1. Tutti sanno che in Italia, quando si vuol far finta di cambiare qualcosa, ma in realtà si intende lasciar le cose come stanno, si nomina una commissione d'inchiesta. Il Ministero dell'Istruzione ha ora trovato una valida alternativa tecnologica a questa prassi: bandire un mega-sondaggio online.

È stata questa infatti la scelta adottata per (evitare di) mettere mano al valore legale del titolo di studi: aprire una pagina sul sito del ministero e invitare tutti gli interessati a dire la propria. Agenda liberale si era già occupata a suo tempo di questa operazione (peraltro dal costo non trascurabile, supponiamo), con una serie di articoli. A questionario concluso, torniamo sull'argomento, per vedere com'è andata.

2. Un po' come con tante primarie dal risultato scontato, anche il questionario ministeriale sul valore legale è andato "come doveva andare": ha cioè sostanzialmente messo in luce i dubbi e le resistenze all'abolizione del valore legale da parte di una larga fetta di coloro che hanno risposto, ha visto una vittoria consistente delle risposte a difesa dello status quo, e ha così offerto al Ministero una perfetta legittimazione per non cambiar nulla.

Ma in che senso l'esito era scontato?

Lo era nel senso che le domande erano poste in modo tale che un'opzione autenticamente liberale non c'era, o meglio l'unico modo per esprimerla - non essendo essa prevista tra le ipotesi prestabilite dai burocrati ministeriali - era quella di barrare la casella "altro", spiegando che le opzioni proposte non erano le uniche disponibili, ma era possibile uscire dagli schemi previsti e pensarla diversamente. Peccato che queste risposte alla voce "altro" si siano perse inevitabilmente in un unico calderone, e con ogni probabilità, mai nessuno ne darà conto.

Destino ahimé frequente, questo, per gli amanti della libertà, che si trovano spessissimo a fronteggiare opposti estremismi, opposti socialismi, di destra e di sinistra, e non vedono la propria opzione neppure inclusa tra quelle contemplate. Simili in questo al povero Bertoldo della fiaba, la cui unica scelta rimasta era quella di indicare l'albero a cui farsi impiccare, ma il cui sentiero era già stato segnato da altri più potenti di lui.

3. Va peraltro riconosciuto che, anche senza questo vizio di fondo del sondaggio, il risultato sarebbe verosimilmente stato in ogni caso deludente per chi abbia idee liberali: basti osservare il fuoco di sbarramento opposto dalla gran parte degli stakeholders, con un consenso trasversale che mette tutti d'accordo soggetti assai diversi.

Così, nell'indagine conoscitiva avviata dal Senato "sugli effetti connessi all'eventuale abolizione del valore legale del diploma di laurea in Italia", si erano espressi a vario titolo contro tale ipotesi di abolizione tanto la Conferenza dei Rettori delle Università italiane, quanto il Consiglio nazionale forense, quanto i sindacati dei lavoratori delle università, quanto il Consiglio Universitario Nazionale, quanto la Federazione nazionale degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri.

In occasione del questionario, poi, il CUN ha ad esempio ribadito la propria contrarietà osservando che «l’abolizione del valore legale del titolo si configurerebbe oggi in Italia come la rinuncia da parte dello Stato al suo proprio ruolo di garante della qualità della formazione superiore e alla propria funzione pubblica di controllo e responsabilità» (evidentemente ritenendo che ciò sarebbe un fatto negativo), e rifugiandosi nel benaltrismo: «l’abolizione del valore legale del titolo di studio sarebbe una risposta sbagliata a problemi reali, che vanno certamente affrontati e risolti con strumenti e metodi diversi».

Ma purtroppo sulla stessa lunghezza d'onda, e anzi ancor più ostile alla libertà, si è mostrata l'ADI, Associazione Dottorandi e Dottori di ricerca italiani, che anzi ha invocato un maggior valore legale del titolo di dottore di ricerca, ha sostenuto che abolire il valore legale delle lauree «porterebbe ad un generale peggioramento delle condizione dei nostri atenei», e infine si è unita al coro dei fautori del movimento dei beni comuni (adottando peraltro lo stesso linguaggio involuto e oscuro: «esistono dei beni e dei luoghi – tra cui sono annoverabili il sapere e l’Università – che non possono che essere declinati al solo sviluppo della personalità degli individui e della collettività»), condendo poi il tutto con una spruzzata di retorica costituzionale: «la qualità non può essere privilegio di pochi. Questo principio di uguaglianza ispira profondamente la nostra Costituzione  ed è il presupposto di base del metodo meritocratico».

4. Insomma, tutti uniti a difesa dell'esistente. E pazienza se poi l'esistente continua a riservare bocciature per le università italiane: vorrà dire che si invocheranno come al solito più fondi (senza curarsi di verificare se non abbia ragione chi sostiene che l'università italiana non sia affatto sottofinanziata). E pazienza anche se poi storie come quella della laurea in Albania di Renzo Bossi mettono a nudo quante farse si consumino in nome del "pezzo di carta", che altro non è se non un sinonimo di "valore legale": meglio invocare nuove regole, nuovi controlli, nuovi divieti, senza accorgersi che il "valore legale" si comporta come tutte le irragionevoli alterazioni di un sano meccanismo di mercato, provocando squilibri e abusi che per essere corretti richiedono ulteriori alterazioni, che a loro volta riproducono il meccanismo e necessitano di ancora altri interventi.

Chi vorrebbe un po' più di libertà e di mercato, si metta l'animo in pace: metta la sua brava crocetta alla voce "altro", e poi prepari pure le valigie per un Paese meno chiuso dell'Italia. La scelta, almeno qui, è vastissima.