Non una, non due, non tre: sono addirittura quattro le inchieste aperte dalla procura regionale per il Lazio della Corte dei Conti sulle spese della Rai. A differenza che in altri casi, stavolta l'ipotesi di danno erariale non verte su rimborsi allegri o abusi di carte di credito aziendali: ciò che si contesta è proprio il modo in cui sono stati spesi i fondi aziendali nel riempire i palinsesti.
Il caso che ha maggiormente attirato l'attenzione dei giornali è quello dell'ex goleador Bobo Vieri, a cui sarebbero stati elargiti tra 450.000 euro (secondo l'azienda) e 600.000 euro (secondo l'accusa) per la partecipazione a "Ballando con le stelle" di Milly Carlucci, edizione 2011-2012. Ma queste indagini sono una buona cosa?
1. La risposta non è così scontata. Pare ormai un dato di fatto che la responsabilità contabile sia diventato l'unico vero deterrente a comportamenti disonesti da parte dei pubblici amministratori. Ben più che la responsabilità penale (che per i colletti bianchi non rappresenta nel nostro Paese una particolare minaccia), i burocrati paiono temere di esser costretti a metter mano al portafoglio per restituire, euro per euro, il maltolto.
Ciò è particolarmente evidente negli enti locali, dove le relazioni della Corte dei Conti non risparmiano critiche anche alle amministrazioni in carica, e in un mondo dove le opposizioni sono spesso dormienti, o addirittura conniventi, e i media distratti o asserviti, le parole della magistratura contabile finiscono persino con l'esercitare un ruolo di supplenza nei confronti dei contropoteri politici e dell'informazione.
Di conseguenza, qualunque iniziativa della procura volta a fare luce sul modo in cui sono stati spesi denari del contribuente non può che essere benvenuta, e viene dunque spontaneo salutare con favore le quattro inchieste sulla Rai. La competenza della Corte dei Conti è data proprio dal fatto che questa azienda è pubblica e quindi utilizza risorse pubbliche, e su questo utilizzo è prescritto e quanto mai opportuno un controllo.
2. Il punto, però, sta proprio qui: è davvero possibile valutare se i 450 o 600 mila euro di soldi del contribuente spesi dalla Rai per far ballare Bobo Vieri fossero troppi? Troppi rispetto a cosa?
In altri termini, l'indagine della procura presso la Corte dei Conti laziale tradisce un vizio di fondo: l'idea che sia possibile determinare un prezzo giusto, congruo, per un bene o un servizio. Si tratta in realtà di un'illusione: infatti, può piacere o non piacere, ma in una società libera quei soldi possono essere pienamente giustificati, e addirittura pochi, se rapportati alla quantità di introiti pubblicitari che la presenza di un ex campione di calcio come Vieri può generare.
Quella spesa era quindi giustificata per la Rai? Non lo sappiamo. O meglio, lo si può valutare solo facendone una stima a posteriori, perché si può andare a verificare quanto ha complessivamente incassato la Rai come raccolta pubblicitaria dal programma della Carlucci, sommare tutte le spese, dalla Carlucci a Vieri, e valutare se è stato o meno un affare per il contribuente. Probabilmente, nel caso specifico lo è stato perché il programma è stato anche nell'edizione in questione un buon successo, anche se è pressoché impossibile calcolare quanto ciò sia stato dovuto alla presenza di Vieri, quanto alle molte altre stelle in competizione con Bobo, quanto a un format che sembra funzionare bene un po' ovunque.
Ma il fatto rimane che una tale valutazione si può compiere solo a posteriori, mentre, per avere senso alla luce di come è concepita, la valutazione della Corte dei Conti dovrebbe porsi ex ante, riportandosi al momento in cui l'azienda ha deciso di spendere quei soldi. Così facendo, però, la Corte sostituirebbe le proprie valutazioni a delle decisioni puramente imprenditoriali, che possono essere azzeccate o meno, non lo sappiamo, ma che sono irriducibili al giudizio di un magistrato.
Infatti il giudizio sulla bontà o meno delle scelte di un imprenditore lo fanno i consumatori, nella fattispecie guardando o meno il programma danzante. Ma proprio per questo, è assolutamente da mettere in discussione l'idea che queste scommesse imprenditoriali possano essere compiute da un'azienda pubblica, il che significa nei fatti da burocrati di nomina politica.
In entrambi i casi, infatti, lasciare che a decidere lo stipendio da ballerino di Vieri siano dei funzionari pubblici è insoddisfacente: se si lasciano i burocrati liberi di pagarlo quanto si vuole senza compenso, c'è un forte rischio per gli interessi del contribuente; ma se si interferisce con quella valutazione, si finisce con l'applicare ai dirigenti pubblici dei criteri che possono essere soltanto propri del privato.
3. L'unica via d'uscita dall'impasse sembra essere quindi essere quella di lasciare che sia un imprenditore privato a decidere se e quanto investire in un programma di intrattenimento e nei suoi ospiti. Negli Usa, l'omologo show Dancing with the stars va in onda sulla ABC, un network commerciale, e non certo sulla PBS, network pubblico, che peraltro si autofinanzia attraverso il sollecito di donazioni volontarie. Non si vede dunque ragione per cui in Italia debba essere il pubblico a farsi carico di organizzare questo programma con denaro del contribuente, per poi cadere nel paradosso di spendere altro denaro del contribuente per vedere se il denaro del contribuente era stato ben speso.
Meglio darci un taglio netto, liberalizzare il mercato televisivo, e lasciare che ognuno faccia il suo mestiere: lasciare cioè che della produzione di spettacoli graditi al pubblico si occupino gli impresari tv, e così liberare anche tempo prezioso per i magistrati contabili, che purtroppo non hanno che l'imbarazzo della scelta nel dedicarsi ad altri, più urgenti scandali ed episodi di malgoverno e sperpero del denaro del contribuente.
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