1. Che in Italia si sarebbero tenute elezioni politiche nei primi mesi del 2013 era noto dal 2008, anno delle elezioni precedenti. Che la data probabile delle elezioni fosse intorno a metà marzo gli addetti ai lavori lo sapevano – e giornali e tv lo avevano scritto e detto – da diverse settimane. Che nel maggio 2013 si sarebbe concluso il settennato del Presidente Giorgio Napolitano è cosa nota, anch’essa, da sette anni.

Che ci saranno elezioni in primavera in almeno due regioni italiane grandi (Lombardia e Lazio) e una piccolissima (Molise), anche questo è risaputo da più di un mese. Eppure, finora questo calendario non pareva aver più di tanto sconvolto i mercati finanziari, che anzi semmai per quel che riguarda l’Italia avevano mostrato di recente timidi segnali di consolidamento, sia sul fronte azionario sia su quello – assai più cruciale – dei titoli di Stato, con qualche manifestazione di maggior fiducia anche dall’estero.

Perché allora l’impennata dello spread e la caduta della Borsa di Milano lunedì 10 dicembre, subito dopo la sfiducia “tecnica” del Pdl al governo Monti, l’annuncio della candidatura alle prossime elezioni di Silvio Berlusconi e la successiva ineccepibile decisione di Mario Monti di dimettersi dopo il voto sulla legge di bilancio? Come si spiega, visto che il governo Monti aveva comunque esaurito la sua capacità propositiva, la campagna elettorale di fatto era già cominciata e dunque l’effetto pratico di tutto questo sarà, al più, di anticipare il voto per le politiche di tre o quattro settimane? Cosa che fra l’altro non è nemmeno necessariamente un male e che – c’è da scommetterci – se fosse accaduta in qualunque altro paese sarebbe stata vista addirittura con favore da mercati i quali, a torto o a ragione, non amano particolarmente l’indecisione tipica delle campagne elettorali lunghe.

La risposta a questa domanda non è semplice. Di certo, la riapparizione dell’ex presidente del consiglio Silvio Berlusconi non è fatta per rassicurare, ma dietro alla preoccupazione che riaffiora sulle sorti dell’Italia e la tenuta dei suoi conti pubblici c’è qualcosa di più.

A torto o a ragione – noi pensiamo, sostanzialmente, a ragione – il fatto che il maggior imprenditore privato dei media si proponga come Presidente del Consiglio viene ancora visto dai partner occidentali dell’Italia come un’anomalia assoluta; tanto più in quanto, a questo punto, vi è ogni motivo di pensare che le riforme che la coalizione guidata da Berlusconi non provò neppure a fare nel 2008, con una maggioranza parlamentare amplissima, ben difficilmente potrebbe riuscire a farle oggi, quando la vittoria elettorale appare assai poco probabile.

Su quest’ultimo punto, tuttavia, è bene ricordare un paio di cose, a partire da come è fatta la legge elettorale italiana, il cosiddetto “Porcellum”. La legge, in effetti, prevede un forte premio di maggioranza per la coalizione vincente, sia alla Camera sia al Senato. Ma, mentre alla Camera il premio viene attribuito su base nazionale, al Senato è attribuito regione per regione. Questo rende tutt’altro che remota l’ipotesi che mentre alla Camera una coalizione conquisti la maggioranza, al Senato invece questo non accada. Determinante, a questo proposito, sarà il voto delle regioni più grandi (Lombardia, Lazio, Sicilia; lo ha spiegato bene il politologo Roberto D’Alimonte).

La seconda cosa utile da tenere a mente è ciò che dicono, oggi, i sondaggi e ciò che hanno detto la primavera scorsa le elezioni amministrative e in autunno le regionali in Sicilia. I primi, i sondaggi politici, danno sì il Pdl intorno al 15 e il Pd intorno al 30 per cento, ma segnalano anche persistentemente una quota di astenuti/indecisi intorno al 50 per cento. Le seconde, le elezioni locali, hanno fatto vedere come questi astenuti/indecisi siano ad oggi largamente di centrodestra, o di incerta collocazione politica (si vedano al riguardo le analisi dell’Istituto Cattaneo). La scommessa di Silvio Berlusconi si gioca qui: sulla capacità di recuperare una quota consistente di voto in quell’area, e magari anche dal Movimento 5 Stelle, a cui oggi viene attribuito un consenso di poco inferiore al 20 per cento.

Questo spiega perché da un paio di mesi almeno le uscite dell’ex presidente del Consiglio siano nettamente connotate in senso anti-europeo e specificamente anti-tedesco. L’obiettivo non è quello di cercare giustificazioni più o meno fantasiose per il fallimento della propria passata esperienza di governo, bensì, molto più prosaicamente, quello di indicare un “nemico esterno” a tutti quelli – e sono tanti – che oggi fanno fatica, sono in ansia per il futuro, non hanno fiducia in un percorso possibile di risanamento e anzi ne temono gli effetti sui propri livelli di vita. Che queste argomentazioni suonino speciose o non credibili a chiunque di centro, sinistra o destra abbia strumenti analitici adeguati non deve far sottovalutare la loro forza: sono tanti, lo ripetiamo, quelli che oggi sono stanchi e hanno paura, e a cui la tradizionale politica dei partiti, per mille ragioni, non parla più.

