1. C’è una brutta notizia per i socialisti francesi impegnati in questi giorni nella campagna elettorale per le presidenziali del 6 maggio. E così per il loro leader François Hollande, che pure ha cominciato la corsa con un significativo margine di vantaggio sul presidente in carica Nicolas Sarkozy. La brutta notizia è che Sarkozy può farcela, può essere confermato all’Eliseo, quella stessa riconferma che Chirac e Mitterrand prima di lui avevano avuto, così regalando alla destra un regno ininterrotto che dal lontano 1995 potrebbe arrivare al 2017.

Tutto, dallo slogan di campagna del Presidente uscente (“La France Forte”), alle parole utilizzate (“la majorité silencieuse” di Georges Pompidou), fino soprattutto ai temi che la destra propone, punta recisamente ai concetti basici di forza e stabilità.

Ma ancor prima degli slogan, il bilancio di una presidenza: cinque lunghi anni nei quali Sarkozy ha dismesso con disinvoltura l’abito di francese più americano di Francia che aveva indossato fino ad allora, per aderire strettamente alla più smaccata tradizione del gollismo al potere.

2. In economia, ha finito per sposare il rigore monetario e contabile, abbandonando alle prime avvisaglie della crisi le suggestioni di crescita, merito, libero mercato, detassazione che ancora richiamavano i ruggenti anni Novanta. Curiosa ironia, che il maggiore avversario del reaganismo economico si sia rivelato in questi anni, più che la sinistra, la destra monetarista, da Gerald Ford in avanti.

Non a caso, sul New York Times Paul Krugman – non esattamente un apostolo del liberismo, anzi, uno dei più convinti neokeynesiani in circolazione – ha tessuto l’elogio proprio del cospicuo intervento governativo durante l’era Reagan, quando, ha detto, almeno le amministrazioni pubbliche spendevano per stimolare la crescita, al contrario dei tagli odierni.

3. In politica estera Sarkozy prometteva di superare l’alleanza franco-tedesca degli anni di Chirac (celebre, a stigma di quella linea, l’intervento di Dominique de Villepin all’Onu contro chi stigmatizzava la ‘vecchia Europa’, “la Francia è un antico paese, di un antico continente, l’Europa”), con suggestioni neoconservatrici e filoamericane. Parallelamente, includendo Bernard-Henri Lévy e soprattutto il socialista Bernard Kouchner, il nuovo corso sarkozista pareva segnalare un riorientamento verso i diritti umani e una politica estera più “etica” e meno di prestigio e di potenza.
Invece, una volta all’Eliseo, la rupture è stata più tenue del previsto, la posizione internazionale della Francia non è cambiata significativamente, aggiungendo semmai all’era Chirac un rinnovato sforzo d’immagine e di grandeur, nel solco del nazionalismo più tradizionale. L’asse con la Germania, per quanto gravato di sospetti e contraddizioni, è ancora tutto lì, come abbiamo faticosamente appreso in questi mesi.

4. Realtà e non sogni, presente e non avvenire, sicurezze e non progetti.
Questo grigio, plumbeo realismo da tempi di crisi è il contesto in cui si muove la corsa elettorale di Sarkozy oggi. Altro che la campagna barocca e sopra le righe che aveva messo in campo nel 2007. Aveva suscitato scalpore, allora, la pattuglia di intellettuali – vivi e postumi – che il candidato della droite aveva arruolato.

Sì, c’erano i consueti lari della famiglia gollista, c’era qualche conservatore; ma c’erano, soprattutto, Albert Camus, Jean Jaurès, Simone Weil, Jules Ferry. Persino Reiner Maria Rilke, persino Frère Christian, il prete pacifista trucidato dai fondamentalisti islamici, per non parlare di Guy Môquet, il giovane martire della resistenza francese. Icone che sbiadiscono.

5. Il discorso tenuto in questi giorni a Villepinte, da un palco così immenso e faraonico che a percorrerlo Sarkozy ci ha messo quaranta secondi, è un discorso di guerra.

Tenir era il verbo-chiave, quello che ha suscitato le maggiori ovazioni. Resistere, resistere, resistere. Resistere a “una successione imprevista di uragani che si è abbattuta sulla Francia e sul mondo”, ha detto. Da tornado a vittima del tornado, Sarkozy chiede una riconferma per gestire la guerra, cioè la crisi.

Il sobrio, educato Hollande dovrà faticare non poco per impedirglielo.