Una cosa è certa nello sconvolgente finale della maratona presidenziale americana: sarà un cliffhanger, un esito in bilico all’insegna del suspense
E dire che fino a due settimane fa i media americani prospettavano una vittoria a valanga per Hillary Clinton. Nessuno poteva lontanamente immaginare che la controversia attorno ai famigerati e.mail della candidata democratica sarebbe esplosa con effetti dirompenti sulla campagna elettorale sapientemente gestita dalla macchina elettorale dei Clinton. L’effetto detonante della lettera del capo dello FBI James Comey è tale non solo da gettare lo scompiglio nelle battute conclusive della contesa presidenziale, ma da accentuare il “breakdown” ossia il collasso del sistema partitico degli Stati Uniti, come preconizza in tono quasi apocalittico l’eminente politologo Larry Diamond. È un finale tanto più dirompente, oltre che bizzarro, per il fatto che l’intervento di Comey è dovuto all’esame del computer di un personaggio di scarsa moralità e di nessun rilievo, l’ex congressman democratico, a suo tempo candidato al municipio di New York, Anthony Wiener, già marito della donna che da anni è il braccio destro di Hillary, Huma Abedin. Tutto è partito infatti da quel laptop che conteneva messaggi lascivi dello stesso Wiener ad una ragazza quindicenne. Sfortunatamente per Hillary, la sua assistente Abedin condivideva quel laptop con il marito e, quel che peggio, se ne serviva per trasmettere e ricevere messaggi che in un modo o nell’altro avevano a che fare con affari di stato. Questi e.mail sono finiti nelle mani dello FBI che indagava sull’apparente turpitudine di Anthony Wiener.
Il massiccio spiegamento della stampa pro Clinton ha sparato a zero sul capo dello FBI accusandolo di essere venuto meno ai suoi doveri e di avere ignorato le disposizioni dei suoi superiori al Dipartimento della Giustizia secondo cui lo FBI non dovrebbe rilasciare dichiarazioni a sfondo politico entro sessanta giorni dall’elezione. Nel clima di frenetica irresponsabilità che ha caratterizzato l’annata elettorale, il leader democratico del Senato Harry Reid ha accusato Comey di aver celato le informazioni circa un presunto “coordinamento” tra il candidato repubblicano Trump ed il governo sovietico. In sintesi, Comey avrebbe commesso un grave abuso a beneficio di Trump avendo fatto scoppiare la bomba senza sapere esattamente quel che contenevano gli e.mail incriminati. Da parte loro, i repubblicani hanno intensificato le loro accuse al Dipartimento della Giustizia, ed all’Attorney General Loretta Lynch in particolare, per non avere affidato a suo tempo l’indagine sugli e.mail di Hillary ad un gran giurì. Né è mancato un attacco diretto alla Lynch per aver incontrato l’ex presidente Bill Clinton in un aereo presso l’aeroporto di Phoenix per una conversazione che veniva immediatamente bollata come conflitto di interessi.
Gli sconcertanti sviluppi della campagna elettorale che tirano in causa un dicastero fondamentale come quello della Giustizia, dal quale dipende per l’appunto lo FBI, non potevano che approfondire la pubblica sfiducia nelle istituzioni nazionali che secondo l’organizzazione demoscopica Gallup ha toccato il punto più basso da cinquanta anni a questa parte. Il corso degli ultimi drammatici eventi non può che favorire la candidatura di Donald Trump, che ha cavalcato con successo l’esigenza di un “cambio” nel governo e nello establishment dell’America. È una narrativa che una parte sostanziale dell’elettorato condivide e che si è imposta chiaramente nel preludio delle elezioni primarie mettendo vento in poppa alla candidatura di un dilettante della politica quale è Donald Trump.
Un altro aspetto sconcertante di questa tornata elettorale in America è il vittimismo. I suoi protagonisti si atteggiano a vittime in una panoplia di episodi che nella maggioranza dei casi hanno ben poco a che vedere con le loro attività politiche e le loro convinzioni ideologiche mentre mettono in piazza riprovevoli comportamenti sessuali, come quelli del misogino Donald, e sospetti di collusione di Hillary con le potenze finanziarie di Wall Street fino a possibili intrallazzi per portare acqua al molino della Clinton Foundation. Non stupisce quindi che un personaggio come Comey sia passato in poco tempo dal ruolo di eroe - per aver annunciato nello scorso luglio la decisione di non chiedere al Dipartimento della Giustizia di procedere nei confronti di Hillary ad onta della “estrema negligenza” con cui aveva gestito la corrispondenza e.mail - a quello di vile guastatore per aver comunicato al Congresso l’esistenza di 65.000 messaggi e.mail concernenti in gran parte attività sub rosa della stessa Clinton. Paradossalmente, sembra che a violare la legge sia stato James Comey e non Hillary Clinton.
