Mancano pochi giorni alle elezioni presidenziali del 6 novembre e quella che solo poche settimane fa pareva una vittoria annunciata per Barack Obama si va trasformando in una situazione di estrema incertezza. Lo scarto tra i due contendenti si è ristretto a tal punto da stare tutto nel margine d’errore dei rilievi demoscopici. Che cos’è successo in un così breve lasso di tempo da portare ad un simile risultato?
1. A prima vista si potrebbe dire che la buona performance di Romeny nei tre dibattiti televisivi parrebbe aver fatto la differenza. Ma se così è stato, il motivo del successo di Romney non sta tanto nella performance in sé, quanto nella tattica adottata nei dibattiti e nella strategia complessiva della campagna. Dopo aver preso posizioni di destra per conquistare la nomination repubblicana, Romney ha tenuto un marcato profilo di destra fino alla vigilia del primo dibattito. Poi l’ha abbandonato virando bruscamente verso il centro sotto lo sguardo attonito di Obama. La giustificazione strategica di una simile tattica l’aveva già data a suo tempo Richard Nixon: per andare alla Casa Bianca, un repubblicano deve fare il conservatore alle primarie ed apparire pragmatico alle presidenziali. Finché Romney aveva tenuto un profilo conservatore, il suo appeal si era limitato alla sola destra conservatrice, che nel paese è ancora minoritaria. Ma non appena ha virato verso il centro, ha iniziato a raccogliere il consenso degli ’indecisi’ portandosi verso la maggioranza. Il rovesciamento di fronte non è dunque avvenuto nei dibattiti in ragione di una buona performance. Ma è avvenuta perché Romney, durante i dibattiti, ha cambiato posizione e postura.
Disponiamo persino di un fuori onda in cui Romeny spiega questa strategia ai suoi donors. Molti hanno voluto leggere nelle affermazioni di Romney un certo disprezzo per la gente comune, ma quello che stava dicendo era un’altra cosa. Visto che il 47% degli americani beneficiano dello stato sociale, è inutile rivolgersi a loro per ottenere il voto. Non lo daranno a chi vuole ridurre lo stato sociale. Tutta la campagna di Romney si gioca quindi nel negare ad Obama il 4% necessario a vincere.
2. Fin dall’inizio si era detto che queste elezioni sarebbero state decise dallo stato dell’economia la settimana prima delle elezioni, e così rischia di essere. Una volta sgravato delle posizioni più oltranziste, Romney ha iniziato a raccogliere il consenso degli elettori ’indipendenti’ che in generale ritengono inaccettabile la passata performance economica di Obama. Il fatto che Obama abbia ’salvato’ Wall Street e Detroit non li lega per nulla al presidente. A loro importa sapere che cosa farà Obama in concreto per far abbassare il prezzo del carburante alla pompa; come farà a rimettere in sesto il mercato immobiliare (su cui si basa il credito); e quanto dorerà ancora la recessione in atto. E qui va registrato l’errore commesso da Obama: non ha saputo delineare un programma di ripresa economica che non fosse un generico richiamo alla speranza. Agli ‘indecisi’ la retorica del cambiamento era piaciuta quattro anni fa. Ma alle parole – secondo loro – non sono seguiti i fatti. Qui gli ‘indipendenti’ che tendenzialmente votano repubblicano si trovano in convergenza con le frange più di sinistra del partito democratico. Obama era stato così vago nel delineare il cambiamento di cui era portatore fa far convergere in suo favore questi due gruppi che in genere divergono su tutto. Il miracolo non si è ripetuto. Come non si è ripetuto il miracolo di raccogliere il voto dell’elettorato ebraico centrista. Il rapporto a dir poco tempestoso con il governo di Bibi Netnyahu gli ha alienato molti consensi filo-israeliani.
L’abbandono della piattaforma di destra sostenuta alle primarie ha anche consentito al candidato repubblicano di recuperare terreno con l’elettorato femminile, soprattutto ‘bianco’ (anche se a tutt’oggi Obama è sostenuto da un 52% di donne contro il 44% di Romney, fonte New York Times, 31 ottobre 2012. La polarizzazione razziale di queste elezioni è la più alta registrata: quasi tutte le ‘minoranze’ si sono schierate con Obama). Una volta rincuorate dal ritorno di Romney al centrismo, molte elettrici bianche ’indipendenti’, che in passato avevano votato Obama pur essendo storicamente inclini a votare repubblicano, si sono decise a prendere anch’esse posizione partendo dal portafogli.
Ciò che gli ‘indipendenti’ che voteranno Romney non paiono mettere in conto è che con tutta probabilità il prossimo presidente si troverà nella necessità di dover nominare ben due membri della Corte Suprema. Se per caso il loro calcolo è sbagliato, e Romney si fosse in qualche modo compromesso con la ‘Right Nation’ in cambio del loro appoggio, si potrebbero trovare di fronte a delle sentenze che rischierebbero di mettere a dura prova la tenuta sociale del Paese. Oggi l’aborto non è un diritto costituzionale, ma è tutelato dalla giurisprudenza della Corte Suprema (caso Roe vs. Wade). Basta una sola sentenza a rimettere tutto in discussione.
3. Obama non ha ancora perso le elezioni. Anche se dovesse perdere la maggioranza assoluta del voto popolare, le leggi elettorali in uso gli consentirebbero comunque la vittoria dovesse conquistare la maggioranza degli Stati. Si tratterebbe ad ogni modo una vittoria senza mandato, ossia una vittoria di misura che non consente al presidente di intraprendere grosse riforme, specialmente nei campi in cui il presidio conservatore è più agguerrito.
Quindi, sia che vinca sia che perda, Obama rischia di essere un presidente dimezzato, ed è ironico oltremisura visto l’entusiasmo che era riuscito a suscitare solo quattro anni fa.
© Riproduzione riservata