Una sconfitta in casa, oggi, per un grande successo fuori domani. Forse. Un Putin ottimista potrebbe interpretare in questo modo l’escalation ucraina di questi ultimi giorni. A Kiev quello che passa per il suo uomo ha abbandonato la nave. Il paese sta imboccando la strada di una crisi interna che preoccuperà sempre meno il resto del mondo. Per Europa e Stati Uniti l’importante era che Mosca non intervenisse direttamente. Altrettanto il Cremlino si crucciava che nemmeno la Nato vi fosse coinvolta in una qualche maniera. Allo stato dell’arte, le cose stanno così: l’Ucraina avrà i suoi problemi interni da sbrogliare e il mondo osserverà passivamente. In ogni caso, si tratta di una sconfitta per la Russia. Tuttavia, un tornaconto per il Cremlino ci può essere. E potenzialmente andrebbe rintracciato in Medio Oriente.
1. Appena dieci giorni fa, il summit per la pace in Siria (Ginevra 2) si chiudeva con le grottesche scuse espresse dall’inviato speciale di Onu e Lega Araba, Lakdhar Brahimi, sul sostanziale fallimento del vertice. «Chiedo scusa ai siriani. In questi due round non li abbiamo aiutati molto», ammetteva Brahimi in conferenza stampa alla fine del summit.
Ginevra 2 si è fermata nel momento in cui la delegazione del governo di Damasco ha bocciato l’ordine del giorno dell’intera conferenza. «Il governo – spiegava Brahimi – considera che la questione più importante sia il terrorismo. L’opposizione sostiene che la questione più importante sia l’autorità governativa di transizione. Noi avevamo suggerito che il primo giorno si parlasse delle violenze e di combattere il terrorismo, il secondo dell’autorità governativa». Dietro all’organizzazione mancata dell’agenda, d’altra parte, sono evidenti le intenzioni delle due parti di non confrontarsi. Ed è palese il disinteresse internazionale a imporre una propria linea.
2. Scuse grottesche, si diceva, perché non è possibile che le Nazioni Unite liquidino così questo loro ennesimo totale fallimento. La guerra in Siria ha appena compiuto il suo terzo giro di boa. Dal 2011 a oggi, il conflitto è costato la vita a circa 150mila persone. È scandaloso che la diplomazia internazionale si limiti ad allargare le braccia e a dire: «Mi dispiace». Sottintendendo peraltro un «non è colpa nostra».
D’altra parte, si sa pure che la prima a fregarsi le mani per il fallimento di Ginevra 2 è proprio la Russia, che vede non spente le speranze di mantenere a Damasco il suo protetto. Nel caso Assad dovesse crollare, anche il suo baluardo strategico siriano verrebbe meno. E allora la presenza russa in Medio Oriente apparirebbe sensibilmente ridimensionata rispetto all'apogeo toccato durante la Guerra Fredda.
Non si tratta soltanto di Damasco però. O meglio, la Siria è il tavolo sul quale Putin ha scommesso di più. È vero che molte risorse sono state spese (e forse sprecate) per proteggere e favorire l’Iran. Tuttavia, puntare su Assad per il presidente russo vuol dire aver concentrato una montagna di fiches sullo zero della roulette. Possibilità di vittoria: pressoché nulle.
Ecco perché Mosca, da un lato, si sta aprendo ulteriori canali di dialogo con altri soggetti locali; dall’altro, può sperare di guadagnare qualcosa concedendo la sconfitta a Kiev.
Ma andiamo con ordine. Il presidente russo vive da sempre una psicosi di inferiorità nei confronti tanto degli Usa quanto delle potenze emergenti. Psicosi motivabile solo parzialmente. La Russia odierna è solo l’ombra della potenza sfoggiata da Mosca ai tempi dell’Urss. Putin è un nostalgico dei bei tempi andati. Con la speranza (o l’illusione?) di tornare agli antichi albori, ha reinventato la sua Russia spacciandola per potenza emergente. Poco credibile, vista la storia. È come se negasse la forza passata. Nel frattempo, da un punto di vista geopolitico, sta cercando di investire in quell’area in cui Mosca non è mai riuscita a consolidarsi sul lungo periodo. Ovvero il Medio Oriente. Un po’ tentando di approfittare della drammatica confusione locale, con l’auspicio che dal caos si aprano spiragli e opportunità politiche. Un po’ perché altrove il risiko è fatto. In Africa e Asia, i pesci piccoli sono già stati presi delle reti indiane, coreane e soprattutto cinesi. Mentre in America latina, oltre alla consolidata presenza degli Usa, sono remoti i tempi in cui l’Urss arrivava con il suo bagaglio di ideologia (e altro materiale rivoluzionario).
3. No, il Medio Oriente non va visto come la testa di ponte per il rilancio internazionale di Mosca. Bensì come la sua ultima spiaggia. Prima in Iran, il Cremlino ha spianato il terreno e si è garantito un alleato: strategico, militare ed energetico. A metà mese, a Vienna, è ripreso il confronto tra Teheran e il 5+1. Per Putin sarà un successo se l’Iran diverrà una potenza nucleare locale, dove i codici delle centrali e di un eventuale arsenale saranno scritti in cirillico. Sulla questione nessuno ha fretta. Tuttavia, più si va avanti, più Obama se ne tirerà fuori. E quindi più si creeranno spazi vantaggiosi ai russi.
Assad, a sua volta, nel caso dovesse sopravvivere non sarebbe un semplice alleato. Bensì un fantoccio sotto ricatto, al quale il Cremlino ricorderà sempre di avergli firmato una cambiale per la sua sopravvivenza politica (e personale).
Infine c’è l’arcipelago di emirati e regni del Golfo (Arabia saudita, Qatar, Emirati Arabi Uniti) apparentemente lontani oggi dal dialogo con Mosca, ma inevitabilmente suoi interlocutori. Il capo della diplomazia del Cremlino, Sergeij Lavrov, è appena tornato dal terzo incontro annuale con i rappresentanti del Consiglio di cooperazione del Golgo (Ccg). Al summit di Kuwait City, l’uomo in feluca di Putin ha auspicato la definizione di una politica condivisa contro il terrorismo jihadista. Da cui, si noti, le olimpiadi di Sochi sono passate indenni. Da notare ancora di più, però, che se Assad è sostenuto dai russi, i jihadisti hanno come sponsor appunti gli emiri. Gli stessi che sono vicini agli Usa. Quindi l’incontro Russia-Ccg compensa il fallimento di Ginevra 2. E quindi ancora è plausibile che Putin stia davvero riuscendo nella micro-impresa di salvare Assad e in quella macro di consolidarsi in Medio Oriente.
Ed è paradossale però che questa avanzata, a sbarco avvenuto, stia procedendo grazie a una sconfitta. Perché a Kiev Putin le ha prese davvero. Del resto molte squadre di calcio hanno sacrificato il campionato per dare il meglio di sé in Champions League.
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