Il 2016 è un anno di elezioni presidenziali che certamente passerà alla storia in America per una sconvolgente moltitudine di ragioni.
Il 2016 è un anno di elezioni presidenziali che certamente passerà alla storia in America per una sconvolgente moltitudine di ragioni, a cominciare dal fatto che uno dei due partiti maggiori ha puntato sulla candidatura di una donna che, stando a tutti i sondaggi, dovrebbe essere eletta presidente.
Non meno importante è un altro fatto, che la totalità dei media ha imposto all’elettorato un’agenda fatta su misura per favorire l’elezione di Hillary Clinton. Non era mai successo prima che stampa, televisione e altri agenti della comunicazione di massa si schierassero con inusitata ostilità contro uno dei due candidati, il repubblicano Donald Trump. Un accademico di rinomanza mondiale, Noam Chomsky, aveva definito il fenomeno, in un suo libro del 1988 (1), con il termine “propaganda model”. Ecco quel che scriveva Chomsky, ben noto come uomo di sinistra ma libero pensatore: “I media servono e diffondono propaganda per conto di potenti interessi societari che controllano e finanziano tali media. I rappresentanti di questi interessi hanno importanti agende e principi che intendono promuovere e sono perfettamente posizionati per formulare e forzare la politica dei media”.
Un terzo, dirompente aspetto di questa annata elettorale è che mai prima d’oggi entrambi i candidati presidenziali si erano presentati agli elettori con quozienti così elevati di disapprovazione, un fatto senza precedenti nella storia elettorale americana. Il 59 per cento dei “registered voters”, ossia degli elettori abilitati al voto, ha espresso disapprovazione nei confronti di Hillary Clinton ed il 60 per cento per Donald Trump. Il quoziente di disapprovazione più marcato nel secolo scorso fu il 47 per cento espresso nei confronti del candidato repubblicano Barry Goldwater nel 1964. In quell’anno elettorale stravinse Lyndon Johnson con il 79 per cento di approvazione popolare.
Per un osservatore esterno, segnatamente un europeo, la constatazione più sconcertante non può che essere questa: in una congiuntura internazionale che si sta facendo sempre più drammatica per il pericolo di uno scontro diretto tra Stati Uniti e Russia nella Siria dilaniata da un orrendo conflitto, gli elettori americani non sono in grado di giudicare il corso degli eventi ed il coinvolgimento degli Stati Uniti perché i media sono in preda ad un’ossessiva ricerca di donne disposte a testimoniare che Donald Trump le aveva palpeggiate commettendo una interminabile serie di “assalti sessuali” nei loro confronti. Tutto quello che gli Americani possono leggere sulla Siria è che Putin e la Russia intensificano il conflitto ed ostacolano gli sforzi degli Stati Uniti di distruggere i terroristi dell’ISIS. Ben poco viene detto o scritto delle crescenti tensioni con la Turchia che ha preso a bombardare le forze curde che sono le uniche unità combattenti affidabili nella lotta contro l’ISIS. In compenso, possono ascoltare più volte nel corso della giornata la registrazione del dialogo tra Trump e Billy Bush, un cronista mondano, in cui il magnate immobiliare si vantava di poter toccare in qualsiasi momento le pudenda di qualsiasi ragazza.
Che Donald Trump sia un personaggio buffonesco, la cui incompetenza fa temere quegli americani che hanno a cuore gli interessi nazionali, è fuori discussione. Ma l’ossessiva copertura mediatica (basti pensare alle rivelazioni secondo cui Trump entrava disinvoltamente nei camerini delle ignude concorrenti ad un concorso di bellezza) ha avuto l’increscioso effetto di sopprimere ogni seria discussione tra i candidati presidenziali di temi che assillano l’umanità, come il “global warming” o cambiamento climatico che dir si voglia, la crescente diseguaglianza che crea poveri anche nei Paesi più ricchi, ed in America il futuro degli “entitlements” ovvero dei programmi sociali, la riforma dei finanziamenti elettorali sempre più incontrollabili, e infine le relazioni razziali, che in un linguaggio dettato da una falsa parità occultano la pesante eredità di “razzismo”. Donald Trump paga le conseguenze del cosiddetto “pile on”, ossia dell’accumularsi delle accuse di “assalti sessuali” ma anche della sua sprovveduta reazione a tali accuse, a cominciare dal pervicace patetico diniego che non ha avuto altro effetto che incoraggiare la stampa e la televisione a scovare nuove fonti di denuncia di abusi sessuali. Chiamare in causa gli abusi di Bill Clinton, non importa quanto numerosi e ampiamente documentati, non ha aiutato la causa di Donald.
