In un recente articolo, Piero Ostellino è ritornato su un tema a lui caro, di come negli Stati Uniti un liberale vota conservatore e non progressista. Ostellino ha senz’altro ragione. Se Ostellino votasse negli Usa voterebbe conservatore. Ed è anche probabile che se votassero negli Usa anche molti dei liberali italiani voterebbero conservatore. Ciò detto, è proprio vero che chi si considera liberale deve votare a destra?
1. Partiamo dall’equivoco sul termine “liberal”. Ostellino ha ragione, non esiste una identità formale fra “liberal” e liberale. Le due cose sono distinte. Va comunque riconosciuto che il termine, un tempo neutro, è stato manipolato ad arte dai repubblicani per dileggiare i democratici a cavallo fra gli anni settanta e ottanta. Oggi un “liberal” è prima di tutto un “bleeding heart liberal”, un “buonista” come è stato tradotto in Italia. Si capirà bene che con categorie come queste non si può ragionare. Sono programmate per far deragliare il pensiero. Vediamo di allargare l’orizzonte.
Nello studiare il cosiddetto sistema-mondo, Immanuel Wallerstein ha individuato una struttura di fondo nel sistema politico occidentale. Dopo le rivoluzioni politiche del diciottesimo secolo, a contrapporsi ideologicamente all’ancien régime furono i liberali, da cui l’opposizione fondamentale fra liberali e reazionari su cui si è evoluta l’opposizione fra liberali e conservatori. A turbare lo schema dopo i moti del 1848 si sono inseriti i socialisti, e quindi, nel ventesimo secolo, i comunisti. (Fino alla Rivoluzione d’ottobre, e malgrado la Comune, il pensiero di Marx era solo una squisita curiosità intellettuale). I sistemi che hanno retto meglio questo meccanismo sono stati quelli bipolari, in primis quello americano (che funziona ininterrottamente dalla prima vera campagna presidenziale del 1800). In questi sistemi i liberali si sono posti al centro del sistema. Quando il sistema va troppo a destra, i liberali votano a sinistra. Quando va troppo a sinistra, votano a desta. I liberali sono il centro. I liberali sono il sistema, e non si può battere il sistema. (Con grande cruccio di Wallerstein, che nutre simpatie socialiste).
La strategia non ha mai funzionato in Italia per l’ingombrante presenza della Chiesa cattolica, che prima ha preteso di annichilire la modernità politica e poi si è appropriata dello schema ponendosi essa stessa al centro del sistema elettorale italiano. Se negli Usa la main line protestante, secolarizzandosi, si è posta al centro divenendo lei liberale, in Italia la Chiesa cattolica si è posta al centro attraverso la Democrazia Cristiana, partito che non è mai pienamente diventato liberale. La differenza fra i due centri è quindi abbastanza pronunciata. Il sistema politico Usa è nato sulla rigida divisione fra Stato e Chiesa, e la main line protestante, secolarizzandosi, non ha potuto che rispettare ancor meglio questa divisione. Il sistema politico italiano non ha mai potuto porre al centro i liberali perché la Chiesa cattolica non è, non è mai stata, e non può essere liberale. O è conservatrice o è socialista, a seconda che dia peso alla lettera o al senso dei Vangeli. In Italia i cattolici liberali sono sempre stata una minoranza intellettuale dallo scarso peso politico. Oggi l’Italia registra un distacco sui diritti civili che sulla mappa segue quasi alla perfezione i contorni del suo distacco economico dal nord Europa di cultura protestante. Qualcosa vorrà dire.
2. Voterebbe conservatore, ossia repubblicano, il liberale italiano che dovesse votare in America? Per rispondere a questa domanda dobbiamo prima chiederci se esiste veramente un liberale in Italia paragonabile al liberale americano e la risposta è no. Il liberale Usa è un protestante secolarizzato che, secolarizzandosi, è andato a sinistra seguendo la separazione fra Stato e Chiesa, cosa che gli ha concesso di abbracciare i diritti civili come fondamento della democrazia. Liberale è chi ama la libertà, che più precisamente significa amare la libertà degli altri. Amare solo la propria è troppo facile. Il “liberale” italiano, ovvero il centrista italiano, è quasi sempre un cattolico che, secolarizzandosi, è andato a destra o a sinistra a seconda dell’inclinazione popolare o conservatrice della sua fede. Voterebbe a destra negli Usa? Forse, ma potrebbe votare anche a sinistra. Dipende.
