1. Con un piccolo saggio pieno di patriottismo affettuoso - ardente e passionale, ma per nulla sciovinista -, Salvador de Madariaga componeva nel lontano 1951 il suo “Ritratto d’Europa”. Un continente di rapporti di competizione e di gelosia, dove ogni parte contribuisce alla vita dell’organismo intero.

In quel ritratto l’Italia occupa un posto ben preciso. Sono, gli italiani, il popolo dell’ingegno acuto, non sistematico, della lingua musicale, della scena e del melodramma. Luogo simbolico di un’intera cultura, il teatro, dove si muore per finta ma ci si commuove per davvero; dove ogni sera qualcuno perisce di tisi o di tifo ma è vivo di nuovo, il giorno successivo, per il diletto degli spettatori.

2. è forse questa l’unica chiave di lettura dell’autentica farsa scatenatasi in Sicilia tra domenica e lunedì, con il voto per il rinnovo delle amministrazioni locali. Un vero delirio interpretativo. Secondo le nuove leggi elettorali regionali, la percentuale ottenuta dal candidato sindaco va calcolata non più sulla sola base dei voti ottenuti dai vari candidati, ma rapportandola a un totale ben più grande, che include sia le schede su cui è segnata la preferenza a un singolo candidato consigliere, o a una lista, sia quelle dove non è barrato il nome del candidato sindaco. In altre parole, il voto per il consigliere non si traduce più automaticamente in un voto anche per il candidato sindaco al quale il consigliere è collegato.

Un curioso meccanismo, il cui risultato è che le percentuali calano drasticamente: si veda il caso eclatante di Palermo, dove Orlando scendeva dal 47 al 35 per cento; oppure quello di Misterbianco, comune etneo dove Antonino Di Guardo, con quasi 12.000 voti contro i 6.500 e i 2.500 dei suoi avversari ha “solo” il 42,88 per cento. Va quindi al ballottaggio, dicono i dirigenti regionali.

Un nonsense rococò degno della migliore letteratura siciliana dell’assurdo.

Senonché, alla perversità della legge si è aggiunta in seconda battuta la sua stessa contraddizione. In barba a ogni principio che vorrebbe che leggi e regolamenti, per quanto farraginosi, una volta approvati e vigenti si rispettano, la giunta per le elezioni della Regione Sicilia ha ribaltato l’interpretazione che essa stessa aveva imposto qualche ora prima. Un clamoroso contrordine: la legge direbbe una cosa, ma visto che si fa fatica a comprenderla perché cervellotica e insensata, facciamo come se non ci fosse.

3. Ma non c’è stato solo lo psicodramma siciliano nell’ultima tornata elettorale. è stato soprattutto il primo voto realmente post-ideologico del Paese, che relegava i partiti tradizionali, specie della destra, in posizioni di irrilevanza. Un voto di lotta e di anarchia disperata, figlio della crisi nel suo momento più acuto, ma segno anche che gli elettori si sentono ormai totalmente adulti e liberi rispetto alle grandi casematte del pensiero che ne avevano organizzato gli orientamenti negli ultimi novant’anni.

Un illuminante esempio è Verona, che un tempo era la cittadella ideologica del centrodestra, dove Michela Sironi nel ’94 guidava l’arrembaggio ai fortini ex-Dc con l’aiuto del rampante spin-doctor Giampiero Beltotto (ora portavoce del presidente Zaia). Riconfermato Flavio Tosi con il 57 per cento, sul fronte dei partiti la Città scaligera ha dato alla Lega Nord poco più del 10 per cento dei consensi, ha quasi azzerato il Pdl, fermo dietro alla lista di Grillo, e ha fatto volare le civiche al 44 per cento. Ma anche Parma, sopravvissuta al disastro dell’amministrazione Vignali, dove il movimento Cinque Stelle vola al ballottaggio e la destra non esiste più. E Genova, con un Doria espressione della sinistra alternativa che alle primarie ha battuto il Pd; mentre nel Veneto biancoverde uno storico feudo berlusconiano come Cortina d’Ampezzo, rielegge il giovanissimo, rigorosamente apartitico Andrea Franceschi.

La rupture è iniziata. Durerà?