1. Nei giorni in cui le parti sembrano aver finalmente trovato un accordo sul salvataggio della Grecia, a Bruxelles e Berlino si continua a dibattere sul futuro della Repubblica ellenica. Al di là dei problemi legati al valore dei CDS (Credit Default Swap) sui titoli di Stato greci che gli istituti di credito dovranno pagare nei prossimi mesi, la leadership europea è impegnata ad immaginare il futuro economico di un paese stretto nella morsa della crisi da ben più di due anni.

Ad oggi il quadro descritto dalle organizzazioni internazionali non è certo rassicurante. Le spese non sono diminuite in termini assoluti, la disoccupazione è in rapida ascesa e il PIL continua a contrarsi inesorabilmente. Nel rapporto di marzo pubblicato dai tecnici della Troika (Commissione Europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale) si ipotizza che il debito pubblico possa rientrare su valori normali soltanto nel 2030.

Nel frattempo, burocrazia, sprechi, ed evasione fiscale sono sempre lì. Né qualcosa è cambiato nella struttura produttiva del paese, che esporta molto poco ed è privo di di un apparato industriale che possa competere a livello europeo e internazionale. Sinora tutti gli sforzi della Troika si sono concentrati in una titanica opera di svalutazione interna, finalizzata a far riacquistare competitività al paese.

2. Quello della Troika è un piano essenzialmente voluto dai tedeschi, orgogliosi del modello economico che nell’ultimo decennio ha loro consentito di uscire dalle secche della crisi e tornare a guidare l’Europa. La Germania è infatti convinta che soltanto agganciando l’erogazione di aiuti e garanzie all’implementazione di riforme strutturali (conditionality principle) sia possibile rimediare agli squilibri tra le diverse aree dell’Eurozona.

Finora, però, non si è vista neanche l’ombra di un avanzo primario in grado di ridare fiato al bilancio pubblico, né è pensabile che nel 2014 il governo greco possa raggiungerne uno del +4,5%, come suggerito dalla Troika. Alcuni sostengono perché le politiche della Troika sarebbero depressive, altri sono invece convinti che ciò dipenda dall’incapacità della classe politica greca di mantenere fede alle promesse date. Ancora a metà febbraio un rapporto confidenziale della Troika spiegava che «the Greek authorities may not be able to deliver structural reforms and policy adjustments at the pace envisioned in the baseline».

3. Con queste premesse non deve stupire se le proposte tedesche suonino come un tentativo di commissariare il paese. Ogni singolo comparto della politica economica, di bilancio e del lavoro è ormai sottoposto al coordinamento in sede di Consiglio e alla sorveglianza multilaterale da parte di Commissione e Consiglio, cui il governo di Atene deve presentare settimanalmente rapporti sull’attuazione di un programma di volta in volta aggiornato dalla Troika.

Nel gennaio scorso destò scalpore il documento presentato dal rappresentante tedesco all’Eurogruppo nel quale si leggeva: «Budget consolidation has to be put under a strict steering and control system. Given the disappointing compliance so far, Greece has to accept shifting budgetary sovereignty to the European level for a certain period of time. A budget commissioner has to be appointed by the Eurogroup with the task of ensuring budgetary control».

4. Il “commissario per il risparmio” (Sparkommissar) non è stato ancora formalmente nominato, ma è in realtà già attivo da ben prima che la proposta tedesca arrivasse sul tavolo di Jean-Claude Juncker. È dal maggio 2010, infatti, il Memorandum of Understanding on Specific Economic Policy Conditionality costituisce lo strumento giuridico attraverso il quale l’UE indica periodicamente ad uno Stato membro le misure di policy da attuare in cambio del versamento di aiuti finanziari. E questo va ben al di là della lettera del Trattato di Lisbona, che all’art. 121 prevede un coordinamento su materie (la politica economica) che rimangono comunque di competenza degli Stati membri.

5. Nel nuovo anno, complice l’avvicinarsi del default, la Germania ha alzato la posta, pretendendo di avere mano libera nella gestione del portafoglio ellenico per dirottare verso riduzione dell’indebitamento il denaro che affluisce nelle casse pubbliche. Accanto al temporaneo congelamento della sovranità fiscale, Berlino vorrebbe imporre una svolta anche dal lato dello sviluppo economico. Di qui il viaggio in Grecia nell’autunno scorso del Vicecancelliere e Ministro dell’Economia Philipp Rösler (FDP), il quale si è fatto accompagnare da una settantina di industriali tedeschi per sondare il terreno al fine di possibili investimenti.

Al momento, tuttavia, il clima imprenditoriale nella Repubblica ellenica non è dei migliori ed è per questa ragione che Rösler, come ha spiegato in un’intervista rilasciata all’Handelsblatt, vorrebbe forzare i tempi ed introdurre a livello UE la figura del “commissario alla ricostruzione” (Aufbaukommissar). In sostanza si tratterebbe di istituzionalizzare la task-force del Consiglio europeo, guidata attualmente dal tedesco Horst Reichenbach, che in Grecia opera già da più di sei mesi con il compito di razionalizzare la macchina amministrativa e fiscale. Accanto alla task-force, la Germania ha in mente anche una “banca per lo sviluppo”, una sorta di Banca del Mezzogiorno guidata da amministratori tedeschi.

6. La sensazione, insomma, è che il Governo tedesco sia ormai completamente in preda alla spirale dell’interventismo: per rimediare al fallimento di due anni di “conditionality principle”, pretende ora di accrescere ulteriormente il livello di programmazione del centro sulla periferia a suon di “piani quinquennali”. E ciò peraltro senza che si sia mai trovato un consenso politico tra i Capi di Stato e di Governo per modificare la costituzione economica del Trattato di Lisbona, il quale, attualmente, non prevede una limitazione così forte della sovranità fiscale degli Stati membri. Il rischio di una simile strategia è di allontanare ancora di più l’opinione pubblica dei paesi periferici dalla “casa europea”, spaccandola definitivamente in due.