Si ha un gran discutere intorno al libro di Thomas Pikketty, “Le Capital au XXIe siécle”. Il suo libro non ha precedenti per ricchezza statistica, e mette in imbarazzo – con l'idea che la dinamica della ricchezza rispetto al reddito sia crescente invece che convergente, con la ricchezza che è in misura crescente ereditata – il pensiero economico e politico dominante.
1- L'affresco.
L'analisi delle serie statistiche mostra che, in Europa dal XIX° secolo fino alla Grande Guerra, il possesso del capitale (immobiliare e mobiliare) generava un reddito (rendite fondiarie, affitti, dividendi, cedole) cospicuo. Dalla Grande Guerra fino ai primi anni Settanta del XX° secolo – quindi dalla fine della Prima Guerra fino a un paio di decenni dopo la Seconda - il peso del capitale in Europa si è contratto, perché l'inflazione ha quasi azzerato il valore delle obbligazioni e si è avuto una crisi notevole delle imprese, oltre alla perdita delle rendite coloniali. Questi sommovimenti nel corso di qualche decennio hanno abbattuto il capitale e quindi il reddito dei ricchi. Agli inizi del secolo scorso finisce così l'epoca del “rentier”. Nel Secondo Dopoguerra, sempre in Europa, mentre si comprime il peso dei ricchi, il “ceto medio” accumula un patrimonio significativo, soprattutto immobiliare.
Si ha perciò in cima un mondo di ricchi, ma meno ricchi di quanto fossero in passato, in mezzo si ha un mondo benestante, e, alla base, si ha chi possiede una ricchezza modesta o nulla, ma che è protetto dallo Stato Sociale.
Negli Stati Uniti la situazione nella prima parte del XIX° secolo era diversa: una concentrazione della ricchezza minore di quella europea, perché la terra era abbondante (la rendita fondiaria era perciò bassa) e perché chi emigrava non aveva ricchezze (nessuno nasceva ricco). Negli Stati schiavistici del Sud le cose non erano però molto diverse da quelle europee. Gli Stati Uniti hanno poi registrato una concentrazione crescente della ricchezza fino agli anni Venti dello scorso secolo. Con la Grande Depressione, la concentrazione di patrimoni si è ridotta, ma molto meno che in Europa, per poi ripartire dagli anni Ottanta. Con una importante novità: la concentrazione di ricchezza è alimentata anche dagli enormi redditi da lavoro dei dirigenti delle grandi aziende. Un fenomeno che comincia a palesarsi anche in Europa.
Come mai la ricchezza dei pochi - dopo essere caduta dal 1914 al 1980 torna a crescere? Per una ragione meccanica: è sufficiente che il reddito da capitale – che ruota nel lungo termine, secondo i calcoli di Piketty, intorno al quattro per cento - cresca più del reddito nazionale – che, sempre nel lungo termine, è a un passo dal crescere del due per cento. Se si consuma solo una parte del quattro per cento – poniamo il due per cento - e si investe quanto resta – quindi il due per cento – si ha il capitale che cresce al quattro per cento contro una crescita economica del due per cento. Il capitale, anche non reinvestendo tutto il reddito che genera, acquisterà perciò un peso sempre maggiore, con un peso che sarà tanto maggiore, quanto maggiore è il risparmio.
La ricchezza è in parte “inventata” dagli imprenditori, e in parte ricevuta in eredità per “lotteria biologica”. Quanta parte della ricchezza è inventata e quanta ereditata? In Francia dal 1850 al 1910 il 90% della ricchezza era ereditato (perciò il 10% era frutto dell'iniziativa imprenditoriale). Nel 1970 veniva ereditato meno del 50% della ricchezza. Oggi siamo al 60%. Questa è la ricchezza complessiva – lo stock.
