1. Quanti sono gli abitanti del pianeta che hanno fatto uso finora del test del DNA? La domanda non è peregrina. Da quando nel 2003/2005 è stata ultimata la fase più importante della mappatura del genoma umano si sono moltiplicati i siti web che forniscono un servizio completo, recapitato direttamente nella propria casella email. “La salute e gli antenati cominciano qui”, come recita uno slogan. Con la possibilità, soprattutto, di condividere tali risultati su internet, come racconta Sergio Pistoi (Il DNA incontra Facebook, Marsilio 2012). La scansione del genoma, la sua traduzione in dati leggibili e accessibili, l’esportazione di informazioni così dettagliate riguardanti il proprio corredo genetico aprono una serie di questioni vitali che riguardano la politica e la biologia, la privacy e la tutela della riservatezza, in un domani molto prossimo, anzi praticamente già cominciato.

Circa mezzo milione di americani è cliente di 23andMe.com. Il sito (che trae evidentemente il proprio nome dal numero di coppie di cromosomi umani) è il leader nel settore, e offre una scansione personalizzata del proprio genoma, con decine di informazioni utili riguardo alle possibili predisposizioni a malattie ereditarie (carcinomi, morbo di Parkinson, di Alzheimer), ma anche a legami di parentela e di consanguineità. Nato nel 2006, si fa notare per la semplicità di utilizzo, la grafica accattivante, l’estrema semplicità della procedura: acquistato il servizio, si riceve a casa propria un kit con una provetta (spit kit) nella quale raccogliere la propria saliva. Si rispedisce il campione, e dopo 4/6 settimane si riceve via mail l’accesso ai risultati. Il servizio è in pieno boom. Dopo che è stato lanciato nel 2007, sta avendo un picco di utenza e un abbattimento dei prezzi che lo ha portato in tre anni dal costo di 1.000 a quello di 99 dollari.

Meno di 75 euro per avere il proprio corredo genetico in formato digitale, oltre 240 dati riguardanti la propria salute e i suoi possibili sviluppi, ma anche una serie di utili informazioni su sconosciute intolleranze alimentari, e infine, le proprie “origini” e legami di parentela sparsi per il mondo. Anne Wojcicki, AD e cofondatrice del gruppo (che ora è in parte controllato da Google) ha dichiarato che l’aspettativa di utenza di 23andMe è di 1 milione di clienti entro la fine del 2013. Un obiettivo estremamente ambizioso (si tratterebbe di raddoppiare gli utenti nel giro di quattro mesi soltanto), ma non irraggiungibile, se si pensa che a fine 2012 erano solo 180mila, e che dà l’idea di quanto questo servizio si stia imponendo presso una fetta consistente di pubblico negli Stati Uniti.

2. La competizione nel mercato del genoma affila a sua volta le proprie armi. E comincia, seppur timidamente, a diffondersi anche presso gli italiani. Oltre al già citato 23andMe, anche Pathway Genomics e Navigenics forniscono prodotti simili. Il principale competitor europeo, l’islandese DeCodeMe, ha interrotto il servizio nell’aprile 2013, dopo che il gruppo è stato acquistato dall’americana AmGen. In Italia sono attivi siti come TestDNA.it, del gruppo LaboratorioGenoma, ma da noi restano più diffuse le ricerche “tradizionali” di genetica, che si concentrano sulla ricerca di singoli geni, o gruppi di geni, a scopo di test di paternità o nella ricerca di una malattia già individuata sulla scorta di sospetti e ipotesi, o, ancora, nella medicina forense.

In Breve storia del futuro (Fazi, 2005) Jacques Attali disegna uno scenario in linea con quanto finora descritto. L’avvenire è nell’auto-checkup, la sanità autogestita; rilevatori interni al corpo che forniscono una serie di informazioni sui valori, elaborano diagnosi, permettono di individuare rischi e patologie in tempo reale. E addirittura le curano. Una visione tutto sommato non così fantascientifica, se si considera che si pone sul crinale di due necessità del mondo contemporaneo: quella di abbattere i costi del welfare senza abbattere la qualità dei servizi, e quella di tenere sempre costantemente sotto controllo il proprio destino, in uno sforzo estremo di determinarlo. “Cambia quello che puoi, gestisci quello che non puoi”, dice uno dei servizi di mappatura del genoma, in uno spot ammiccante. Ancora: “più cose sai del tuo DNA, più cose sai di te stesso”. La vicenda di Angelina Jolie, che si è fatta asportare entrambi i seni dopo che un test le aveva confermato il rischio altissimo (e geneticamente trasmesso) di contrarre tumore alla mammella, ha rappresentato il coming out generale della tematica.

3. Quello che tuttavia Attali nel 2005 non era stato in grado di prevedere è la svolta social, intervenuta negli anni del Web 2.0, che la genomica ha preso: molti utenti cominciano a condividere i propri dati su internet. “Share your health results” è un bottone ammiccante che consente di pubblicare una parte o la totalità dei risultati, compresi i legami di parentela. È evidente che le implicazioni sociali e culturali vanno ben oltre la semplice constatazione del desiderio di controllo (per quanto illusorio) dell’uomo occidentale sulla propria vita; del bisogno (per quanto ossessivo e spiccatamente americano) di ricercare un continuo miglioramento (empowerment) della propria salute; del narcisismo giocherellone e incosciente che porta a mettere tutto questo su Facebook. Quella che va edificandosi è un’immensa banca dati globale di individui che potranno essere scandagliabili in aspetti della propria identità finora imprevisti – compreso quello genetico. Il quale non cambia mai: mentre le opinioni, i gusti personali, i conti i banca sono volubili e discontinui, il corredo genetico è per sempre. Sempre secondo Sergio Pistoi, le compagnie che eseguono questi test dovranno presto pagare le persone perché decidano di effettuarli, consegnando loro i propri dati personali, che hanno un valore immenso. Di ricerca, di statistica, e perché no, anche di controllo su un campione di popolazione sempre più vasto. Non a caso, la fondatrice di 23andMe parla spesso di obiettivi numerici vasti e di patrimonio per la conoscenza e la salute collettiva. Un sogno che oltrepassa l’individuo e ha il sapore – non troppo vago – di progetto sociale.

Il tema colpisce al cuore ogni discorso possibile sulla privacy e sui suoi confini. Cosa accade, per esempio, se un datore di lavoro viene a conoscenza di predisposizioni ereditarie in un proprio dipendente? Del rischio molto alto di ammalarsi di Alzheimer o di Parkinson, oppure di sviluppare un tumore difficilmente curabile, che ne lima drasticamente le aspettative di vita? Come regolare l'accesso di governi e potere pubblico a dati così sensibili? Nel 2008, l’amministrazione Bush ha approvato il Genetic Information Nondiscrimination Act (GINA), che protegge dipendenti con condizioni pre-esistenti di salute dalle discriminazioni sul posto di lavoro. Ma l’accessibilità universale ad aspetti così personali, ipotizzabile in un futuro tutt’altro che lontano, potrebbe rivelarsi difficile da controllare anche con i più raffinati meccanismi legislativi. In Italia ogni discorso concernente la biopolitica e la privacy si è affastellato in questi anni intorno a casi drammatici come quello di Eluana Englaro e del ruolo dello Stato e dell’autorità religiosa rispetto all’individuo. Una tematica sicuramente fondamentale, ma che sarà comunque superata, nei prossimi anni, da nuove possibilità (e nuovi rischi) per la riservatezza. Su un fronte imprevisto e solo apparentemente remoto.