Il 1 luglio 2013 entrerà in vigore l’aumento dell’IVA ordinaria, la cui aliquota passerà dal 21% al 22%. Tale provvedimento è uno dei numerosi aumenti fiscali disposti dal governo Monti nella sua opera di consolidamento dei conti pubblici il cui obiettivo era il raggiungimento del pareggio di bilancio.
In questo articolo ripercorreremo le tappe con cui si è arrivati all’introduzione di questa misura, citando le varie modifiche apportate in materia. Una volta visti gli indicatori economici del 2012, il primo anno a regime degli inasprimenti fiscali decisi nel 2011, passeremo agli effetti prevedibili che tale provvedimento avrà sui consumi, sulla crescita economica e la messa in sicurezza dei conti pubblici. Concluderemo argomentando come questi effetti porterebbero a ripensare l'utilità di un provvedimento privo di efficacia.
1. Nel luglio 2011, all’inizio dell’impennata dello spread sui titoli di stato italiani, il governo Berlusconi varò il decreto legge 98/2011, riguardante la stabilizzazione finanziaria dei conti pubblici, convertito con legge n.111 del 15 luglio. All’articolo 40, comma 1-ter delle legge si prevedeva un taglio delle esenzioni ed esclusioni fiscali pari al 5% per il 2013, e al 20% nel 2014. In alternativa a questo taglio lineare, fu prevista, al comma 1-quater dell’articolo 40, una clausola di salvaguardia, da compiersi entro il settembre 2013, per una cifra non inferiore ai 20 miliardi. Detta clausola prevedeva il riordino delle agevolazioni fiscali, tramite la riduzione o l’eliminazione dei regimi di esenzione che si sovrapponevano con altre prestazioni assistenziali. Con il decreto legge 138/2011, inoltre, il governo Berlusconi decise un aumento immediato dell’aliquota ordinaria IVA dal 20% al 21%.
Il quadro così delineato fu radicalmente alterato dall’esecutivo Monti, appena chiamato al governo in piena emergenza finanziaria. Il 5 dicembre 2011, fu varato il decreto legge 201/2011( il cosiddetto “ Salva Italia”). L’articolo 18 abrogò l’articolo 40, comma 1-ter della legge 111/2011, eliminando il taglio delle esenzioni fiscali. Fu invece deciso un rilevante intervento sull’IVA:
- a partire dall’ottobre 2012 l’aliquota ridotta del 10% e l’aliquota ordinaria del 21% sarebbero aumentate di due punti percentuali a testa;
- dal gennaio 2014, ci sarebbe stato un ulteriore aumento di mezzo punto percentuale delle due aliquote.
Ad una così drastica misura la prima modifica fu apportata dal D.L. 98/2012, convertito con legge n. 235/2012 in materia di spending review; furono reperite, tramite alcuni tagli di spesa, risorse per attenuare l’aumento dell’IVA.
In particolare, all’articolo 21, comma 1, si stabilì che:
- l’aumento delle aliquote IVA dal 10% al 12% e dal 21% al 23% sarebbe stato rinviato al luglio del 2013;
- dal 2104, le aliquote sarebbero state rideterminate, rispettivamente, all’11% e al 22%.
L’ultimo intervento in materia si ebbe con la Legge di Stabilità dello scorso anno, varata il 9 ottobre 2012 e approvata il 24 dicembre.
L’articolo 480 modificò in questo modo l’articolo 21 del decreto 98/2012:
- a partire dal 1 luglio 2013, l’aliquota ordinaria sarebbe aumentata di un solo punto, dal 21% al 22%, senza variazioni nel 2014.
- fu evitato qualsiasi innalzamento dell’aliquota del 10%.
2. Riassunto il percorso legislativo, è utile valutare l’impatto di questo intervento; innanzitutto, si rileveranno alcuni indicatori economici del 2012, il primo anno a regime degli inasprimenti fiscali decisi nel 2011 (compreso l’aumento IVA al 21%). In seconda battuta, si analizzeranno le stime riguardo agli effetti che tale provvedimento avrà sugli indicatori economici.
