1. Immaginate per ipotesi che da domani su ogni veicolo in circolazione in Italia venga inserito un microchip, un piccolo dispositivo di localizzazione inamovibile quanto implacabile. “Ce lo impone l’Europa”, ci diranno, o qualcosa del genere. Grazie a questo dispositivo la Polizia Stradale saprà in ogni momento dove siete, a che velocità andate, dove avete parcheggiato, per quanto tempo, e in che modo.

Grazie a questo dispositivo, le multe verranno elevate in tempo reale, e per quante volte risulti necessario a dissuadervi dal contravvenire al Codice della strada. E non dubitatene: in futuro il vostro intero tracciato di percorrenza automobilistica cadrà sotto l’occhio vigile di chi dovrà decidere se rinnovarvi la patente o meno. Il paradiso in terra? Prima di rispondere a questa domanda pensateci, poi ci torniamo.

Intanto veniamo a un’altra questione, questa volta tutt’altro che ipotetica.

Con l’accoglimento nella legislazione italiana dall’Agenda digitale europea si fa sempre più strada il disegno strategico di raccogliere in un unico file tutti i dati che ci riguardano, dai riferimenti anagrafici alla cartella clinica. Dalle pieghe dell’Agenda digitale italiana emergono anche riferimenti obliqui al progetto di legare questi dati a ogni altra utenza di un cittadino, compreso l’uso del contante. Con l’introduzione poi del denaro elettronico si potrà sapere come, quando e dove un cittadino acquista un bene o un servizio. A questo disegno, più volte annunciato dal governo Monti, si aggiunge anche il progetto di inserire in ogni banconota fisica un micro-dispositivo che segnali la posizione di una banconota nello spazio reale e in tempo reale.

Tutti questi disegni, la cui hybris è evidente, partono da una novità nei processi di calcolo, che ormai mettono a disposizione dei super-computer tempi di elaborazione istantanei rispetto a volumi di dati tendenti all’infinito. In altre parole, si è verificato un salto generazionale nell’elaborazione dei dati e questo preme sul mondo fisico chiedendo un cambio di regime. Se questo cambio avverrà, il mondo come l’avremo conosciuto scomparirà e ci ritroveremo tutti a rileggere con sorpresa le pagine profetiche di Orwell.

Per il momento sono nel mirino le grandi multinazionali che usano la geometria variabile della propria forma organizzativa per eludere il fisco del paese dal quale nominalmente operano. È di questi giorni la notizia che Apple, la multinazionale dell’elettronica basata a Cupertino, California, ha eluso tasse federali per 1,6 miliardi di dollari usando un agile sistema di scatole cinesi che si estende anche nei paesi europei. Ma un domani cadremo tutti nelle maglie dei controlli incrociati, multinazionali e privati cittadini. La potenza di calcolo per rendere il controllo capillare c’è già, e in parte è già al lavoro. Alcuni lo chiamano Big Data, con obliquo ma ovvio riferimento al super-controllore orwelliano, il Big Brother.

Ma già si obietta: se uno non ha nulla da nascondere non si deve preoccupare. Questo è un vecchio, vecchissimo argomento a favore del totalitarismo. Presuppone una cosa, che cercheremo ora di mettere in luce nel modo meno ambiguo possibile. Perché è vero, se una persona tiene un comportamento specchiato, non ha nulla da perdere nel vivere in una casa di verto. Ma non è questo il modo di affrontare il problema, anche perché nessuno vuole vivere in una casa di vetro.

2. Max Weber sosteneva che il capitalismo ebbe origine nell’etica protestante. Secondo il dogma calvinista, la forma più radicale di protestantesimo, nessuno poteva sapere in terra se Dio l’avesse già predestinato alla salvezza, a prescindere e a priori. A ben vedere, però, si potevano scorgere dei segni nel comportamento. Se una persona ruba abitualmente o uccide qualcuno non è probabile che sia fra i prescelti, anche se non si può mai sapere per certo. Quindi se nella vita quotidiana un individuo agisce per il bene della comunità (dei credenti, a cui non appartengono, per esempio, gli indiani d’America, che si possono liberamente abbindolare o uccidere) e accumula denaro mettendo a segno un successo commerciale dopo l’altro, può darsi, anzi è probabile, chissà, che sia fra i predestinati al regno dei celi. Nasce quindi l’impulso ad accumulare capitale per provare a se stessi di essere fra i predestinati. Il successo economico porterà anche queste persone a potersi occupare di politica e a sedere nei primi banchi del tempio. Non in quanto persone facoltose, ma persone il cui successo economico induce a pensare che godano del favore del Dio creatore di ogni cosa. Nasce però un problema. Spendere denaro per fini non nobili porta alla corruzione dei costumi e al declino della morale. Le Sacre scritture sono esplicite al riguardo. Quindi insieme all’impulso di accumulare denaro nasce l’esigenza di reinvestirlo piuttosto che spenderlo. Spendere sarebbe la prova provata di non essere fra i prescelti alla vita eterna: che era poi quello che facevano i principi rinascimentali corrotti dell’Europa meridionale i quali certamente salvi in eterno non erano.

Innumerevoli sono gli storici che si sono scagliati contro Weber per dimostrare che il capitalismo è nato in Italia e non nell’Europa settentrionale. Ma va colta la filigrana del discorso di Weber, sono le idee che generano effetti sulla realtà, compresa l’economia, e non il contrario, come sostenevano i materialisti.

