1. Nella serie-tv cult americana “The Big Bang Theory”, quando il protagonista Sheldon, simpatico misogino e misantropo dalla mente geniale, vuole mettere a tacere l'amica Penny, le ricorda che, mentre lui ha preso un dottorato in una prestigiosa università, lei non è andata oltre un misero diploma in un community college, il tipo di università più scadente.
In Italia, una battuta del genere si fa perfino fatica a capirla. Questo perché nel nostro Paese esiste una "cosa" chiamata valore legale del titolo di studio, ovvero un insieme di norme in base alle quali essenzialmente, in esami e concorsi pubblici, le lauree, i diplomi e i titoli in generale pesano tutti allo stesso modo, a prescindere dall'università, scuola o istituzione dove sono stati conseguiti.
L'esistenza di tale valore legale ha come conseguenza che le università italiane tendano ad assomigliarsi: dalla migliore alla peggiore vi è una distanza significativamente minore, rispetto alla distanza che separa prima e ultima della classe nei paesi dove il valore legale non c'è, come tipicamente quelli anglosassoni. In Italia, cioè, forse non ci sono università con la reputazione dei community college americani, ma questo fa il paio con l'assenza all'altro estremo di istituzioni con la fama di una Harvard, una Yale, una Oxford, una Cambridge. E per analoghi motivi, anche il dottorato, di cui lo Sheldon del telefilm va tanto orgoglioso (al punto da farsi beffe di un altro personaggio che ha "solo" un master, il quale però ha buon gioco nel ribattere fiero che il master l'ha preso all'MIT), non ha in Italia il peso e il prestigio di cui gode in altri sistemi, che non conoscono il valore legale.
2. Di valore legale si è scritto e detto fino allo sfinimento. Luigi Einaudi si schierò apertamente per la sua abolizione sin dal 1947. Oltre sessant'anni dopo, non se ne è fatto niente, e anzi la tesi einaudiana continua ad incontrare molte resistenze. Eppure, potrebbe essere la volta buona: il Governo ha infatti lanciato una consultazione sul tema, aperta a tutti, che partirà a fine marzo sul sito del MIUR e che dovrebbe preludere ad una decisione definitiva.
In conseguenza di ciò può essere utile allora ribadire una volta di più le ragioni per cui è importante superare questo residuo storico, che - non va dimenticato - affonda le proprie radici nell'epoca del corporativismo fascista.
3. Intanto, il valore legale è una finzione. Per qualunque prodotto o servizio, nel mondo libero (in Unione Sovietica era un'altra cosa) siamo abituati a considerare la cosa più naturale possibile che esistano alternative di qualità diversa, che coprono tutta la gamma: dai primi prezzi, alla fascia media, al top. Perché il servizio istruzione dovrebbe essere diverso, ed essere vittima di un bollino che premia chi è sotto la media e penalizza chi è sopra e fissa quindi un valore che è al contempo troppo alto e troppo basso (esattamente come accade con i prezzi imposti dal governo)?
Spesso si sostiene che il servizio istruzione è un "bene pubblico", che non può sottostare alla logica del mercato e dei prezzi, perché altrimenti chi non ha le risorse necessarie non potrebbe procurarselo e l'istruzione è un "bene" troppo importante per ammettere una simile eventualità. Ma la soluzione non sta nel calmierare i prezzi, ovvero la soluzione fiscalmente regressiva adottata dall'Italia (per non parlare di quei Paesi, come la Grecia, dove l'istruzione universitaria è solo statale e gratuita per espressa statuizione costituzionale). La soluzione sta nel predisporre i mezzi (borse di studio, prestiti d'onore, etc.) perché a chiunque sia data l'opportunità di studiare.
La battaglia per l'abolizione del valore legale è allora una battaglia per la concorrenza tra istituzioni universitarie, nonché per la loro specializzazione, sempre più indispensabile in un mondo sempre più iper-specializzato.
Come tante altre misure che a prima vista potrebbero non apparire tali, a ben vedere abolire il valore legale e consentire così la nascita di piccole Harvard italiane, è un modo per dare una chance di miglioramento della propria condizione a chi nasce con poche opportunità. Con università tutte "medie", l'università non può fare la differenza: chi nasce fortunato si sistemerà grazie alla spinta del proprio ambiente familiare e sociale; chi non nasce tale farà molta fatica a migliorare la propria condizione, perché non avrà dalla sua l'arma dello studiare sodo per entrare in un'università che faccia la differenza, da sempre uno dei più poderosi ascensori sociali.
4. Il valore legale, poi, fa sì che l'uniformità caratterizzi non solo la qualità, ma anche i programmi: se tutti devono uscire alla pari, a tutti (anche nelle poche istituzioni private) si dovranno fare studiare più o meno le stesse cose. E su quali siano le cose che si studiano, eserciterà inevitabilmente un'influenza, in modo più o meno diretto, il potere politico. Questa sorta di monopolio in versione soft non può che riflettersi in modo negativo sulla circolazione delle idee: da un lato, idee nuove si faranno strada con maggiore difficoltà rispetto a un contesto decentrato e più aperto alle sollecitazioni; dall'altro lato, verranno tramandate molto più facilmente idee che al potere non dispiacciano troppo, mentre idee scomode per il mainstream verranno emarginate e alla fine più o meno inconsapevolmente censurate. Non è una previsione, è la descrizione di quanto accade costantemente.
5. Anche se è una condizione non sufficiente di rinnovamento, l'abolizione del valore legale rimane comunque una condizione necessaria, perché la sua presenza blocca processi virtuosi di competizione e specializzazione che altrimenti si manifesterebbero molto più facilmente.
Ma la battaglia per la sua abolizione merita di essere combattuta anche come questione di principio: la contesa sul mantenimento o meno del valore legale è, infatti, il simbolo di due modi opposti di interpretare la realtà. Chi, in questa contesa intellettuale, sia maggiormente convinto dalla lettura einaudiana, favorevole alle ragioni della libertà, della competizione e della circolazione delle idee e specularmente avversa all'accentramento, alla burocratizzazione del vivere civile e all'eguaglianza dei punti d'arrivo, non potrà che schierarsi convintamente contro il valore legale del titolo di studio, nella speranza che sia finalmente giunta l'ora della sua abolizione.
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