Le esternazioni di Beppe Grillo nel suo contro-messaggio di Capodanno non possono e non debbono essere liquidate con un'alzata di spalle, come le parole di un comico improvvidamente salito agli onori della ribalta politica. Al contrario, esse vanno prese in seria considerazione e meritano una risposta strutturata e ponderata.
1. La tesi secondo cui la Corte costituzionale, anch'essa ormai screditata come le altre istituzioni, andrebbe abolita e sostituita con un gruppo di "semplici cittadini estratti a sorte", non è affatto una battuta e non è casuale. Non può essere derubricata a provocazione, né deve essere sottovalutata per la sua patente inverosimiglianza. Essa contiene invece un preciso e deliberato disegno politico: l'attacco neo-giacobino al sistema democratico-costituzionale, nelle forme in cui questo è emerso in Europa dopo la seconda guerra mondiale, con la sconfitta del totalitarismo.
Prima di quel conflitto, solo l'Austria aveva sperimentato una Corte costituzionale (alla quale aveva partecipato, in qualità di giudice, lo stesso Hans Kelsen). Il totalitarismo fascista e nazista aveva conquistato il potere, in Italia, in Germania e un po' ovunque, grazie alla spinta irruenta e apparentemente inarrestabile di una "democrazia plebiscitaria", sicuramente anti-liberale e anti-parlamentare, ma tutt'altro che priva di consenso, anzi basata proprio su una vasta mobilitazione popolare e di massa. La Germania in particolare rappresentava sotto questo aspetto l'esempio più emblematico: fra le molte ragioni che portarono al fallimento della Costituzione di Weimar, vi era quella per cui il giudizio di legittimità costituzionale era semplicemente demandato alla magistratura ordinaria, oppure al Presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo. La gerarchia delle norme ne risultava diminuita e il "giudice delle leggi" era assente (con le conseguenze ben note).
Proprio per queste ragioni, nel dopoguerra era emersa fortissima la preoccupazione di creare dei limiti all'azione dei governi e delle maggioranze; era necessario fissare un argine al potere stesso dello Stato, per mettere i regimi democratico-costituzionali al riparo dai rischi di una nuova "dittatura del popolo" (vera o presunta che fosse). Non bastava una Costituzione: occorreva una Corte suprema, che impedisse al Parlamento di varare leggi e norme contrarie a diritti umani e princìpi universali costituzionalmente garantiti. Le Corti costituzionali, in Europa, sono nate così. Esse rappresentano forse l'innovazione istituzionale più importante del XX secolo, dopo infinite e tragiche vicissitudini. Per capire la loro genesi, è necessario un passo indietro.
2. Prima della rivoluzione francese, durante l'Ancien Règime, il Parlamento in Francia aveva funzioni esclusivamente giudiziarie e rappresentava il più forte contropotere rispetto al dominio del sovrano. Il Re con il suo governo approntava le leggi, ma queste non entravano in vigore se non dopo il vaglio della magistratura parlamentare. Questi giudici, proprietari della carica, erano inamovibili (infatti i vari tentativi di modificare questa regola suscitarono durissimi conflitti politici). Al di là delle apparenze, dunque, la monarchia di Francia era tutt'altro che "assoluta": si era in presenza di un potere duale, una cohabitation di monarchia e magistratura.
Questo equilibrio, bicefalo e dialettico, durò circa quattro secoli, appunto fino alla rivoluzione francese, quando i giacobini riescono – sia pure per poco tempo e a prezzi altissimi – a realizzare proprio quello che era stato l'antico sogno di Richelieu: abolire la magistratura parlamentare. Questo è il vero portato storico della dittatura giacobina, insieme ai Comitati di salute pubblica, al Terrore, alla ghigliottina, fino al bonapartismo.
Per questi motivi, tornando all'oggi, non è affatto improprio definire "neo-giacobino" il pacchiano attacco di Beppe Grillo (un altro "Incorruttibile", dopo Robespierre) contro il sistema costituzionale italiano. Costui denuncia i tentativi dei partiti di stravolgere la Costituzione, intanto propone una modifica infinitamente più grave. Infatti dapprima si vanta di avere difeso l'articolo 138 – cioè di avere impedito una procedura di riforma meno rigida – poi se ne esce con una trovata che, se mai attuata, comporterebbe (essa sì!) un completo annullamento delle garanzie istituzionali. In Italia è necessaria una laurea in legge per diventare giudice di pace, mentre si dovrebbero estrarre a sorte... i giudici costituzionali? Un'uscita da autentico apprendista stregone, che lo ripeto va presa molto sul serio, in tutta la sua gravità.
3. Occorre dire, per completezza e onestà intellettuale, che a questo stato di cose ha contribuito non poco la Corte stessa, da ultimo con la controversa sentenza che ha dichiarato incostituzionale l'attuale Porcellum. Una decisione improvvida, giuridicamente assai discutibile e gravida di conseguenze negative: la Corte, nel malcelato intento di costringere un Parlamento delegittimato a riformare la legge elettorale, ha maldestramente delegittimato se stessa. Come non vedere la contraddizione di un organo di garanzia che interviene – in una materia schiettamente parlamentare – con sette anni, tre elezioni e due referendum di ritardo? Così l'abile demagogo ha colto la palla al balzo. Proprio il ritardo con cui la Corte si è pronunciata sul Porcellum è stato l'argomento "forte" utilizzato da Grillo, non per criticare i giudici autori di quella sentenza, ma per scagliarsi contro l'istituto stesso della Corte costituzionale.
Con questo attacco, il giustizialismo in Italia segna un salto di qualità. Esso era stato in anni recenti rappresentato principalmente (ma non esclusivamente) da Antonio Di Pietro. Questo personaggio, dai limiti culturali evidentissimi e tutt'altro che incensurabile, aveva tuttavia una storia personale e caratteristiche proprie che mai avrebbero potuto indurlo a una simile affermazione contro la Corte costituzionale. Beppe Grillo, evidentemente, è assai più pericoloso dello stesso Di Pietro.
Il comico genovese si è presentato al contro-messaggio avendo alle spalle un fotomontaggio di se stesso travestito da Garibaldi, con tanto di poncho e berretto tondo. Tornano alla mente le lettere acute e sottili che il Conte di Cavour inviava a Napoleone III nelle quali spiegava: "Garibaldi n'a aucune idée politique".
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