“Sto per prendere una decisione importante”, confidava Michela Murgia a giugno scorso a chi le chiedeva conto del suo futuro prossimo venturo. Detto, fatto. La scrittrice – Premio Campiello 2010 con Accabadora – si è candidata come indipendente alle elezioni regionali in Sardegna, in calendario il prossimo 16 febbraio. Un appuntamento elettorale, quello sardo, che bene illustra i cambiamenti in atto nella disposizione delle forze politiche e riflette su scala locale ciò che si muove a livello nazionale: una battaglia tra “bipolari” e “tripolari”.
1. Nell’incubatore sardo - l’isola dove “passavamo sulla terra leggeri”, come scriveva il romanziere Sergio Atzeni - la campagna elettorale rivela inedite triangolazioni. E la battaglia è tutt’altro che lieve. “Ugo Cappellacci e Michela Murgia? Sono pericolosi ed entrambi di destra”, ha detto Renato Soru, ex governatore, democratico, ed ex patron di Tiscali. Il presidente in carica, Forza Italia, ricandidato, non ha nemmeno risposto. Murgia ha scherzato: “il proprietario dei call center che accusa la ex telefonista precaria di essere di destra? Divertente”.
La polemica di Soru segnala un fatto politico più importante delle consuete battute e veleni da campagna elettorale. La discesa in campo della scrittrice, a capo di una triade di liste che si rifanno orgogliosamente alla lingua autoctona – “Progres”, “Gentes”, “Comunidades” – e che rivendica con orgoglio i tratti culturali e fieramente identitari della “sarditudine”, arrivando persino a indicare nella indipendenza dell’isola il traguardo finale (obiettivo per alcuni surreale, ma ad Alghero la Catalogna è più vicina della Padania...), rompe la tradizionale dialettica destra-sinistra. Si aggiunga che oltre quaranta ex consiglieri di entrambi gli schieramenti sono indagati, il che non migliora la credibilità della classe politica attuale.
Si aggiunga, infine, che il Movimento Cinque Stelle, per conflitti interni, ha rinunciato a presentarsi, così aumentando di molto le chance della scrittrice, la quale potrebbe raccogliere il consenso che sarebbe andato al movimento di Grillo (primo partito nell’isola alle politiche del 2013, con il 29,7%). La verità che Soru rivela con la sua dichiarazione è che Murgia è pericolosa, sì, ma per il Partito Democratico. Non a caso Cappellacci – in affanno solo qualche mese fa ma ora dato in recupero dai sondaggi – ha indicato quale sua “vera avversaria” proprio Murgia, così scavalcando completamente il candidato del centrosinistra, Francesco Pigliaru, e cercando di massimizzare l’effetto di divisione nell’elettorato avverso.
2. Un po’ come faceva la diplomazia tripolare nixoniana, quando cercava la Cina per indebolire la Russia. E se Nixon è Cappellacci, e Mao è Murgia, non c’è dubbio che Breznev sia proprio Pigliaru. Il candidato del Pd, prorettore dell’Università di Cagliari, già assessore nella giunta Soru, una formazione da economista presso le grandi università e una storia familiare dove spicca il profilo del padre Antonio, noto filosofo, è stato scelto solo a gennaio, a Roma, dalla segreteria. Dopo che 52mila elettori avevano dato la sanzione delle primarie di settembre a Francesca Barracciu, a fine dicembre l’esponente Pd ha dovuto ritirare la candidatura per lo scandalo legato ai fondi dei gruppi consiliari, che la vede indagata. Caos nel partito, la ricerca affannosa di una nuova figura, il webmagazine satirico “Il Lercio” che ironizzava: “il Pd a questo punto candiderà Cappellacci contro Cappellacci?”. Evocando uno spettro che il Pd cerca di allontanare: tra la scarsa visibilità di un candidato selezionato in così poco tempo, e la probabile emorragia di voti a sinistra (di quanto? Il 15? Il 20 per cento?), i democratici ora rischiano di perdere la regione, a due mesi dall’insediamento di Renzi. E il segretario è arrivato sull’isola per dare man forte a Pigliaru.
I temi della campagna sono quelli da sempre legati all’autonomia e alle rivendicazioni fiscali, declinate stavolta sull’emergenza della crisi economica che non risparmia, ovviamente, la Sardegna. Cappellacci ne ha fatto il suo motto: fare dell’isola una “zona franca”, libera dalle tasse. Un passo ulteriore rispetto allo Statuto speciale che già tutela fiscalmente i sardi per la loro insularità. Una misura che Pigliaru, tra i promotori della “vertenza entrate” dell’ultimo governo Prodi, ha valutato con scetticismo, “il problema è la burocrazia”, ma che in molti giudicano ancora insufficiente. Murgia è andata oltre: facciamo “un’Agenzia sarda delle entrate”, perché i soldi recuperati dalla lotta all’evasione restino interamente sul territorio. Quello del gettito fiscale ingiusto, dello sfruttamento “coloniale” dell’isola da parte della borghesia italiana, è un tema antico, che già aveva riempito le pagine di Antonio Gramsci. È nuova, tuttavia, la saldatura, operata con disinvoltura da Murgia, tra posizioni autonomiste ben presenti da sempre nella politica della regione e l’area della sinistra radicale e del M5S. Più indipendentzia e più matrimoni gay, più agricoltura e meno grandi opere, per volerla sintetizzare in uno slogan. D’altra parte, è stata sempre Murgia, vincendo il Campiello, a dire a Fabrizio Roncone del “Corriere della Sera”: “voglio il riconoscimento della Repubblica di Sardegna”.
3. Contemporaneamente, la vicenda sarda segna anche un fallimento. È quello di coloro che speravano in un’alleanza a sinistra, che salvasse il radicalismo e l’autonomismo ma soprattutto lo stesso Pd, tutti uniti in una coalizione anti-Cappellacci con a capo Murgia stessa. A coltivare un tale disegno era, neanche a farlo apposta, un altro scrittore. Marcello Fois, autore dei romanzi Stirpe e Nel tempo di mezzo, tappe di una trilogia sarda fatta di durezza arcaica e irruzione della modernità, di scorci di paesaggio mediterraneo e del rapporto da sempre conflittuale tra isolani e “continentali”, è amico di Murgia ma è anche vicino all’ex presidente Soru. Così, quando a dicembre i democratici si sono trovati di colpo senza candidato, Fois ha scritto ai giornali per proporre quella che per lui era la soluzione più ovvia e automatica: “una candidata già c’è. Il Pd appoggi Michela”.
Il disegno però non riesce. L’area movimentista e terzista non vuole saperne di collegarsi con il centrosinistra renziano, mentre il Pd, dal canto suo, rifiuta un’estetica della politica che giudica intrisa di populismo e suggestioni vaghe. Il risultato di questa divaricazione è un “tripolarismo” che si scontra duramente con il disegno invece bipolare e semplificatore di Renzi, ora suggellato dalla nuova legge elettorale. “Il bipolarismo? È una malattia”, ha candidamente affermato Murgia. L’esperimento sardo avrà la sua prova del fuoco il 16 febbraio, in una regione di un milione e seicentomila abitanti, valida però come cartina di tornasole per un paese intero.
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