2. Quante probabilità di successo ha questa scommessa, che si propone come “risultato minimo” il cosiddetto pareggio al Senato? È davvero troppo presto per dirlo, bisognerà aspettare almeno gennaio, quando la data delle elezioni sarà fissata e si capirà come concretamente sarà strutturata l’offerta politica, se cioè vi sarà un rassemblement centrista esplicitamente sostenuto da Monti, se Berlusconi si candiderà direttamente o troverà qualcuno che lo faccia al suo posto, se il Pdl o una rediviva Forza Italia chiuderà oppure no un’alleanza con la Lega nelle regioni del nord e altre alleanze territoriali al Sud e al Centro… quel che va tenuto presente è che la legge elettorale attribuisce il premio di maggioranza (nazionale o regionale) alla lista o coalizione che prende anche un solo voto in più, e dunque anche piccoli spostamenti possono pesare, se a contendersi il voto saranno fondamentalmente quattro gruppi (centrosinistra, centrodestra, centro e Movimento 5 Stelle).

Fin qui, abbiamo parlato del futuro, e del futuribile. Parlando invece del presente, un rischio il ritorno di Berlusconi lo pone di sicuro, ed è quello di un complessivo “ritorno al passato” del dibattito politico italiano, monopolizzato di nuovo dal tema berlusconismo-antiberlusconismo, giudici contro politici eletti, moderati contro comunisti, eccetera, eccetera. Di questo francamente non si sentiva il bisogno, e il primo compito non facile che attende Pierluigi Bersani sarà quello di impedire che, una volta ancora, siano “avvelenati i pozzi”: cioè che invece di avere una campagna elettorale centrata sui problemi del paese e sul come uscirne se ne abbia una centrata su interessi di categoria da una parte, e rivalità se non odi di singoli e di fazioni dall’altra (e qui Bersani dovrà anche guardarsi in casa, perché dentro al Pd e alla sua sinistra vi è tutta un’area che usa spregiudicatamente temi di giustizia sociale per salvare rendite di posizione e potere).

Da questo punto di vista le primarie del Pd hanno probabilmente aiutato, ma il difficile verrà da ora in poi. È certo che il cammino che l’Italia dovrà percorrere per uscire dal declino economico e sociale sarà lungo e duro. È anche possibile che per percorrere questo cammino sia necessario ancora per un paio d’anni un governo di grande coalizione, e quandanche questo fosse l’esito del voto non vi sarebbe da scandalizzarsene.  Certo però che un conto sarebbe un accordo dopo le elezioni fra avversari che si sono confrontati sui problemi, e un altro una tregua forzata, magari imposta da una crisi finanziaria incombente, fra nemici con il coltello dietro la schiena.

Un rimpianto rimane, ma come tale va consegnato nel cassetto dei sogni: ve l’immaginate come sarebbe stata una campagna elettorale fra Renzi e Alfano?

3. E una nota di fiducia va pure espressa, anzi due, la prima relativa al futuro e la seconda all’esperienza del passato. Quanto al futuro, i mesi che stiamo attraversando, e la prima parte del 2013, saranno probabilmente i più difficili di tutta questa lunga crisi. Dopo, se in questo frattempo riusciamo a limitare i danni, l’orizzonte verosimilmente si schiarirà un poco, e dunque keep calm and carry on (mantieni la calma e vai avanti), come consigliava agli inglesi nel 1939 il governo di Sua Maestà britannica.

Quanto al passato, in più occasioni nel secondo dopoguerra l’Italia è sembrata vacillare sull’orlo di scelte tragicamente sbagliate: la collocazione nel campo democratico versus quello comunista tanto per cominciare, ma poi anche la cosiddetta crisi degli euromissili, il referendum sulla scala mobile, l’appartenenza al sistema monetario europeo, l’ingresso stesso nell’euro. Sempre, alla fine, ha prevalso l’interesse di lungo periodo del paese, o forse semplicemente il buonsenso. Senza nascondersi né il fatto che oggi l'implosione politica italiana avrebbe effetti potenzialmente distruttivi per l’intera costruzione europea, né le difficoltà della situazione attuale, per certi aspetti maggiori rispetto al passato, l’esperienza tuttavia dovrebbe far propendere per la fiducia. Soprattutto se, come abbiamo scritto più volte, la fiducia troverà imprenditori politici capaci di dare ad essa voce: a cominciare dal fatto di usare, in campagna elettorale, il linguaggio della verità.