Davvero non si capisce perché ultimamente Berlusconi tenga tanto ad assomigliare a Richard Nixon. È stato, semmai, il Reagan italiano - un uomo nuovo, uno che quelli dell'establishment passato guardavano con un misto di noia e indignazione: ma anche una star assoluta, un immenso e naturale feeling con il popolo, nutrito di quella stessa naïveté non si sa bene se inconsapevole o ricercata che caratterizzava anche l'ex governatore californiano, - e ora, ora che la sua avvincente cavalcata nella storia andava dritta verso l'happy ending, eccolo chiudersi pericolosamente, insieme col governo che presiede, verso un'altra esperienza storica, quella nixoniana, col suo tremendo fardello di sospetti, accuse, ossessioni, finiti come sappiamo.

Il problema non riguarda solo il presidente del Consiglio, reduce dal pasticciaccio che si è scatenato intorno al tema della libertà di stampa e alla puntata di «Porta a porta» dedicata alle case dei terremotati. È un'ombra sinistra che si allunga su diversi membri dell'esecutivo e della maggioranza, su tanti esponenti dell'allora scintillante rivoluzione berlusconiana, ugualmente soggetti a questa specie di mutazione antropologica - o, se vogliamo volare più bassi, di questo cambiamento di tono e di stile. 

Perché i berluscones hanno perso il sorriso? La domanda è questa. Prendete Renato Brunetta, che di un balzo è passato dal posto (in seconda fila) di «esperto» economico del centrodestra all'assoluto protagonismo del ministro più-che-riformatore, del muckraker dell'amministrazione pubblica, astro splendente della compagine governativa. Andava bene così: era affilato e tagliente, ma gioioso e vivace nella sua opera, amato come raramente un uomo di governo non primo ministro è stato nella storia d'Italia. Ma poi, ecco il ripiegamento sui toni grevi, nelle accuse rivolte alle case editrici, alla finanza di sinistra, al «culturame» di scelbiana memoria, a cento possibili complotti. Per arrivare alla risposta data all'inchiesta dell'«Espresso» (quella che accusava il ministro stesso di avere fatto tanto rumore per nulla e di non avere realmente ridotto le assenze nella P.A.): Brunetta l'ha voluta pubblicare sulla home del Ministero, quasi oscurandone la funzione istituzionale. Scelta rischiosa, condita peraltro da uno stile fegatoso, privo di ogni humor, di ogni leggero pungiglione, persino di quella punta di sano snobismo che ogni classe dirigente dovrebbe sfoderare nei momenti difficili. 

Perché i berluscones non scuotono le briglie e vanno, ora che sono a cavallo, con il candore e lo spirito di un Reagan, coi suoi efficaci witticisms, segno di un autentico cuore liberale? Prendete il ministro del Lavoro Maurizio Sacconi, l'acuto inventore della «società attiva» (e ancora prima, i sei lunghi anni della sua personale traversata del deserto - relegato com'era nelle agenzie Onu a Bruxelles, fuori dai giochi, per la sola colpa di essere stato socialista durante Tangentopoli); l'autore di pamphlet per certi versi visionari sul mercato del lavoro che cambia, uomo misurato, ragionevole, persino mite: e ora, a una platea certo un po' schierata - ma innocua, dai! -, che gli riserva qualche fischio, si lascia scappare quel «vaff...» in diretta rivolto a un sindacalista che lo contesta, il volto segnato dalla tensione e dal rancore, il senso di assedio, di accerchiamento. E lo stesso, per altri episodi, si potrebbe dire di una Gelmini, di un Bondi, o di un Ignazio La Russa alle prese con una signora Boldrini qualsiasi. 

Si potrebbe dire che è stata una stagione dura, e la battaglia, soprattutto mediatica, più aspra che mai. Che certi comportamenti sono figli di altri. Ma se questo centrodestra, come parrebbe da molti segnali, ha davvero conquistato una specie di inedita egemonia culturale (se lo chiedeva Maurizio Crippa sul «Foglio» in una bella disamina dei nuovi media destrorsi: giornali che finalmente impongono i propri temi alla stampa storica della sinistra, conquistando una larga audience e uno stile riconoscibile), allora che senso ha comportarsi come l'ultimo Nixon, ossessionato dagli intrighi e dai complotti a tal punto da non sapere più distinguere tra pesci grossi e pesci piccoli, tra minacce reali e legittimi dissensi? O è forse che l'accerchiamento, l'assedio c'è davvero, che tutto sta per saltare per aria come sedici anni fa? 

Nel dilemma irrisolto, nella quotidianità dei problemi che poi in fondo ci riguardano tutti, guardare al sorriso ingenuo, al light heart di Ronald Reagan potrebbe dare una mano a questa nostra classe politica (anche alla sinistra, o a quel che ne rimane...), a questa compagine scompaginata. Dovrebbero portarselo dietro, tutti: una specie di reminder, di santino, di icona taumaturga per gli animi dolenti, e i fegati grossi.