dal 2000 l'economia italiana cresce meno della media dei Paesi che crescono meno (quelli sviluppati). L'economia italiana dal 2000 non cresce del tutto, ma, nonostante questo, si è avuta la grande occasione di ridurre il debito pubblico. Come è mai possibile? L'Italia ha visto dimezzare, grazie all'euro, il costo del debito.
Se il racconto è corretto, e torniamo alle affermazioni di Bertinotti, non si vede che cosa c'entri con l'errore della Sinistra di essere stata dal lato sbagliato della Storia la sottovalutazione dei diritti individuali, se intesi come “libertà civili” - emersione delle donne, divorzio, aborto, matrimonio gay, che anche la Sinistra, da un certo punto in poi, ha promosso. Se, invece, per diritti individuali si intende la libertà di espressione e di associazione, allora la Sinistra – laddove non governava da sola con un'economia pianificata - non li ha toccati. Se, invece, si intende per diritti individuali la responsabilità individuale verso la collettività, allora cambia il quadro.
Individualmente tutti quelli che hanno usufruito di una pensione di anzianità – quella che eccede il valore attuale dei versamenti effettuati – hanno fatto i propri interessi, ma non quelli delle generazioni che verranno. Similmente, tutti quelli che per anni hanno cercato un salario che cresceva più della produttività hanno fatto il proprio interesse, ma hanno azzoppato la macchina economica. La Sinistra in Italia non ha frenato l'emersione dei diritti civili, né ha inibito le libertà politiche, ma ha ipotecato – con l'aiuto di altri - lo sviluppo di un sistema economico più sano di quello che abbiamo.
Il pentimento della Sinistra sarebbe pieno (o, se si preferisce, Liberale) se riconoscesse il peso della responsabilità individuale nell'acquisizione di diritti. Ossia, i diritti non si acquisiscono collettivamente, perché poi lo Stato fa “tornare i conti”. I diritti devono essere giudicabili. Per esempio, accrescere le pensioni senza copertura (i versamenti che le coprano nel lungo termine), ma nasconderne, come avveniva, il costo anche con gli acquisti del debito pubblico da parte della banca centrale, rende il sistema opaco, quindi poco giudicabile dai mercati e perciò meno democratico. Democratico da un punto di vista individuale, mentre molti ancora pensano che un sistema sia democratico solo se è collettivo. Un sistema collettivo però finisce per fare gli interessi di chi è organizzato.
L'”Astuzia della Ragione” sta da qualche tempo portando la Sinistra (non tutta) a praticare il pentimento grazie ai governi da lei votati, come sta accadendo con Monti, Letta, e Renzi.
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