Donald Trump, un personaggio televisivo all’insegna del “make a deal” (facciamo un affare) passato ad occupare la Casa Bianca con una disinvoltura stupefacente negli annali di storia americana, è tornato a cercare un “deal” con chi meno se lo aspettava, i bistrattati democratici.
È un spettacolo che ha sorpreso il mondo politico, che nel giro di una settimana ha registrato un’intesa per la proroga del tetto del debito federale, una patata bollente che turbava la dirigenza del partito repubblicano al Congresso, preoccupata delle possibili tossiche conseguenze in vista delle elezioni midterm del prossimo anno. Il “deal” sottoscritto con la leadership democratica – il Senatore Schumer al Senato e Nancy Pelosi alla Camera dei Rappresentanti – ha di fatto assicurato una pausa di tre mesi che permetterà al Congresso di affrontare con più calma assillanti problemi come la legge per la sanità, l’immigrazione, nuovi stanziamenti per la difesa e l’autorità del governo di contrarre un debito più elevato evitando una catastrofica inadempienza (default).
E dire che fino a poche ore prima il leader repubblicano della Camera, Paul Ryan, aveva definito “ridicola” l’idea di una proroga di tre mesi. In pratica, Trump sconfessava la leadership del suo partito, approfondendo il fossato che ormai lo separa dal Senatore McConnell e dallo stesso Ryan. Parte integrante del “deal” è la spesa di 7 miliardi 900 milioni di dollari per gli aiuti alle zone devastate dallo spaventoso uragano Harvey. Non meno importante nella ricerca di un “deal” tra il Presidente e la leadership democratica è la soluzione di un altro scottante problema, quello di una sostanziale amnistia per 800.000 illegali giunti negli Stati Uniti quando erano minorenni. Le protezioni concesse a questa categoria di immigrati illegali, ai termini del cosiddetto DACA (Deferred Action for Childhood Arrivals), scadono il prossimo marzo; in mancanza di una sanatoria legislativa, gli immigrati sarebbero colpiti dai provvedimenti di espulsione. La possibile soluzione discussa da Trump con i rappresentanti democratici è aspramente avversata da un forte nucleo di conservatori repubblicani che accusano Trump di venir meno ad uno dei cruciali impegni presi nella campagna elettorale in tema di immigrazione. Un congressman dell’Iowa è giunto a sostenere che il Presidente Trump si accinge a mantenere le promesse di Hillary Clinton al posto delle proprie.
La ricerca del “deal” con i leader democratici ha chiaramente sconvolto una grossa fetta dell’elettorato repubblicano. In realtà, Trump ha trasmesso segnali ambigui rafforzando l’ormai generale impressione che la sua condotta si farà ancor più imprevedibile e potenzialmente ancora più pericolosa per gli interessi nazionali. La conseguenza che colpisce maggiormente gli osservatori è che la condotta di Trump complica enormemente il compito della leadership repubblicana di formulare una strategia di protezione delle frontiere, stante la difficoltà di mettere in piedi il progetto di costruzione del muro alla frontiera con il Messico. Per quanto Trump si ostini ad affermare che il muro verrà costruito, costi quel che costi, non vi è dubbio che il vallo apertosi tra la Casa Bianca e la leadership repubblicana drammatizza l’impatto, non solo all’interno ma anche nel campo internazionale, della mancanza di chiarezza che caratterizza la Presidenza Trump. Una Presidenza credibile ed efficiente non può prescindere da una fattiva collaborazione del capo dell’esecutivo con il suo partito al Congresso, a maggior ragione quando questo ha la maggioranza che dovrebbe portare avanti e varare progetti di legge concordati con la Presidenza. Questo oggi non avviene, come testimonia la sconcertante critica di Trump nei confronti del leader senatoriale Mitch McConnell, destinatario di tweets poco meno che insultanti.
