Da quando non si vota più con un sistema rigidamente proporzionale si sono moltiplicati gli appelli al “voto utile”. Ma in che cosa consiste l’utilità di un voto? La teoria della scelta razionale può aiutare a capire quali siano i costi e i benefici di un voto espresso in un sistema elettorale complesso come quello attuale. 

 

1. Dal punto di vista della scelta razionale, tutti i voti sono inutili. E’ impossibile che il voto di ciascuno di noi sia decisivo per determinare l’esito di una tornata elettorale. Anche nel caso della vittoria dell’Ulivo nel 2006 – vittoria conseguita per soli 24.000 voti – nessuno dei votanti può ragionevolmente ritenere di essere stato decisivo in senso stretto. Di fronte a questo beneficio nullo, ci sono dei costi derivanti dalla necessità di ottenere informazioni sui partiti, così da poter studiare il profilo dei candidati, il loro programma, la loro performance passata. Nella bilancia tra costi e benefici non c’è partita: i primi sono certamente superiori ai secondi e quindi nessuno dovrebbe andare a votare. Questo però ci porta al “paradosso del voto”: quando tutti, tranne uno, decidessero di non votare, quell’uno deciderebbe l’esito delle elezioni. È per evitare che si verifichi questo paradosso ch’è razionale andare a votare.

Probabilmente il dibattito politico sul voto utile è viziato in partenza da alcuni problemi interpretativi. Le due coalizioni maggiori ritengono che l’unico voto utile sia quello dato ai soggetti che le compongono, gli unici soggetti che a loro modo di vedere hanno una chance di determinare la vittoria, e questo perché solo gli schieramenti più grandi possono ragionevolmente sperare di vincere. Dal canto loro, i partiti minori sostengono che in questo modo si svaluti il voto del singolo elettore, e che tutti i voti siano egualmente importanti, anche quelli non espressi per formare un governo.

L’aggettivo “utile” viene dunque ad assumere una connotazione valoriale che in realtà non dovrebbe avere. In questo caso sarebbe più corretto parlare di voto strategico, cioè di voto dato in maniera strategica a un partito la cui coalizione ha le più elevate probabilità di vincere le elezioni. Va notato che il voto è sempre un po’ strategico. Quindi spesso si vota non per il partito al quale ci si sente più vicini, ma per quello che più vi assomiglia. D’altra parte la stessa offerta politica tiene conto di questi fattori, cercando di presentare all’elettore voti “utili” in ragione delle coalizioni che si presentano alle elezioni.

Per esempio, l’alleanza fra la Lega e il PDL è strategica più che ideologica, nel senso che in sua assenza sarebbe impossibile che questi partiti possano sperare di vincere in Lombardia e in Veneto. Vista l’attuale legge elettorale, se non si fossero alleati in queste regioni i due partiti concederebbero il premio di maggioranza al Senato alla coalizione capitanata da Bersani e quindi le permetterebbero di avere una solida maggioranza anche nella camera alta. Anche la desistenza tra l’Ulivo e Rifondazione Comunista nelle elezioni del 1996 fu una forma di voto strategico, in cui in alcuni collegi i candidati dell’Ulivo non si presentarono in modo che i voti degli elettori ulivisti si potessero riversare sui candidati di Rifondazione Comunista (e viceversa).

2. Il voto che non concorre alla formazione del governo non è inutile, ma espressivo. Non è vero che gli elettori votano solo per scegliere chi li governerà, ma essi traggono soddisfazione anche nel fornire segnali ai partiti: è questo in larga parte il significato del voto per il MoVimento Cinque Stelle, e un buon risultato di Fare per fermare il declino sarebbe certamente il segnale di un voto liberale deluso nei confronti del PDL. Considerazioni simili si potrebbero fare per liste molto diverse tra loro come Rivoluzione Civile e i diversi piccoli partiti di destra coalizzati con il PDL.   

3. D’altra parte un voto strategico può “esprimere” diversi stati d’animo nei diversi contesti. Alla Camera il voto è strategico se dato alle due principali coalizioni, ma al Senato la situazione può cambiare radicalmente. In una regione “rossa” può essere strategico per l’elettore di sinistra votare per Rivoluzione Civile: infatti,  nel caso di vittoria in quella regione, la coalizione Italia Bene Comune prenderebbe il 55% dei seggi ed il centrodestra sarebbe costretto a dividere il restante 45% con Rivoluzione Civile. Così si ridurrebbe il numero di senatori che potrebbe ottenere la coalizione di centro-destra e che tornerebbero utili nel caso in cui al Senato non vi fosse una maggioranza autosufficiente.

In definitiva, il concetto di voto utile è poco significativo: non cattura tutti gli aspetti per i quali un individuo va a votare e non coglie le caratteristiche dell’offerta politica dei partiti, che può essere costruita in maniera strategica per ottenere un certo risultato.