Con il ritiro delle truppe dall'Afghanistan programmato per 2013 la Nato guarda al futuro.

1. Era dai tempi della guerra fredda che non si vedevano rapporti così distesi fra i membri dell'Alleanza atlantica. A Washington nessuno più parla sprezzantemente di “Vecchia Europa”; così come a casa nostra gli strali anti-yankee sono apparsi contenuti. Non che ci si voglia tutti quanti bene. La Libia e la Siria dal 2011 a oggi hanno fatto alzare la voce. Tuttavia, in confronto ai fulmini che ci si era scambiati ai tempi di Bush-Blair e Chirac-Schröder non ci si può davvero lamentare.

Più che sufficiente quindi. Ma poi? Terminata la missione Isaf in Afghanistan e dimezzato l’impegno militare in Asia, quali saranno gli step futuri della Nato? l’Alleanza si era creata perché c’era un nemico. Era grosso, stanziale e prossimo. Crollata l’Urss, ci si era ingegnati rimodernando l’abito. Da blocco multigovernativo cementificato nel bel mezzo dell’Europa, la Nato aveva cercato di trasformarsi in un trust di nazioni a cui l’Onu avrebbe potuto chiedere un intervento rapido e chirurgico nei contesti di crisi. La missione si era rivelata un successo parziale in Kosovo, ma non in Afghanistan. E domani?

Per una serie di ragioni, gli Stati Uniti hanno detto di non essere più disposti a gestire cassa e cannoni anche degli europei, con questi ultimi che fanno da gregari.  In Nessuna verità, film del 2008 di Ridley Scott, Ed Hoffman, spregiudicato agente della Cia, pronuncia una battuta sibillina: "Chi paga il conto qui?" Dice sprezzante alla sua contro-parte giordana, un dirigente dell’intelligence di Amman. Quest’ultimo è più esperto di Hoffman in questioni mediorientali, tuttavia è Hoffman a staccare gli assegni. Fino a ieri, nella Nato una situazione del genere è stata realistica. Il Pentagono e la Cia hanno condotto quasi tutte le danze. C’è chi afferma per esclusivo interesse nazionale. Altri riconoscono che il multilateralismo, con Obama, è tornato in voga. In ogni caso gli Usa sono sempre stati al volante di un carrozzone carico dei loro alleati. Molti obbedienti, altri indisciplinati.

2. Oggi però, vuoi per questioni economiche, vuoi perché preferiscono impegnarsi anche su altri quadranti, gli Usa non sono più disponibili a riversare tutte le proprie risorse in favore dell’Alleanza. La crisi finanziaria, ma anche la guerra in Iraq hanno svuotato le casse del Pentagono. Inoltre c’è l’Estremo Oriente che interessa Washington. Non solo da un punto di vista economico-commerciale. Se davvero la Cina getterà il guanto di sfida al mondo – anche in termini militari – allora gli unici che potranno raccoglierlo, e potenzialmente vincere la tenzone, sono gli Usa.

Infine, va considerato lo scemare di interesse nei confronti del Mediterraneo e del Medio Oriente. L’industria statunitense pare stia tornando all’autonomia energetica. Quindi addio emiri. Questo fatto, sommato alla perdita di rilevanza del nostro quadrante, rischia di dover essere gestito dalla sola l’Europa.

"Dovrete cavarvela un po’ più da soli", pare che bisbiglino gli americani. Un po’ di più. Non del tutto. Non è immaginabile infatti una Nato senza statunitensi. Tant’è che il prossimo segretario generale dell’Alleanza – c’è chi ha già nominato (prematuramente?) l’italiano Franco Frattini – sarà affiancato da un vice segretario generale con passaporto Usa. Dal 1949 a oggi non si era mai visto un interesse tanto esplicito, da parte del Dipartimento di Stato, per le cariche esecutive dell’Alleanza. Evidentemente gli americani vogliono sganciarsi dalla sudditanza economico-strategica offerta agli europei. Ciononostante ci tengono a restare nella stanza dei bottoni.

Ne consegue che si sta facendo sempre più prossima la previsione avanzata  da M. De Leonardis nel 2009 in NATO Between Globalization and loss of Centrality. "NATO is seeking to improve its military support to stabilization and reconstruction in all phases of a conflict. […] This will require better coordination of NATO’s military efforts in this field with those of its partners and other international and non-governmental organizations, which are the primary providers of essential civilian means to stabilization and reconstruction".

3. E chi se non l’Unione europea dovrebbe intervenire come partner preferenziale nel momento in cui gli Usa si sganciassero da Bruxelles? In una redistribuzione più razionale delle risorse (smart defence) e dei compiti (burden sharing), l’altra sponda della capitale belga assumerebbe un ruolo determinante. Vale a dire di soggetto attivo nei settori politica estera, affari militari, sicurezza.

Una Ue con questi incarichi? Non è necessario scomodare esperti accademici per dimostrare uno scetticismo fondato. L’Unione europea non sarebbe certamente in grado di sostituirsi in tutto e per tutto alla capacità strategica della Nato. E questo a Washington lo sanno bene.

Gli Usa sono consapevoli che l’alto rappresentante Ue per la politica estera si conferma ogni giorno di più una figura evanescente, bersaglio degli attacchi anche più politicamente scorretti. Perché è  facile sparare su un’ambulanza in panne.

Il problema di una Ue in appoggio alla Nato si aggrava poi osservando la questione della sovranità nazionale, sulla cui rinuncia ciascuno ha già fatto molto. Sappiamo come la Germania, ma non solo, abbia sofferto nel voltare le spalle al marco, per abbracciare l’euro. Demandare anche reggimenti e soldati a un’organizzazione super partes, peraltro non affidabile com’è la Nato, lascia perplessi molti esponenti degli eserciti e dei governi nazionali.

4. Vanno chiarite poi le ambizioni geopolitiche nutrite dalla stessa Ue. Compiendo i primi passi, il movimento di integrazione europea aveva come fine una politica economica condivisa, nell’ottica di una pace tra i popoli. Certo, il sogno degli Stati Uniti d’Europa aleggiava e alle volte veniva sfoggiato con entusiasmo. Oggi è un vessillo che si sventola in segno di allarme. Nel senso che o si arriva a un’Europa politicamente unita (eserciti compresi), oppure non si sopravvive alle sfide globali.

D’altra parte, lo stesso europeismo è stato più volte indotto nella tentazione di fare del Vecchio continente una potenza eminentemente civile e non a tutto tondo. Un’ambizione, questa, respinta dagli accademici (vedi Hedley Bull) e dagli europeisti militanti: Jean Monnet e Altiero Spinelli si fecero in quattro per la Comunità europea di difesa (Ced) bocciata poi dalla Francia pre-gaullista.

"L’Europa vuole la pace oppure vuole solo essere lasciata in pace?" si chiedeva anni fa Nicolas Sarkozy. La domanda non è mai stata soddisfatta. Del resto chi la poneva si è dimostrato così disincantato dal processo di integrazione europea da muoversi individualmente in azioni militari oggi giudicate scellerate. Non solo, l’ex inquilino dell’Eliseo, che aveva facilitato il ritorno francese nell’abbraccio della Nato, ha snobbato anche quest’ultima.

Quindi se è impossibile immaginare una decadenza dell’Alleanza atlantica e un totale disinteresse degli Usa – per quanto la loro presenza come nostri alleati sarà ridimensionata – è altrettanto difficile capire come l’Ue potrà farsi carico delle istanze strategiche e militari del futuro.

La politica internazionale è imprevedibile però. Banalmente si può pensare che saranno gli eventi a imporci un modus operandi.