Per i democratici peraltro si schiude lo scenario di accomodamenti pragmatici con la Casa Bianca, primo fra tutti quello di sanare la situazione fortemente precaria dei giovani illegali che Obama aveva protetto sia pure con una regolamentazione poco ortodossa. Il rovescio dei quid pro quo conseguiti da Schumer e Pelosi è la rivolta di quella parte intransigente del partito democratico che fa capo al Senatore Bernie Sanders e che combatte ad oltranza la Presidenza Trump. Si è insomma venuta a creare una nuova situazione a Washington nella quale il Presidente si sforza di raggiungere un qualsiasi risultato positivo che fino ad oggi gli è sfuggito. Senza contare che le prove di valzer con i leader democratici, popolarmente noti ora come Chuck e Nancy, possono valere ben poco in presenza dei forti limiti posti dai conservatori repubblicani al Congresso. Sul fronte avverso, Chuck e Nancy si sono imbarcati in un’operazione politica che potrebbe paralizzare il partito proprio quando ha bisogno di ritrovare compattezza ed unità di intenti in vista della prossima tornata elettorale. Un’intesa sottobanco con Trump in materia di immigrazione è fortemente avversata in particolare dal gruppo dei rappresentanti ispanici della Camera e dalla sinistra in generale. Chuck e Nancy, insomma, rischiano grosso. I democratici giudicano i cosiddetti “dreamers”, ossia i giovani illegali che sognano la cittadinanza, alla stregua di americani “senza documenti” e si oppongono a negoziati per la regolarizzazione del loro stato.
Per quanto abile possa essere la manovra di Schumer e Pelosi volta a stimolare una guerra intestina nel partito repubblicano, occorrerà ben altro per rovesciare il risultato delle elezioni del Novembre 2016. Il basso numero di consensi per la presidenza Trump in questo stadio di forti tensioni nazionali non garantisce una netta rivalsa elettorale dei democratici, soprattutto se si considera che nel Novembre 2018 i democratici dovranno difendere dieci seggi senatoriali in stati dove Trump aveva conseguito nette affermazioni. Altrettanto arduo è il compito dei democratici di strappare diciassette seggi nella Camera dei Rappresentanti al fine di conquistare la maggioranza. Fino adesso, sono servite a poco le incalzanti accuse al presidente Trump di aver evaso precise norme di comportamento nel governo esecutivo e di avere avallato una vasta collusione con la Russia attraverso membri della sua famiglia, responsabili del partito e persino membri del suo gabinetto. Su questi aspetti della campagna elettorale di Donald Trump indaga il procuratore speciale Robert Mueller, che continua imperterrito ad interrogare membri del team elettorale di Trump circa i contatti avuti con personaggi vicini al Presidente russo Putin. Nel mirino di Mueller è principalmente l’ex consigliere per la sicurezza nazionale Michael Flynn, coinvolto in una serie di oscuri intrighi con i russi. Le impronte digitali di agenti russi invischiati in una vasta rete di interventi a favore della candidatura Clinton si sovrappongono a quelle di operatori commerciali impegnati nell’estensione all’estero di progetti immobiliari dell’impero finanziario di Trump.
Sono molti ormai i politici che giudicano la situazione a Washington come un confronto di tre partiti, quello repubblicano, quello democratico e quello del Presidente Trump. Non vi è dubbio infatti che Donald Trump ha conquistato una posizione di autonomia di azione politica che nessun Presidente, ad eccezione di Teddy Roosevelt, ha potuto mai vantare. Quanto meno, Trump agisce nel senso di affermare una propria identità politica che ha poco a che vedere con la tradizione e l’essenza stessa del partito repubblicano. È troppo presto comunque per dedurne che Trump è avviato ad una aperta rottura con il GOP; di converso, è palese che Trump non è un conservatore nel senso tradizionale, ma usa a proprio vantaggio i poteri della Presidenza, senza riguardo agli interessi del partito che lo ha eletto. A ragion veduta, la finalità non può che essere la rielezione. L’imprevedibilità della sua azione politica paradossalmente può permettergli di far leva su quella massa di elettori bianchi che continua a sostenerlo. Infine, al tentativo di adescare la leadership democratica non è estranea la sua animosità nei confronti dei leader repubblicani, dal sen. McConnell, che Trump accusa di aver fallito miseramente nell’obiettivo di approvare una nuova legge per la sanità, allo Speaker della Camera Paul Ryan, definito un “boy scout” che non sa vincere. Resta comunque il dubbio che le prove di valzer con i leader democratici siano soltanto una tattica temporanea e che quanto prima Trump lancerà una nuova serie di bordate ai democratici. Anche per Chuck e Nany dunque il futuro si fa imprevedibile e questo non li aiuta nel compito di risanare il partito e di prepararlo alla prossima competizione.
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