Margaret Thatcher se n'è andata facendo sì che apologeti e detrattori si accaniscano sulla sua imponente eredità politica. Ma lasciando da parte per un momento la querula battaglia sulle spoglie dell'ex Primo ministro britannico. Se guardiamo ai quarant’anni che precedettero il suo mandato, non non ci sarà difficile cogliere una lezione politica difficilmente contestabile.

Come nel caso dell'altro "outsider" della politica a cui più spesso è accomunata, Ronald Reagan, l'ascesa di Margaret Thatcher fu costellata di sacrifici, attese, tenacia, sconfitte, fatica, e percorsi collaudati. Si trattò per entrambi gli "outsiders" di un upbringing molto tradizionale. In estrema sintesi, la loro carriera, pur diversa, seguì il motto “lavorerò di più”, parole che Orwell affidò al più geniale dei suoi personaggi, il cavallo Gondrano, vero stakanov della Fattoria degli animali, instancabile bestia da soma. Capirlo nell’Italia di oggi, dove “nuovo”, “giovane” e “tecnico” sembrano essere diventati gli unici parametri di presentabilità politica, non è così semplice.

1. Il senso comune, l’abitudine a ragionare in termini di oleografie, associa agli anni Ottanta  a un edonismo diffuso, al trionfo dell’individualismo e dell’autoreferenzialità, al decisionismo, dell’elusione delle regole e procedure, al prevalere della vita solitaria su quella di relazione. Fu allora che iniziò a emergere il vocabolario dell’antipolitica, cioè dell’avversione alla politica di professione: vincono gli outsider prestati al ruolo pubblico in virtù di meriti acquisiti altrove, dall’imprenditoria allo sport, dalla finanza allo spettacolo.

Ma è questa anche la storia personale dei leader che fecero quel decennio, a cominciare dalla Thatcher? Non proprio. Nata nel piccolo borgo rurale di Grantham, nel Lincolnshire, Margaret Hilda Roberts era figlia di un droghiere, che nel microcosmo della provincia inglese lavorò con ambizione e tenacia facendo le proprie fortune nello spazio tra le guerre, come proprietario di due negozi. La giovane Margaret, ci dicono i biografi, cresce tra il bancone e la bilancia dei prodotti, tra gli ordini dei fornitori e la clientela che si affaccia alla porta, abituata dal commercio al dettaglio a un rapporto naturalmente affabile, di impersonale cortesia, con il cliente. Il negozio funge anche da ufficio postale per la piccola comunità, e questo fa sì che il mondo che vi passa non sia solo quello borghese ma anche di strati più bassi, dagli operai ai pensionati, con i loro minuti rapporti economici, tra vaglia e conti correnti.

Il padre è anche pastore della comunità, e cresce la propria secondogenita secondo un’educazione metodista e fondamentalmente vittoriana. Ma soprattutto Alfred Roberts è a lungo consigliere comunale, e poi, nel biennio dell’immediato secondo dopoguerra, sindaco del paese. Margaret è una studentessa seria e impegnata, con una forma di rispetto e di ammirazione molto forte per il padre che però non sembra tradursi in sottomissione, o tantomeno introversione, ma si rivolge viceversa a un impegno pieno, non riluttante, nella vita sociale, sportiva, scolastica. Come il giovane Reagan che le immagini d’epoca ci restituiscono in costume di bagnino, nelle estati di Dixon, Illinois, o nel completo da football all’Eureka College, la Thatcher, (che nel 1987 dirà  "there is no such thing as societyla società non esiste) primeggia in attività collettive e che richiedono vita di relazione.