Osserviamo ora la parte dello stock di ricchezza che ogni generazione eredita – il flusso. Nel XIX secolo il 10% di ogni generazione riceveva in eredità un reddito pari a quanto guadagnava nel corso della vita il 50% della popolazione meno abbiente. Poi si è avuto il crollo fra le due Guerre, quando solo il 2% di ogni generazione aveva un reddito ereditato pari al reddito di una vita dei meno abbienti. Negli ultimi tempi siamo tornati sopra il 10%. Se oggi si ereditano 750 mila euro, si guadagna quanto una persona con un reddito di 15 mila euro – il reddito normale della gran parte della popolazione meno abbiente - guadagna in 50 anni di vita. Anche un'eredità che non stupisce per la propria consistenza consente oggi di vivere con una libertà che altri sognano.
2- Implicazioni dell'affresco.
Le molte critiche che Piketty ha ricevuto non cambiano l'affresco. Gli si contesta che la crescita della ricchezza è meno marcata - ossia che la velocità della crescita è minore. Questo non è sufficiente per smontare il suo edificio, perché, se fosse vero, avremmo solo una crescita rallentata della concentrazione della ricchezza. Gli si contestano le vicende private – i genitori ex-sessantottini ritirati ad allevare capre, l'aver picchiato la moglie, eccetera. Infine, c'è chi gli contesta di essere il “cavallo di Troia” di chi vuole tornare a tassare. Nessuna delle critiche “morde” davvero. Quelle di natura tecnica indeboliscono parti dell'edificio, ma non il complesso della costruzione, quelle di natura personale lasciano il tempo che trovano. L'affermare che Piketty legittima una maggiore tassazione ha già più senso. Ma qui siamo nel campo politico, che adesso proviamo ad affrontare.
Circa duecento ani fa Alexis de Toqueville scriveva la “Democrazia in America”, mostrando come - differenza dell'Europa dell'epoca – si aveva il merito e non l'eredità al centro della vita economica e politica. Circa duecento anni dopo, un altro francese, Piketty, mostra come gli Stati Uniti abbiano al centro della vita economica meno merito e più eredità.
Non è perciò un caso che ci ha accolto con entusiasmo il libro di Piketty siano i liberal – Krugman, Stiglitz, eccetera – i quali pensano che la società - per essere legittima - debba ruotare intorno al merito. Da qualche tempo negli Stati Uniti le cose sembrano andare diversamente da come dovrebbero andare in un mondo a merito prevalente. Si ha che il reddito di chi è figlio di famiglie ad alto reddito sia solitamente più alto di quello che ottiene chi nasce da famiglie a basso reddito. Si ha una concentrazione crescente della ricchezza. Fa parte – secondo Krugman - della “falsa coscienza” statunitense enfatizzare nelle classifiche dei miliardari chi “si è fatto ricco” - come Gates, Buffett, eccetera – e non chi “è nato ricco” - come i rampolli delle grandi e antiche famiglie.
C'è molta differenza fra una società di “eredità” - come quella europea di una volta – ed una di “merito”, come sono (o forse erano) gli Stati Uniti: una società senza classi, perché gli individui salgono e scendono nella scala sociale in base al lavoro, che approssima il merito. Per meglio dire: le classi esistono, ma sono dei contenitori di individui sempre diversi. La preoccupazione dei liberal è che venga meno la legittimità del modello statunitense. Se le differenze sociali fossero il segno della “volontà divina”, come si credeva una volta, si potrebbe accettare (forse, viene da aggiungere, altrimenti non avremmo avuto le rivoluzioni) di vivere in una posizione sociale “ingessata”. Oggi – nel mondo della liberal democrazia - le differenze sociali si accettano solo se sono differenze di merito. Perciò diventano illegittime le differenze che si formano in larga misura per eredità. Il libro di Piketty è perciò una “bomba” collocata nell'edificio che vede nel merito la fonte della legittimità delle diseguaglianze: la bomba è mostrare che il peso del merito si sta riducendo.
Pubblicato su Linkiesta
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