1. Purtroppo il discorso di accettazione di Obama lo si capisce solo a ritroso. Dico purtroppo non tanto per la fatica di dover iniziare dalla fine, ma perché bisogna partire da una frase che ci esclude.

Non è rivolta a noi. Rivolgendosi alla nazione americana chiamandola per nome, “America”, Obama termina il suo discorso esortando gli americani a guardare avanti e non indietro, “con la consapevolezza che la Provvidenza è con noi e che è una benedizione certa essere cittadini della più grande nazione sulla terra (“We are surely blessed to be citizens of the greatest nation on earth”).

In questa frase non è difficile cogliere il riflesso del cosiddetto eccezionalismo americano, quel discorso che iniziò nel seicento con la convinzione dei Padri Pellegrini di essere il popolo eletto dal Signore e che la loro missione terrena fosse quella di mantenere pura la fede cristiana alla vigilia della fine del mondo. Con il passare del tempo, quest’immagine calvinista perse ogni connotazione millenarista (o quasi) e si trasformò nell’idea che, non avendo un passato feudale, gli Stati Uniti fossero il luogo di un nuovo inizio, la sede stessa di quella che fu poi chiamata la modernità.

Gli Stati Uniti sarebbero dunque il luogo in cui si manifesta il futuro.

Nel chiedere il voto agli americani, Obama li esorta usando questa immagine. “Forward”, dice loro, avanti. Il nostro destino non si compie oggi ma nel divenire. L’esortazione secolare pare calzante rispetto ai fatti di oggi perché oggi Obama deve difendere un presente al di sotto delle aspettative di chi lo elesse quattro anni fa. Facendo ricorso alla logica dell’eccezionalismo, Obama può ammettere la colpa senza dover ammettere il fallimento, e questo perché nell’ammettere la colpa dichiara di orientare di nuovo il proprio agire verso la meta.

Nella retorica puritana questo tipo di orazione la si incontra spessissimo in rapporto con il “declino” (declension) dell’esperienza puritana. Man mano che veniva a mancare la fede originaria nel progetto di costruire un esempio di perfetta comunità cristiana in attesa della fine del mondo, gli oratori calvinisti elencavano le manchevolezze della comunità per riaffermare la missione.

La retorica della declension che informa il discorso di Charlotte unisce quindi le manchevolezze di Obama in quanto presidente con le mancanze della nazione americana nella sua interezza. E a questa unione che mira l’intero discorso d’investitura. Se Obama ha delle colpe, sono colpe che condivide con il paese. E l’unico modo per porre rimedio a queste colpe è ricordarsi della missione che li accomuna.

È su questa base retorica che poggia il fulcro dell’intero discorso. Se gli americani dovessero ancora ridare fiducia a lui, la missione potrebbe essere ripresa nella direzione indicata quattro anni fa. Se gli americani dovessero scegliere altri, anche il corso della missione cambierebbe.

Questa è la posta in gioco.

2. Occorre notare, però, come ogni qualvolta la missione americana viene ricondotta verso la meta, origine e natura della missione vengono ridefinite perché in realtà a cambiare è proprio la meta.

Può sembrare paradossale, ma è il paradosso stesso della storia americana. Sempre uguale a se stessa, sempre diversa. Tanto che oggi ad ascoltare il discorso di Obama con le lacrime agli occhi sono americani dalla pelle nera, latino americani e immigrati da ogni angolo del mondo (cattolici!) che da quel discorso millenarista erano originariamente esclusi. Se il discorso di Obama poggia ancora su fondamenta puritane, queste fondamenta, a loro volta, hanno cessato da lungo tempo di poggiare sulla comunità chiusa costruita dai Padri Pellegrini del Mayflower. La fine del mondo non è prossima, e il futuro è aperto.

Se le fondamenta del discorso sono seicentesche, il meccanismo con cui queste fondamenta vengono ridefinite è ancora essenzialmente settecentesco. È infatti illuminista l’idea secondo cui l’uso pubblico della ragione porta alla correzione degli errori che con il tempo si sono accumulati. Sono in pochi ad ammettere che a ogni declension la missione americana è stata “ridefinita”, ridescritta, quindi cambiata. La maggioranza degli americani crede sinceramente che a ogni cambio di direzione si sia provveduto solo a correggere gli errori del passato.

