1. I numeri sembrano aver parlato chiaro. In Olanda la tanto temuta affermazione elettorale dei movimenti antieuropeisti non si è verificata, anzi il populista di destra Geert Wilders e quello di sinistra Emile Romer sono i due grandi sconfitti dell’ultima tornata elettorale. Il primo ha visto i consensi dimezzarsi con un partito che passa dai ventiquattro seggi delle elezioni del 2010 ai quindici di queste elezioni. Il secondo resta stabile a quindici seggi.

Tra le formazioni minori, i cristiano democratici - reduci dall’esperienza della coalizione di governo - hanno perso ben dieci seggi e ora potranno contare solo su tredici rappresentanti. Il gruppo di sinistra D66 ha ottenuto dodici seggi (due in più rispetto alla precedente legislatura) mentre i verdi, con tre seggi conquistati, ne perdono ben sette rispetto alla precedenti elezioni.

I vincitori, ovvero coloro che andranno presumibilmente a formare il prossimo governo di coalizione, sono il partito liberal-conservatore del premier Mark Rutte e il partito laburista di Diederik Samson. Su un totale di centocinquanta seggi che compongono la Camera Bassa queste due forze dovrebbero quindi avere i numeri per formare il prossimo governo, magari con l’ausilio dei D66.

2. Il primo e immediato dato che emerge dalla tornata elettorale è il fallimento del “paradigma Wilders” cui fa da parallelo l’affermarsi di due forze che fanno della moderazione il loro punto di forza. E’ vero che il sistema proporzionale olandese tende alla frammentazione, ma gli olandesi, soprattutto dopo la crisi di governo provocata da Wilders, hanno preferito partiti che potessero garantire una politica stabile.

Certo, passeranno ancora mesi prima della definitiva formazione dell’esecutivo e non è detto che il solo controllo della Camera Bassa, avendo il Senato una differente composizione, garantisca quella stabilità che gli elettori pare abbiano voluto premiare alle urne. Dal punto di vista della politica interna, la piattaforma di Rutte si compone di numerose misure di austerità necessarie per rispettare gli impegni presi con Bruxelles che prevedono di portare il deficit pubblico sotto la soglia del 3% entro il 2013. Naturalmente tutte le misure saranno da concordare fra i partner della coalizione.

3. Sul piano della politica europea è bene sottolineare che per quanto la vittoria di Rutte sia stata salutata in Europa come una vittoria dell’Europa, questa vittoria non è stata ottenuta su di una piattaforma pro-EU, tanto che le posizioni prese sono state in grado di drenare molti voti in uscita dal partito di Wilders. Il leader dei liberal-conservatori ha ad esempio affermato che la “Grecia non riceverà più un solo euro dall’Olanda”.

Lo scetticismo degli Olandesi verso l’Unione Europea permane, anche se assume ora un approccio più pragmatico. A Bruxelles e in molte capitali europee si brinderà per i risultati, ma lo smottamento delle posizioni più idealiste non si è fermato. Come hanno ricordato Adriaan Schout e Jean Marinus Wiersma in un recente paper pubblicato dall’European Council on Foreign Relations  intitolato “Il Paradosso olandese” , Rutte ha sempre accettato misure di maggiore integrazione solo nei termini in cui queste avessero garantito gli interessi nazionali olandesi.  Nella scorsa legislatura  è stata addirittura votata a maggioranza in parlamento una risoluzione che chiedeva al governo  di non cedere ulteriori poteri e Bruxelles e di fermare qualsiasi tentativo di una vera e propria unione politica. Tutti segnali che dovrebbero comunque far riflettere i “signori di Bruxelles”.