Si fa presto a dire impeachment, ma la conturbante realtà del momento politico a Washington non consente di fare previsioni fondate e meno ancora di dare questo evento per scontato

Vero è che un congressman di secondo piano, il democratico Al Green del Texas, sta elaborando una proposta di impeachment alla Camera dei Rappresentanti, dove sarebbe discussa in primis dal comitato giudiziario. Ma Green è il solo membro del Congresso a muoversi in questa direzione; gli altri democratici aspettano prudentemente il corso degli eventi. I più esperti osservatori politici dubitano che Donald Trump finisca alla sbarra del comitato giudiziario, ma prevedono una Gotterdammerung politica che toccherà il suo acme nelle elezioni midterm del Novembre 2018. Per la precisione, la tornata elettorale decisiva sarà quella che investe la consultazione per la Camera dei Rappresentanti, dove la conquista di ventiquattro seggi da parte dei democratici segnerebbe il trapasso nelle mani dei democratici. In tal caso, all bets are off, ossia tutto potrebbe succedere, inclusa teoricamente l’apertura di un procedimento di impeachment. Ma anche se i democratici disponessero dei voti per varare e approvare gli articoli di impeachment, il successivo processo presso il Senato, dove i repubblicani dispongono attualmente della maggioranza, non approderebbe alla condanna ed esautorazione del Presidente in carica. In breve, molto dipende dalla Gotterdammerung in atto da qui al Novembre del 2018, con possibili nuove rivelazioni sulla collusione tra Trump e i russi, inclusa la sospettata esistenza di una rete di rapporti economici, come quella ormai attribuita al genero di Trump, Jared Kushner. Qui vale la famosa esortazione di Gola Profonda del Watergate: “follow the money” (segui il denaro).                                                                            

La deposizione dell’ex direttore dello Fbi, James Comey, al Comitato di Intelligence del Senato ha certamente portato acqua all’accusa di ostruzione della giustizia da parte di Trump, ma non in misura tale, e con la concretezza di prove necessaria, daa generare uno specifico capo di accusa. Vero è anche che nei precedenti processi di impeachment a carico di tre Presidenti (Andrew Johnson, Richard Nixon e Bill Cinton), l’accusa era basata su prove non più gravi di quelle che oggi riguardano il tentativo di Trump di insabbiare le indagini sulla meschina figura dell’ex consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn. Del resto, è stato lo stesso Presidente ad associare il licenziamento in tronco di Comey con la “Russia thing”, ossia le indagini sulla collusione con la Russia durante la campagna elettorale, in piena contraddizione con quel che sosteneva la sua Casa Bianca giustificando l’esautorazione di Comey a motivo della famigerata inchiesta sulle email di Hillary Clinton.

Trump ha ostentato sicurezza nel respingere l’accusa di pressioni su Comey perché non desse corso alle indagini su Flynn; di fatto, si è venuta a creare una situazione che nel linguaggio pseudo legale dell’America è riassunta dalla frase “He says, she says”. La contrapposizione di testimonianze è pesante (Comey ha accusato apertamente il capo dell’esecutivo di aver mentito) e potrebbe un giorno rappresentare il fulcro di un processo senatoriale. I democratici finora si sono guardati bene dall’aprire il fuoco invocando il ricorso all’impeachment per il semplice fatto che sono perfettamente consci che nessun repubblicano si schiererebbe dalla loro parte. Non è privo di significato che nel corso dell’interrogatorio di James Comey due Senatori repubblicani abbiano interpretato la frase “I hope you will let this go” (spero che lasciate perdere la cosa) come un’espressione volta a persuadere Comey piuttosto che un ordine esecutivo, che avrebbe il valore di un intervento volto ad ostruire il corso delle indagini. Resta il fatto che nella sua testimonianza Comey aveva fatto altre rivelazioni: primo, l’insistenza nell’esigere senza mezzi termini la completa “lealtà” del capo dello Fbi; secondo, le pressioni perché Comey dichiarasse pubblicamente che il Presidente non era “sotto inchiesta”. In tutti questi casi, sostengono I critici del Presidente repubblicano, si tratta di pressioni “incompatibili” con un ente investigativo che per legge gode di completa indipendenza.

In pratica, è questo il verosimile capo di accusa al quale si affidano le speranze dei democratici di disarcionare il Presidente repubblicano. L’indagine che pesa sul capo di Trump comunque non è quella delle aule congressuali, dove l’atmosfera politica è indiscutibilmente pesante ma refrattaria ad una discussione di possibili “articoli di impeachment”. Ben più importante, a tal fine, è l’inchiesta affidata allo Special Counsel Robert Mueller, la cui esperienza decennale – dal Watergate alla mafia - lo porterà a fare ampio uso del mandato affidatogli per far luce su “qualsiasi collegamento e coordinamento tra il governo russo e individui associati alla campagna elettorale del Presidente Donald Trump”, ma anche – ed è qui che si apre un capitolo imprevedibile – “su qualsiasi questione che potrebbe emergere direttamente dall’inchiesta”. Tra le tante possibili “questioni di interesse” e personalità coinvolte anche marginalmente nello scenario di collusione con la Russia figurano certamente le esternazioni Twitter di Trump, in particolare quelle che rivelano il suo pensiero e le sue intenzioni su argomenti pertinenti al mandato investigativo dello Special Counsel.

I Twitter sono insomma una “miniera d’oro” che potrebbe scavare la fossa al Presidente. Ma il processo sarà indubbiamente lungo e potrebbero trascorrere anni per la presentazione di un rapporto al Dipartimento della Giustizia. Per contro, se dovessero emergere prove di attività illegali, lo Special Counsel Mueller potrebbe chiedere “indictments” ossia rinvii a giudizio ad un Gran Giurì. Tutto lascia pensare che i tempi delle indagini, incluse quelle congressuali, non favoriscano una spedita risoluzione in senso avverso al Presidente in carica, a meno che lo Special Counsel non faccia scoppiare una bomba. In mancanza di un tale sviluppo e di defezioni di membri repubblicani del Congresso, sarà la Corte della pubblica opinione a decidere le sorti della Presidenza Trump nelle elezioni midterm. Nell’Agosto 1974, Richard Nixon fu in pratica condannato da quella corte, molto prima che il processo di impeachment raggiungesse il Senato. La sopravvivenza di Donald Trump alla Casa Bianca non dipende dall’esito di una battaglia sugli articoli di impeachment, ma dalla decisione dei repubblicani del Congresso di fare scudo, proteggendo la Presidenza senza riguardo alle violazioni commesse da Trump in fatto di libertà, da quelle della stampa definita “nemica del popolo” a quelle di cittadini nati in certi paesi musulmani. In ultima istanza, l’unico vero giudice sarà l’elettorato americano.