Nel pianificare le loro campagne, sia Barack Obama che John McCain hanno fatto uso di idee e di strategie discorsive tipiche del discorso pubblico americano. La campagna di Obama ha prevalso su quella di McCain. È un caso, o le prime sono risultate più convincenti delle seconde? 

Partiamo dalle idee e dalle strategie di McCain. Volendo giocare una partita da 'maverick,' ossia da 'outsider' diremo noi (in inglese, chissà perché), McCain ha dovuto preparare dei 'talking points' (delle risposte preordinate a tavolino) tali da giustificare l'asserzione. Come può infatti un Repubblicano con venticinque anni di Congresso alle spalle dire di essere un 'outsider,' un reietto del proprio partito quando quel partito gli ha conferito la nomination? 

La strategia scelta da McCain è stata quella di ricorrere a due strutture profonde del discorso politico americano, la geremiade e il conservatorismo rivoluzionario. 

La geremiade è quel discorso d'origine biblica che i Puritani del New England utilizzarono per spiegarsi come mai nel tempo il numero dei Santi in Terra ('Visible Saints') diminuisse invece che aumentare. Avendo lasciato l'Inghilterra e poi l'Olanda per l'America nella certezza che la fine del mondo fosse vicina e che gli Eletti dovessero quindi prepararsi ad accogliere il Signore in splendido isolamento, i Puritani con il tempo si dovettero convincere che malgrado tutto la loro missione avesse ancora un senso. Uno dei modi usati fu la geremiade. In questi sermoni lamentosi si diceva al cospetto della comunità riunita che la colpa era loro. Che Dio aveva mandato i Puritani in missione, ma che nel corso di essa loro, gli eletti, si erano dimenticati di essere lì con uno scopo. Occorre quindi fare ammenda e riprendere il cammino segnato da Dio. In chiave meno drammatica, ma seguendo la stessa logica, McCain nel suo secondo dibattito con Obama ha fatto un chiaro riferimento a questo discorso quando ha detto che i Repubblicani erano andati a Washington per cambiare il modo di governare ma che alla fine Washington aveva cambiato loro. Ecco allora McCain che come un 'maverick' riporta il partito sulla giusta strada segnata dalla Proposition 13 del 1979 e dalla presidenza Reagan. Meno governo, meno tasse. 

La condizione reietta di McCain è stata poi rafforzata dall'uso di un'altra struttura profonda del discorso politico americano, il conservatorismo rivoluzionario. Quando i coloni inglesi in America si ribellarono alla madre patria dissero di farlo non in nome di una loro autonoma identità, ma in nome delle stesse 'English liberties' che la corona britannica aveva tradito. Anche qui parliamo di tasse. Il principio fondamentale su cui si poggiò la Glorious Revolution del 1688 e il Bill of Rights dell'anno seguente è che non si può essere tassati dalla Corona senza essere rappresentati in Parlamento. Non a caso il motto della rivoluzione americana fu 'No taxation without representation.' Tutto il parlare di tasse che caratterizza il discorso politico americano trova qui la sua ragion d'essere. In parte si tratta quindi di interesse economico. In parte di identità nazionale. Non è un caso se il discorso politico sulla riduzione delle tasse come panacea ha funzionato solo negli Stati Uniti e nel Regno Unito. 

Incrociando i due discorsi McCain sperava di presentarsi come colui che, riportando i Repubblicani sulla strada maestra segnata da Reagan, risolve i problemi del paese riducendo le tasse e il peso del governo. E questo contro un George W. Bush che invece ha ingigantito il governo fino a usare denaro pubblico per salvare chi sul libero mercato aveva tradito la fiducia degli investitori. 

Ma così facendo ha offerto il fianco a Barack Obama, che nel respingere gli attacchi del suo avversario ha assunto una postura pragmatica. John McCain, insistendo sul ritorno a Ronald Reagan ('non sono che un reduce della rivoluzione reaganiana,' ha detto di sé) e sulla riduzione delle tasse, si è caricato una responsabilità enorme sulle spalle senza aver pensato allo spillo con cui Obama poteva sgonfiare l'intero edificio: "John McCain dice di non essere d'accordo con le politiche di George W. Bush e di volere il cambiamento. Ma ha votato con Bush il 90% delle volte. Non so voi, ma io non mi accontenterei di votare per un cambiamento del 10%." Di fronte a questa semplice manovra nulla possono le strutture profonde. Soprattutto se anche il rivale Barack Obama ne usa di sue. Come quella fornita dalla retorica del moralismo nero di origine protestante, che conferisce al discorso di Obama una gravitas che nessun discorso sulle tasse potrà mai avere. Soprattutto quando insieme al conservatorismo rivoluzionario si usa il populismo, come ha fatto McCain quando ha scelto di accompagnarsi ad un capopopolo come Sarah Palin, bravissima nelle sue apparizioni su Saturday Night Live — dove si è presa in gira da sola — ma assolutamente improbabile come vicepresidente.