È lo stesso meccanismo con cui il costituzionalismo americano cambia il senso della Carta ritornando all’intento originario. Dal permesso di tenere armi in casa originariamente attribuito per poter formare milizie di autodifesa senza incorrere nella necessità di mobilitare un esercito si è quindi giunti all’intento “originario” di dare a ogni americano il potere di autodifendersi a casa propria.

La scelta di fronte a cui Obama pone l’elettorato americano non è la scelta di fronte a cui si pone ogni elettore di ogni democrazia moderna. La scelta non è fra visioni del modo contrastanti. La scelta è fra l’interpretazione esatta della missione americana o uno degli errori in cui si è incorsi nel tentativo di attuarla.

Di qui la domanda fondamentale del discorso di Obama: chi siamo veramente? Siamo gli eredi di chi crede che l’americano sia un rude individualista che con le nude mani si fa da sé o di chi crede che l’America sia una comunità di individui cooperanti in cui ognuno trova posto senza rimanere escluso?

3. La comunità che propone Obama come il senso più vero e originale della natura americana è il frutto di progressive ri-definizioni e ricostruzioni della cittadinanza americana. Ma la forza del suo discorso è di collegare questo prodotto artificiale alle radici naturali della cittadinanza americana.

La scelta che pone, però, è autentica, ed è questo che conta.

A Tampa, in Florida, i repubblicani hanno riproposto la visione dell’individualismo americano nella sua versione più classica. Nel farlo i repubblicani si sono rivolti a una parte della nazione americana, quella che poggia la sua visione del mondo sull’individualismo assertivo. Costoro vedono i “comunitari” come il fumo negli occhi.

Obama, pur evocando la natura comunitaria originale della nazione americana, propone una versione intermedia fra le due (da cui alcune delle difficoltà con la parte più radicale, di sinistra, della base democratica).

Se il “We Built It” di Romney esclude chi non ha potuto/voluto/saputo fare della propria vita una intrapresa economicamente redditizia, il “Forward” di Obama include tutti, ma a una condizione. Che ognuno eserciti la propria citizenship, la propria cittadinanza.

Qui Obama fa ricorso al principio cardine del Repubblicanismo, che non è la dottrina del partito repubblicano, ma il discorso della virtù civile che da Machiavelli attraverso i repubblicani calvinisti giunge a informare il discorso politico della Rivoluzione Americana.

Essere cittadini non è godere di una libertà assoluta dagli altri e dallo stato ma è contribuire attivamente perché ognuno possa essere libero nello stato e attraverso lo stato.

Lo stato siamo noi.

4. A questo punto il discorso di Obama viene al dunque. È a questo punto che la scelta appare come autentica.

Se gli americani dovessero votare ancora a maggioranza per Obama si potrà riprendere il cammino verso il luogo in cui l’iniziativa del singolo e l’iniziativa dello stato si combinano armoniosamente. Se invece il paese dovesse votare a maggioranza per il candidato repubblicano (Obama nomina Romney una sola volta perché il disegno che espone trascende gli individui), la meta dell’armonia fra individuo e collettività si allontanerebbe drammaticamente.

I repubblicani altro non sono che un pezzo della natura del paese che senza l’altro pezzo si sviluppa in modo disarmonico, portando a crisi come quella che Obama ha dovuto affrontare una volta eletto. Lasciati a loro stessi, i repubblicani tendono a mettere il destino dei più deboli nelle mani del più forte.

Quindi la scelta in gioco è chiara.

Votare per Obama è votare per una America integra e solidale. Votare per l’avversario repubblicano introduce delle distorsioni e delle disarmonie al governo del paese che allontanano invece di avvicinare alla meta.

Il futuro è aperto ma è iscritto nelle origini del paese. La battaglia della presidenza è sempre una battaglia per il cuore del paese che cambiando sempre non cambia mai.

