1. Ho estratto dalla libreria un tomo di colore verde, cartoncino spesso, che si trovava nella parte dedicata ai codici, pescando, è il caso di dirlo, il “codice dell’ambiente”, di oltre 2400 pagine.
Nell’indice si trovano circa 450 disposizioni legislative in tema ambientale, contate in punta di penna, compreso il testo unico del 2006, suddivise tra leggi, decreti, decreti legislativi, regolamenti ministeriali e così via emesse dal 1948 in poi. Cronologicamente si passa dal decreto leglslativo n. 804 del 1948 (per la verità abrogato nel 2004), relativo alle norme di attuazione per il ripristino del Corpo Forestale dello Stato (è il primo provvedimento legislativo del dopoguerra ma va detto che dei forestali ogni tanto se ne parla ancora oggi ) sino alla disciplina della raccolta differenziata. Una “montagna” di disposizioni legislative, che il testo unico non ha certo abrogato del tutto.
Al di là dello stretto dato numerico la situazione è assolutamente equivalente se si dovesse valutare la materia dello stato civile, della sanità, della sicurezza sul lavoro, delle armi e così via. Pare che nel corso della vita repubblicana del Paese siano state emanate circa 200.000 leggi, di cui almeno 18/20.000 vigenti.
A ciò si aggiungano i regolamenti, per esempio quelli comunali, e le disposizioni legislative europee e internazionali.
Una Repubblica fondata sulle norme, sui regolamenti e quindi sulle procedure. Una Repubblica in cui tutto quello che accade nei rapporti umani, anche interpersonali, sociali ed economici trova, per paradosso, una primaria configurazione più che a livello “naturalistico” in una norma, che frequentemente si intreccia con altre fino a formare un abbraccio spesso mortale per il cittadino.
2. È evidente che la disciplina legislativa è necessaria in qualunque società: ubi societas ibi ius, dicevano i romani. Ma ciò posto, qual è il punto oltre il quale si rompe o si è già rotto quello che si potrebbe definire come equilibrio liberale nella vita di ciascuno di noi rispetto ad un sistema ipertrofico sul piano normativo? E quali sono le conseguenze nella vita di tutti i giorni di questa iperproduzione normativa ?
Si pensi subito al fenomeno del così detto sciopero bianco che indica una forma di protesta dei lavoratori che, senza astenersi dal lavoro, mediante l’applicazione rigida e burocratica delle regole e dell'orario di lavoro contrattuale rifiutano di collaborare con il datore. In buona sostanza, una rigida applicazione di norme e regolamenti per rendere sostanzialmente impossibile l’attività lavorativa attraverso il rispetto formalistico delle regole. Una protesta ancora di moda, tanto che la sua attuazione è stata minacciata dagli avvocati tra maggio e giugno scorsi, in caso di mancata riforma della legge professionale (approvata peraltro a metà degli anni ’30).
Un esempio semplice, forse poco rigoroso, ma che consente di chiarire in modo immediato il fatto che l’equilibrio liberale del cittadino rispetto al corpo delle leggi insiste proprio nella necessità per l’individuo di poter vivere la propria vita all’interno di un sistema che non lo soffochi tra norme e regolamenti, ma che gli consenta lo svolgimento delle normali attività senza che diventi una corsa ad ostacoli, per tacere del costo economico che comporta questo sistema ipertrofico.
Il significato intrinseco, che incide sul piano della compressione della libertà dell’individuo, rappresentato dallo “sciopero bianco” si colloca proprio nel fatto che il punto di rottura di quello che sopra è stato definito “equilibrio liberale” è già stato raggiunto e che il nostro ordinamento si trova già di fatto oltre il livello di tolleranza per lo squilibrio che si è creato tra “sistema burocratico” (inteso in senso ampio), da un lato, e libertà personale, dall’altro.
Sul piano della compressione della libertà dell’individuo, lo sciopero bianco esprime in modo non equivoco il fatto che il “sistema” dispone della massa critica necessaria per indurre il blocco delle funzioni sociali nella vita dell’individuo semplicemente mediante l’applicazione rigida di norme e regolamenti. Il che non può essere accettato in una società che si voglia definire liberale.
3. Del resto, l’effetto dello sciopero bianco può essere sperimentato da ciascuno di noi tutti i giorni: è quell’imbrigliamento alla macchina burocratica in cui a volte siamo costretti e che limita le libertà e i diritti, colpendo la possibilità di ciascuno di noi di esprimersi nei rapporti in modo dinamico ed efficiente, pur nel rispetto delle regole.
Si potrebbe dire che, nonostante tutto, il Paese in qualche modo funziona. Ma siamo sicuri che questo avvenga come dovrebbe oppure possiamo ipotizzare che in Italia è in realtà applicata una percentuale ridotta dello sconfinato “parco leggi e regolamenti”? Una specie di patto tacito nei rapporti cittadino-“sistema burocratico” teso all’interpretazione di buon senso della norma e che “lascia vivere” il primo.
È però lecito chiedersi se questa sorta di armistizio di fatto non rappresenti in realtà la causa primaria di molti mali del nostro sistema-Paese, posto che la linea di confine tra buona fede nell’applicazione di una norma o di un regolamento e connivenza è per forza di cosa molto sottile e attiene al grado di correttezza di ciascuno.
Oltre a ciò, non va dimenticato che la connivenza può essere il rischio degenerativo intrinseco di un sistema che ama spasmodicamente regolamentare tutto, salvo che, così facendo, si finisce con lo “spingere” a violare le tante, troppe norme che agitano il nostro ordinamento.
4. In un sistema liberale, il sistema normativo non può coincidere con molte regole o molte leggi applicate in modo rigido, oppure, all’esatto opposto, applicate in modo elastico a seconda delle situazioni. Occorrono invece poche regole, applicate con rapidità e in modo chiaro.
Non possiamo credere di potere rendere questo Paese competitivo con una produzione legislativa che di fatto rende l’adeguamento alla disciplina vigente un consistente sforzo in più oltre a quello rappresentato dalla normale attività lavorativa, con ogni conseguente riduzione della compressione delle nostre libertà nei rapporti con il sistema pubblico.
In Italia la conformità alla legge è oggi un vero e proprio lavoro per i cittadini: invece di un “equilibrio liberale” nel rapporto cittadino-legge, un latente stato di tensione nell’affrontare a livello formale i rapporti personali e verso la pubblica amministrazione.
La chiosa è affidata a Bruno Leoni, che in “La libertà e la legge” scrive : “Oggi ci troviamo di fronte a una potenziale guerra giuridica di tutti contro tutti, condotta per mezzo della legislazione e della rappresentanza”.
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