Quello che colpisce della carriera politica di colei che nel 1979 diventerà la prima donna a guidare il governo britannico è la lunghezza, precocità e paziente preparazione di un percorso che darà i suoi frutti molto più avanti. Attiva nelle associazioni studentesche conservatrici a Oxford negli anni Quaranta, poi candidata senza successo per quasi tutto il decennio successivo in un collegio “difficile”, Dartford, la Thatcher (ormai sposata, e madre di due figli) entra nella Camera dei Comuni solo nel 1959, come rappresentante di Finchley, periferia londinese benestante, e per i vent’anni successivi salirà progressivamente la sua particolare “Ladder of fortune”, dove ogni gradino è fatto di sacrificio e dedizione, e i frutti del lavoro sono dispensati con parsimonia. La svolta, per lei, viene nel ’75, con la vittoria strategica contro Edward Heath per la leadership del partito (un anno dopo, in Italia, al Midas, Craxi prendeva le redini del PSI). Una vita per la politica? Sì. Di più: un’ascesa politica tradizionale, all’interno di meccanismi di selezione partitica e senza spinte eversive rispetto a quei meccanismi stessi. In totale, dai tempi della scuola a Downing Street, fanno trentacinque anni rotondi.

2. Di Reagan giovane attore, dei tempi in cui lascia il sonnolento Midwest e approda all’industria cinematografica, si è detto molto, ma una cosa conviene sottolineare qui: Reagan non fu mai uno di quei personaggi che affollano il mosaico californiano variopinto e trasgressivo che vediamo, per esempio, in film come Hollywood Party - luogo emblematico, culturalmente, della West Coast liberal e anticonformista del dopoguerra. Anch’egli proveniente da un contesto estremamente piccoloborghese, e gelosamente affezionato a quel retaggio, anch’egli dotato di un’attitudine pragmatica, certo ambiziosa, ma sostanzialmente semplice, Reagan non fu mai un esponente della dolce vita americana, mondana e decadente, persino quando divenne molto ricco. Nel solido secondo matrimonio con Nancy trovò rifugio e spesso protezione. Anni dopo, alla Casa Bianca, i biografi li ritraggono unanimemente come due inquilini sedentari e tradizionali, sostanzialmente noiosi, che cadenzavano le proprie apparizioni pubbliche, amavano pasteggiare davanti alla televisione e andavano a letto presto.

Quanto alla carriera politica di Ronnie, basti ricordare che il “candidato Reagan” affronta in successione, dai primi anni Sessanta in cui partecipa alla campagna presidenziale di Goldwater come uomo-immagine, ben due approcci falliti alla Casa Bianca (1968 e 1976), un quasi-insuccesso dal quale poi si riscatterà eroicamente (1980) e una serie impressionante di esclusivismi e umiliazioni inflittigli dal gotha consolidato del partito, non ultimo Nixon, che in un incontro a Washington nei primi anni Settanta lo sdegna apertamente.

Un percorso, quello di Reagan, che tra alti e bassi prende sempre posto nell’ordinato meccanismo di selezione del Partito Repubblicano, e passa attraverso primarie, nomination, vincoli e appoggi.

3. E’ difficile riconoscere tutto questo al di là della retorica di citizen politician che Reagan e Thatcher, e un’intera generazione di politici dopo di loro, si sono costruiti intorno. Senza arrivare ai casi recenti di Berlusconi, Schwarzenegger, Bloomberg, già di Jimmy Carter si sottolineava il ruolo di homo novus della politica, proprietario di una industria di arachidi in una piccola cittadina. E non c’è bisogno di andarsi a leggere le memorie di una crudele Thatcher per intuire quali possano essere stati i suoi aspri commenti nell’incontrare per la prima volta l’ingenuo, «inadeguato» Carter. L’autobiografia della Iron Lady, d’altra parte, rivela tutta un’atmosfera psicologica da vera guerriera della politica, tradisce un vocabolario bellicoso e ruggente: lotta, battaglia, sfida, vittoria, conquista.

I tempi complessi che viviamo inducono a sospendere il giudizio sull’efficacia delle politiche economiche degli anni Ottanta. Ma una cosa possiamo dirla: Thatcher e Reagan, due modesti e geniali borghesi in grado di rompere con tradizioni storiche e politiche consolidate, furono, ricordando Gondrano, prima di tutto grandi e decisi lavoratori. Umiltà, gavetta, cose noiose insomma da raccontare ma soprattutto da praticare; eppure, una democrazia sana sembra funzionare ancora con questi ingredienti. Utile promemoria per un’Italia che, di fronte a una classe politica poco competente, cerca in questi mesi improbabili vie di fuga tra banchieri, saltimbanchi e uomini della Provvidenza.