5. Non ha alcun senso, da stranieri, notare l’intima incoerenza del discorso nazionale americano. Occorre capire come funziona. Invece di dire che sta cambiando il paese, Obama dice che lo sta riportando alle origini. È inutile cercare di capire cosa pensassero i padri costituenti del sistema sanitario nazionale, del diritto di una donna al proprio corpo, del matrimonio fra soggetti dello stesso sesso. Lo si può solo dedurre dal concetto di autodeterminazione che guidava le loro idee in quel distante passato.

6. Per quanto detto finora, potrebbe apparire che il discorso di Obama sia stato molto poco appuntito, e in parte è vero. È per questo che è stato preceduto dal bombardamento a tappeto fatto da Bill Clinton. Se non fosse per un dettaglio. "Io ho sbagliato, ma ero in buona fede," pare dire Obama a ogni ammissione di colpa, "ma siamo sicuri che i miei avversari lo siano davvero"?

Il sogno americano - la metafisica e la meta di tutto il discorso eccezionalista - si manifesta in una semplice immagine che tutti gli americani conoscono, a plain-leved field, un campo da gioco livellato. Ovvero, si gioca secondo regole e le regole non sono la maschera di quelli che in Italia sono chiamati i poteri forti e che negli Stati Uniti sono chiamati the interests, gli interessi.

Il campo da gioco è piano e non è in discesa per favorire qualcuno.

Siamo sicuri che i repubblicani non usino il discorso dell’individuo che si fa da sé per mascherare regole truccate e campi da gioco in discesa per alcuni e in salita per altri?

Qui si notano le radici "progressive" (the people vs. the interests) di una parte del discorso di Obama. Il ruolo dello stato è proprio quello di difendere le regole dai poteri forti. "Siete sicuri cari americani", pare dire Obama, "che i repubblicani vi abbiano mai difesi da chi vuole riscrivere le regole a favore di una sola parte della comunità, la più forte"?

È sulla tutela di questo campo da gioco ben livellato che Obama può sperare di raggiungere chi ancora è indeciso. È infatti il gusto per il gioco pulito che accomuna le due metà dell’elettorato americano.

Qui Romney può essere facilmente messo in difficoltà visto il suo passato di uomo d’affari e una certa inveterata tendenza a voler pagare meno tasse possibile.

Perché, alla fine, la corsa alla presidenza si riduce pur sempre alla competizione fra due persone in carne e ossa.

Obama è stato aiutato negli studi da borse di studio, ma questo è stato tutto l’aiuto che ha ricevuto. Può Romney dire la stessa cosa?

Il discorso di Obama fa solo indirettamente cenno a questa domanda, ma basta rivolgerci al contesto del dibattito elettorale (alle interviste televisive, alle conduzioni radiofoniche, ai blog) per capire che si tratta di una domanda per nulla affatto peregrina.

È dalla risposta a questa domanda, infatti, che dipende l’intera credibilità del discorso repubblicano.

7. Si è obiettato da più parti che nel suo discorso Obama non fa cenno ad alcun piano o provvedimento preciso per risolvere la crisi in cui versa l’economia americana. Non è esatto. In un passaggio, in effetti brevissimo, Obama accenna alla soluzione. Per risolvere gli attuali problemi del paese, oltre che alla già citata condivisione delle responsabilità, occorrerà mettere in campo un qualcosa di simile alle “audaci e persistenti sperimentazioni condotte da Fraklin Roosevelt durante il corso dell’unica crisi economica peggiore dell’attuale”.   (“It'll require common effort, shared responsibility, and the kind of bold, persistent experimentation that Franklin Roosevelt pursued during the only crisis worse than this one.”)

Oggi si tende a credere che la Grande Depressione fu affrontata con strumentazioni teoriche date, mentre in realtà il presidente Roosvelt diede mandato ai suoi esperti di provare di tutto, pur di salvare il capitalismo di mercato. Oggi i repubblicani vedono in FDR l’origine di ogni male, ma fu il suo pragmatismo a tenere in vita il paese fino alla ripresa, che avvenne con la mobilitazione bellica.

Speriamo solo che in questo frangente non si debba giungere a tanto perché la crisi economica del paese è davvero grave. Tale da decidere in sé il risultato di queste elezioni, che sono e rimangono aperte.