Trump avrebbe dovuto e potuto limitare i danni facendo quello che ha fatto la sua avversaria Hillary quando WikiLeaks ha sciorinato una sequela di messaggi e.mail che hanno messo in pubblico i panni sporchi della candidata democratica e della sua macchina elettorale, in particolare quelli del responsabile dell’organizzazione, il suo Rasputin John Podesta. Hillary e Podesta non hanno negato né confermato l’autenticità dei documenti pubblicati da WikiLeaks, ma hanno imputato le rivelazioni agli hackers russi ed al loro presidente Putin. Putin è divenuto quindi il bersaglio preferito di Hillary anche perché Trump ha riservato al presidente russo un trattamento di favore dicendosi tra l’altro disposto, qualora venisse eletto, ad incontrarlo. Podesta ha accusato apertamente Putin di fare di tutto per far eleggere Trump ed Hillary ha rincarato la dose definendo Trump, nel corso del terzo dibattito televisivo, un “puppet” ossia un fantoccio di Putin. La stampa però si è guardata bene dal segnalare che lo stesso Podesta, già capo dello staff del Presidente Clinton, era stato uno dei promotori della politica di “reset” verso la Russia nonché membro del consiglio di amministrazione di Joule Unlimited, attiva nel campo dell’energia solare, i cui investimenti erano garantiti dal governo russo. Successivamente, prima di tornare alla Casa Bianca, Podesta chiedeva che le sue azioni Joule venissero conferite ad un fondo (Leonidio Holdings) con il quale manteneva comunque un rapporto, come svelano documenti relativi a spese legali scovati e pubblicati da WikiLeaks. In parole povere, c’è il sospetto che Podesta sia ricorso a sotterfugi per coprire possibili conflitti di interesse. Dal canto suo, l’organizzazione elettorale di Clinton non ha consentito interviste con Podesta e la stampa in generale non si è preoccupata di farlo, trattandosi – a dire della stessa organizzazione – di una vecchia storia. Adesso però risulta che non è una “vecchia storia” il video di ammissioni sessuali di Trump che risale al 2004.
Non meno interessanti sono le rivelazioni di WikiLeaks circa gli stretti rapporti di John Podesta con giornalisti di quotidiani e reti televisive. In particolare, WikiLeaks rivela che una rete televisiva riceveva da lui suggerimenti circa le domande da porre a Trump; il New York Times forniva all’organizzazione di Clinton il testo di articoli che sarebbero apparsi sul giornale all’indomani; una collaboratrice di Clinton (Donna Brazile) forniva all’organizzazione della Clinton le domande che sarebbero state rivolte nel dibattito televisivo da un moderatore della rete CNN; ed infine, gli scambi di messaggi con lo stesso New York Times al fine di concordare gli attacchi a Trump.
Prima di Trump, la vittima degli attacchi coordinati della campagna di Hillary era stato il suo avversario nelle primarie Bernie Sanders, oggetto di costante vituperio da parte di John Podesta e soci. La massiccia pubblicazione di quasi duemila messaggi e.mail di Podesta rivela che a Sanders era stato affibbiato il nomignolo di “doofus” – ovvero uno stupido, prototipo di una beata ignoranza – per aver criticato la conferenza climatica di Parigi come “non sufficientemente coraggiosa”. WikiLeaks aveva inoltre documentato un gran numero di interventi, in pratica colpi bassi, dello stesso Podesta volti a convincere molti esponenti politici, tra i quali un noto afro-americano, a ritirare il loro appoggio a Sanders.
La “sorpresa di Ottobre” promessa da WikiLeaks ha di fatto portato alla luce non meno di 50.000 messaggi e.mail che ipoteticamente avrebbero dovuto danneggiare pesantemente la campagna elettorale di Hillary Clinton. Qualche effetto in realtà lo avevano avuto nella fase conclusiva della campagna delle primarie quando l’apparenza di collusione ai danni di Sanders tra la responsabile del Comitato Nazionale Democratico Debbie Wesserman e l’organizzazione elettorale di Hillary aveva portato alle dimissioni della stessa Wesserman. I fedeli di Sanders, che avevano protestato a gran voce, furono definiti “folli teorici del complotto” dai portavoce di Hillary e la provenienza degli e.mail incriminanti fu prontamente attribuita a Putin.
I Millennials – i giovani tra i 18 e 29 anni, in maggioranza tenaci sostenitori di Bernie – certamente non dimenticheranno. Si prevede che il 26 per cento di loro voterà per il candidato indipendente Gary Johnson ed il 10 per cento per l’altra indipendente, Jill Stein. Stando peraltro alle previsioni, Hillary dovrebbe spuntarla anche senza il sostegno dei Millennials. Ma è illuminante quel che ha scritto una giovane Millennial in un lungo post con cui annuncia che voterà per Jill Stein: “un voto per Hillary è come osservare qualcuno che sputa nel piatto da cui mangiamo e che dice che dobbiamo mangiare in ogni caso perché l’altro piatto contiene veleno per topi”. Non è un paragone edificante ma di edificante in questa campagna elettorale c’è molto poco. Un osservatore senza nome ha riassunto la situazione in questi termini: la stampa “corporativa” è stata messa alla berlina come corrotta e mendace, mentre i razzisti della destra sono stati smascherati dalla campagna di Donald Trump. Questa constatazione è quanto basta perché l’elezione presidenziale del 2016 passi alla storia come una delle peggiori, polarizzante e destabilizzante, nella democratica e civile America.
(1) Herman E.S., Chomsky N. (1988), Manufacturing Consent: The Political Economy of the Mass Media, Pantheon Books.
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