Nel 2012, le entrate tributarie hanno sfiorato i 424 miliardi facendo rilevare un aumento del 2,8% rispetto al 2011 ( pari a 11 miliardi e mezzo in più). Interessante, nello specifico, è il dato del gettito IVA, in controtendenza rispetto alle altre entrate: esso, pari a 115, 2 miliardi, è calato dell’1,9%, corrispondente a un mancato gettito di circa 2,2 miliardi.
L’aumento dell’aliquota dal 20% al 21% non ha dunque portato benefici neppure ai conti pubblici.
La stangata fiscale, inoltre, ha provocato una perdita di PIL del 2,1%; per quanto riguarda i consumi, essi nel 2012 sono scesi del 4,4%, il più grande calo dal Dopoguerra.
Tutte le previsioni negative per il 2103 consigliano di non innalzare ulteriormente l’aliquota ordinaria. Secondo le stime fatte da REF Ricerche e Centro Studi Centromarca, infatti, l’aumento di luglio provocherà una diminuzione del PIL dello 0,1%, pari circa a 2 miliardi. La stessa previsione prevede inoltre che, solo a causa di questa misura, l’inflazione crescerà di mezzo punto percentuale nel 2013, e dello 0,6% nel 2014; e certamente ciò non aiuterà la ripresa dei consumi (è stimata un’ulteriore diminuzione del 2,4%).
Riguardo al gettito IVA, esso dovrebbe calare di un miliardo rispetto al 2012, allontanando dunque l’Italia dagli obiettivi di disciplina fiscale. Non irrilevante è anche l’impatto sul potere d’acquisto degli italiani: il Codacons, chiedendo di scongiurare l’aumento, ha previsto che tale provvedimento graverà su una famiglia composta da tre membri per 209 euro annuali dal 2014, quando entrerà a regime. Questa cifra è molto vicina a quanto pagato, in media, per l’IMU sulla prima abitazione, 225 euro .
Nonostante venga coinvolta solamente l’aliquota più alta delle tre previste nell’ordinamento italiano (le altre sono la minima al 4%, e la ridotta al 10%), essa riguarda tutti i ceti sociali e numerosissimi settori produttivi. Tale aliquota comprende infatti, fra i beni, gli elettrodomestici, gli arredamenti e i mobili, le attrezzature sportive, i prodotti per la casa, le automobili e le moto, i cinema e gli stadi, i capi di abbigliamento e i loro accessori, i giocattoli. Si applica anche ad una vasta categoria di servizi: quelli dedicati allo sport e all’intrattenimento, alla cura della persona, alle telecomunicazioni, agli artigiani.
3. In definitiva, valutando le cifre analizzate e le previsioni per il 2013, l’aumento dell’IVA va scongiurato, e questo per almeno tre ordini di ragioni:
- costituisce l’ennesimo aumento delle imposte, in un paese in cui la pressione fiscale ufficiale ha sfiorato nel 2012 il 45% del prodotto interno lordo, attestandosi al 44,7%. E nel 2013, complice anche l’intervento sull’IVA, toccherà il massimo storico del 45,3%. Rappresentando il maggior ostacolo alla crescita economica del paese e alla competitività delle imprese, ogni inasprimento della tassazione appare ingiustificato. Il tentativo di consolidamento dei conti pubblici va perseguito tramite massicce riduzioni della spesa.
- presumibilmente farà diminuire il gettito, non servendo dunque a ridurre il deficit e ad avvicinarsi al pareggio di bilancio; ciò farà nascere l’esigenza di ulteriori interventi correttivi.
- rende la tassazione italiana sui consumi ancora più alta rispetto alla media degli stati più popolosi dell’Unione Europea; con il ritocco di luglio, solo la Polonia avrà un’aliquota superiore ( 23%) alla nostra.
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