A pochi giorni dall’8 Novembre, non è affatto chiaro se la valanga di rivelazioni anti-Clinton di WikiLeaks e il colpo di scena ad opera di Comey siano sufficienti a negare ad Hillary la vittoria nella corsa alla Casa Bianca. Certo è comunque, come notato in apertura, che non sarà una valanga. Chiunque prevalga, si tratterà sicuramente di uno scarto minimo, un risultato che comporterà pesanti e negative ripercussioni sulla capacità del vincitore di governare gli Stati Uniti.
Non vi è dubbio peraltro che l’iniziativa di Comey abbia arrecato un certo danno alle probabilità di elezione di Hillary. Lo evidenzia del resto un sondaggio del Washington Post-ABC News secondo il quale il 34 per cento dei probabili elettori si è dichiarato “meno disposto” a votare per Hillary in conseguenza della bomba Comey. Per contro, va tenuto conto che la metà di tali elettori è repubblicana o favorevole ai repubblicani. Resta il fatto che l’altra metà è di tendenza democratica. Non è ancora possibile conoscere gli effetti sugli elettori indipendenti, che per la verità costituiscono ormai una percentuale assai bassa dell’elettorato americano. Di certo, se Hillary dovesse perdere le elezioni, i suoi sostenitori non mancherebbero di attribuire la sconfitta alla decisione del capo dello FBI, per non parlare della possibilità, peraltro improbabile, che le indagini portino al rinvio a giudizio della Clinton. Qualora Hillary dovesse risultare eletta, un eventuale rinvio a giudizio spalancherebbe le porte ad una grave crisi costituzionale, precipitando una situazione caotica all’interno della nazione. Dinanzi ad una simile catastrofica prospettiva, vi è chi suggerisce che il Presidente Obama muova l’inusitato passo di concedere il condono totale a beneficio di Hillary Clinton per l’eventuale reato di compromissione di dati concernenti la sicurezza nazionale. Qualora Obama dovesse decidere in tal senso, verrebbe eliminata una volta per tutte la spada di Damocle che grava su Hillary, quella di aver violato lo Espionage Act e, specificamente, gli statuti federali che regolano il trattamento di dati. Stando allo FBI, 113 messaggi “classificati”, in pratica segreti, erano stati trasmessi in modo del tutto irregolare. Ed ancora, un eventuale procedimento giudiziario potrebbe coinvolgere i destinatari di tali messaggi, in primo luogo personalità politiche e diplomatiche. Gli e.mail di Hillary passerebbero insomma alla storia come i famigerati tapes di Richard Nixon, che portarono alle sue dimissioni dalla presidenza.
La convulsa congiuntura alla soglia dell’elezione presidenziale presenta un contraltare altrettanto denso di insidie nel campo repubblicano, il cui candidato ha ripetutamente dato sfogo ad oscure minacce motivate dal convincimento che il sistema sia “truccato” a suo sfavore. Di conseguenza, i sostenitori di Trump potrebbero non accettare la legittimità dell’elezione di Hillary Clinton. Donald Trump soffia da tempo sull’insurrezione dei suoi elettori esortandoli a non permettere che Hillary “porti i suoi schemi criminosi nello studio ovale”. Gli elettori sono ora chiamati a decidere se – come afferma Trump – le “azioni criminali di Hillary erano deliberate e intenzionali”, oppure se riveste maggior valore quanto accertato in un primo momento dallo FBI, secondo cui Hillary “non intendeva violare le leggi” concernenti informazioni “classificate”. Su questa contrapposizione si gioca l’esito della consultazione presidenziale. In pratica, questa ormai è un’elezione che verte sulla credibilità di Hillary Clinton come depositaria dei segreti nazionali, non già sul valore dei suoi programmi elettorali, e meno ancora sul giudizio che Hillary invoca circa la pericolosità di Trump una volta che questi dovesse entrare in possesso dei codici nucleari. Di fatto, l’incognita non è tanto Donald Trump e la sua presa su un elettorato economicamente e socialmente depresso, ma l’incertezza e lo sfavore che circondano la figura di una donna, la prima che in America sia giunta con tanta abilità politica e grinta senza scrupoli alle soglie della Casa Bianca.
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