Il che ci porta a dire qualcosa dell’Italia. Che cosa ha permesso al sistema americano di governare la tensione dirompente fra conservatorismo e progressismo che in altri sistemi occidentali è sfociata in sistemi oppressivi o totalitari? Il fatto che i liberali non si sono posti né a destra né a sinistra, cercando di occupare il centro dello spazio politico post-rivoluzionario, ossia lo spazio governato dall’uso pubblico della ragione. Hanno deciso caso per caso, e hanno cercato di ragionare sui fatti partendo da un numero minimo di principi condivisi. L’occupazione del centro, in Italia, da parte dei democristiani non ha portato a questo risultato per via dell’intrusione nel campo politico di valori religiosi non riconducibili alla ragionevolezza. Checché ne dica Ratzinger, ragione e fede non si incontrano quando la religione in questione è quella cattolica che ammette e anzi glorifica eventi extra-razionali come i miracoli. La riconciliazione fra fede e ragione che ha portato alla separazione di Stato e Chiesa è potuta avvenire negli Stati Uniti solo perché la religione protestante ha smantellato il palcoscenico dei miracoli medievali e ha eretto un muro dottrinario contro l’emergere dello spettacolo barocco controriformista.
Ora che l’esperienza democristiana è stata superata, i successori non hanno saputo trovare un nuovo sistema di valori condivisi che fosse razionale in sé, e non conseguente alla guerra fredda. Durante questo conflitto il supporto economico e militare esterno permise ai governanti italiani di inventare un modello economico che con la razionalità dei numeri aveva poco a che fare. Così che intere generazioni di italiani hanno accettato come razionali principi e programmi che in realtà non facevano tornare i conti. Una volta caduto il muro di Berlino, il sistema non si è più rassettato. Stiamo affondando, e continueremo ad affondare finché non ci libereremo delle parole d’ordine che durante la guerra fredda venivano usate per coprire la realtà dei fatti, la quale non ha nulla a che vedere con lo Statuto dei lavoratori.
3. La questione liberale in Italia è la questione del centro, di come governare un sistema dal centro mediando le ali estreme. Oggi Matteo Renzi sta cercando di riallineare il sistema proprio partendo dal centro ed è per questo che “ruba” spazio politico sia a destra che a sinistra. È dunque Renzi un liberale? In senso tecnico lo è, se liberale è in una democrazia chi si pone al centro. Il suo problema — che è poi il nostro — è però ancora quello che dovette risolvere la democrazia cristiana. Per porsi al centro deve mediare con tutti i poteri, anche con quelli extra-politici ed extra-razionali come la Chiesa. La nostra fortuna è che al momento la Chiesa di Bergoglio non pare interessata a imporre in Italia una agenda conservatrice, com’era invece il caso dei suoi due predecessori. C’è solo da sperare che questo non cambi, e che si possa andare verso un riallineamento di sistema che includa i diritti civili e gli altri valori che ci avvicinano al centro politico ed economico dell’Europa e quindi all’Atlantico.
E qui veniamo al dunque. Ciò che ha consentito al sistema statunitense di riallinearsi al centro, assorbendo le spinte estreme, è un amore feroce per la Costituzione. In Italia ai liberali manca proprio quello, l’amore per le regole e, mi sia consentito dire, le regole. La Costituzione italiana non ha saputo auto-fondarsi su pesi e contrappesi come quella americana ed è costantemente in balia degli elementi. Chi si richiama oggi a questo documento fondante non ha saputo capire fino in fondo la sua premessa, che ogni azione umana è conoscibile a partire dal lavoro che lo ha generato e che a sua volta ingenera. Solo ciò che noi umani facciamo è conoscibile da noi umani. È il verum-factum di cui parlava Vico. Non basta “dare lavoro” per essere una repubblica fondata sul lavoro. Occorre che ciò che noi facciamo, il nostro lavoro, abbia senso.
E qui siamo in alto mare, ed è per questo che la riforma del lavoro è urgente e improcrastinabile. Occorre però che questa riforma sia autenticamente liberale, ossia che possa mettersi al centro della società, offrendo a tutti i cittadini lo stesso contratto di lavoro. Finché rimane diviso fra chi ha “diritti acquisiti” e chi non ha diritti l’anomalia italiana impedirà al sistema di riallinearsi al centro. Con buona pace dei liberali, siano essi conservatori o progressisti.
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