Una delle idee chiave della nostra civiltà è il libero arbitrio. Se tutto fosse già deciso in partenza prima della nostra nascita la nostra libertà non varrebbe nulla. Saremmo solo liberi di compiere il nostro destino. Quindi non saremmo liberi affatto. Costruire edifici cibernetici che in tempo reale dicono all’autorità centrale quanto conforme alla legge è il nostro comportamento è la massima approssimazione umana all’ideale di una divinità onnisciente e onnipotente che da tempo immemore presiede a tutto il creato. Il fisco del futuro non saprà se un individuo è predestinato dalla nascita all’onestà, ma potrà certamente presumerlo dal comportamento, di cui saprà tutto, al netto di scambi in natura, sempre possibili, ma sempre più rari. C’è da presumere infatti che i dispositivi biometrici oggi istallati solo negli aeroporti diventeranno ubiqui, permettendo l’individuazione istantanea di chiunque, ovunque. Non vi sarà scampo. Chi scambierà frutta e verdura per una prestazione professionale verrà di sicuro ripreso da una telecamera, che si interrogherà su quanto vede giungendo istantaneamente alla conclusione che uno scambio è in corso. Mi fermo qui, siamo di nuovo in territorio fantastico, ma non troppo. La storia della tecnologia ci ha insegnato che se una cosa è concepibile, qualcuno ci sta già lavorando sopra per realizzarla.

3. Qual è il problema di un mondo utopico in cui la disposizione d’animo di ogni individuo sia nota in ogni istante all’autorità che presiede al vivere sociale? Senza scomodare i filosofi (da Sant'Agostino a Foucault), torniamo al mondo immaginato all’inizio, il mondo in cui un microchip permetterà l’elevazione automatica di multe per sosta vietata a ogni nostra sosta vietata. Si tratta di un mondo utopico – ove la giustizia regna in terra – o di un mondo distopico? Ovviamente del secondo, e per un motivo molto semplice. Prima di adeguare la realtà materiale a un sistema di norme sanzionatorie occorrerà che questo sistema di norme sia adeguato alla realtà. Occorre in altre parole che i due mondi si rispecchino senza distorsioni. È umanamente possibile che un sistema di norme possa descrivere con esattezza ogni comportamento sanzionabile quando l’autorità che vi presiede non è capace di governare il mondo materiale in ogni suo aspetto, anche il più minuto. Recatevi davanti a una qualsiasi scuola italiana la mattina all’ora dell’entrata dei bimbi. C’è spazio per l’afflusso ordinato dei mezzi? No. Ci sono parcheggi a sufficienza per i genitori che portano i bimbi a scuola? No. Sarebbe possibile costruire scuole con sensi di marcia capaci di regolare il traffico alla perfezione? Forse, ma con un dispendio di risorse infinito. Sarebbe possibile realizzare parcheggi a sufficienza per ogni genitore nei pressi della scuola? O in alternativa sarebbe possibile realizzare sistemi di trasporto pubblico perfetti, a misura di ogni genitore e ogni esigenza? Certamente, in un mondo perfetto, che tra l’altro non è l’Italia con i suoi borghi medievali e le sue stradine strette a traffico misto. È dunque possibile istallare un microchip per stabilire chi la mattina portando il bimbo a suola infrange il Codice della strada? Certamente, ma sarebbe giusto? No.

Solo una realtà sociale perfetta in ogni suo punto può permettersi sistemi di sorveglianza perfetti disposti in ogni punto dello spazio e del tempo. E non solo non siamo ancora giunti alla perfezione, ma non ci giungeremo mai perché siamo creature fragili e fallibili. E la perfezione non è di questo modo.

Fino ad oggi ci siamo accontentati della finzione per cui le norme vanno rispettate in ogni momento e in ogni luogo, ma in realtà il libero arbitrio consente l’uso del buon senso. Se un cartello stradale dimenticato per strada mi impone di andare a 40 Km/ora quando quel cartello è chiaramente fuori posto, o perfettamente assurdo, perché è notte e non c’è nessuno, non solo è possibile infrangere quel divieto, ma è imperativo. Pena il ridicolo.

Quello che ci salva, quello che rende la vita sociale vivibile, è la vaghezza che circonda l’applicazione di certe norme. L’infrazione è sempre sanzionata, ma esistono coni d’ombra che consentono quello che in teoria non è consentito: l’esercizio del libero arbitrio. I veri divieti imperativi sono pochi, e il buon senso ce li segnala con esattezza stechiometrica. Non esiste mai la libertà di uccidere il vicino di casa, anche se è un cafone ed è notte e nessuno vede. Questo è chiaro a tutti, tranne a chi ha problemi oggettivi. Ma al contempo esistono leggi arbitrarie e assurde il cui rispetto certe volte può anche portare a dubbi di coscienza. È difficile e sempre delicato muoversi in queste situazioni, ma la soluzione non è la sanzione immediata di un comportamento in tempo reale con mezzo meccanico.

Non siamo macchine. Non facciamoci governare da chi vuole impiegare delle macchine per districarsi dalla natura umana. Un mondo imperfetto che chiede l’applicazione perfetta delle sue norme imperfette non è un paradiso in terra, ma una distopia totalitaria realizzata.