1. È di questi giorni la notizia che la procura di Trani ha aperto un’indagine per accertare se esista un qualche nesso causale tra la somministrazione del vaccino pediatrico detto “trivalente” (efficace contro morbillo, parotite e rosolia), e l’insorgenza di gravi disturbi come l’autismo e il diabete mellito.
L’indagine, che coinvolgerà anche le case farmaceutiche che producono il vaccino, è partita a seguito della denuncia dei genitori di due bambini a cui sarebbe stata diagnosticata una “sindrome autistica ad insorgenza post-vaccinale”. L’ipotesi della relazione tra vaccinazioni pediatriche e sindromi dello spettro autistico non è certo nuova: non solo da molti anni è una tesi diffusa e difesa su blog e siti internet, ma anche alcuni tribunali hanno riconosciuto possibili nessi causali tra somministrazioni vaccinali e insorgenza di patologie autistiche, e questo malgrado il parere decisamente contrario della comunità scientifica e delle istituzioni mediche competenti come l’Organizzazione Mondiale della Sanità.
Per valutare in che modo occorre trattare questa spinosa e potenzialmente esplosiva questione bisogna ragionare su due aspetti cruciali. Il primo riguarda le evidenze scientifiche su cui si basa l’ipotesi per cui il vaccino trivalente possa effettivamente avere conseguenze tanto disastrose e, di conseguenza, il giudizio che dobbiamo dare all’iniziativa della procura di Trani. Il secondo, invece, ha un carattere più distintamente normativo e riguarda la possibilità di rendere il vaccino trivalente obbligatorio per tutti i bambini. Poiché ad oggi in Italia il vaccino trivalente è gratuito, ma opzionale, è necessario chiedersi quali sono i principi che giustificano tale non obbligatorietà e se sono legittimi.
2. Il primo problema, quindi, riguarda i fatti che abbiamo a disposizione per giudicare l’ipotesi che la procura di Trani sta cercando di verificare. Per fare luce sulla questione è forse utile partire da uno studio del 1998, portato avanti dal medico inglese Andrew Wakefield e pubblicato da The Lancet, una delle riveste mediche più importanti al mondo.
Per il suo studio, Wakefield prese in esame un gruppo di dodici bambini che sembravano avere sviluppato alcuni marcati disturbi del comportamento dopo aver ricevuto la somministrazione del vaccino contro la rosolia. In particolare, Wakefield riscontrò nei bambini protagonisti dello studio seri problemi di natura intestinale e, attraverso esami endoscopici e biopsie, arrivò a ipotizzare una correlazione tra questi disturbi e il vaccino trivalente, individuando una sorta di nuova sindrome da lui chiamata esplicitamente “enterocolite autistica”. L’intento di Wakefield era quello di mostrare come la connessione tra autismo e patologie gastrointestinali fosse reale, sebbene non ci fossero prove che il vaccino provocasse l’autismo. Così, a partire da questa considerazioni, Wakefield propose di scorporare i tre vaccini e di somministrarli individualmente. Da lì si originò la grande paura nei confronti del vaccino trivalente. Ma questa paura è davvero giustificata?
Il problema con lo studio di Wakefield, esploso politicamente solo nel 2002 coinvolgendo anche il primo ministro britannico Tony Blair che non volle rivelare se il figlio Leo, con disturbi dello spettro autistico, fosse stato sottoposto al vaccino, è che si tratta di un falso scientifico. Accertamenti sul lavoro di Wakefield hanno appurato non solo che le evidenze scientifiche su cui si basa lo studio sono state manipolate nel corso delle analisi, falsando alcuni dati e omettendone altri al solo fine di dimostrare la connessione tra autismo e vaccino, ma anche il multiplo conflitto di interessi che il medico aveva rispetto alla ricerca. Una inchiesta di Brian Deer, giornalista del Sunday Times, ha dimostrato che Wakefield ricevette 55.000 sterline da un gruppo di persone che desideravano provare la dannosità del vaccino contro la rosolia per poter vincere una causa legale in atto. In conseguenza di queste scoperte, Wakefield è stato radiato dal General Medical Council, così da dover rinunciare all’esercizio della professione medica, e la sua ricerca è stata definitivamente ritirata dalla liste delle pubblicazioni di The Lancet, che ne ha rinnegato l’apparizione sulle sue pagine.
Sebbene la verità sullo studio di Wakefield sia emersa nel corso del tempo, il clamore che ha suscitato non è certo rimasto senza conseguenze, soprattutto a livello mediatico e sociale. Quella del rapporto tra vaccino trivalente e autismo è stata, infatti, la notizia scientifica maggiormente citata e dibattuta sui giornali, in particolare di lingua inglese, negli ultimi anni. Nel 2002 sono apparsi 1.257 articoli sulla questione scritti principalmente da non-esperti e conferenze stampa e video sull’argomento hanno innescato un complicato dibattito e soprattutto una paura generalizzata nei confronti dei vaccini. Il caso più eclatante a prova di questo timore è rappresentato dal Giappone che, dopo aver reso le vaccinazioni per rosolia e morbillo non obbligatorie per paura di eventuali effetti collaterali, soffre di epidemie ricorrenti di morbillo, una malattia infettiva altamente contagiosa che ha causato 122mila morti nel mondo solo nel 2012. Tra l’altro, a ulteriore riprova della inconsistenza della tesi di Wakefield, è importante sapere che in Giappone la diminuzione di bambini vaccinati non ha affatto portato alla diminuzione delle diagnosi di autismo; anzi, il numero di casi di autismo è assolutamente simile a quello dei paesi in cui il vaccino si utilizza. Per essere precisi, è importante notare come le diagnosi di autismo sono effettivamente aumentate dappertutto nel mondo, ma questo non certo perché ci sia stato un aumento di paesi in cui i vaccini sono stati resi obbligatori. Piuttosto, i disturbi dello spettro autistico (che sono tanti, diversi e difficilmente catalogabili sotto l’etichetta unica e poco significativa di “autismo”) sono cresciuti negli ultimi anni semplicemente perché, da un lato, vi è una maggiore attenzione nei confronti di questo tipi di problemi; dall’altro, i criteri con cui vengono valutati i casi sono cambiati rendendo l’individuazione di tali problemi più efficace rispetto al passato.
Dati questi elementi oggettivi e le prove scientifiche che hanno smentito e sbugiardato la ricerca di Wakefield del 1998, sembra davvero che il ricorso della procura di Trani sia un tentativo di ricerca di attenzione su un tema angoscioso per molti cittadini. In un paese come il nostro, in cui stiamo ancora aspettando una sentenza definitiva nei confronti del progetto Stamina, una iniziativa giudiziaria come questa non può non suscitare qualche dubbio o sospetto. È lecito infatti domandarsi se la decisione di aprire l’inchiesta sia stata dettata, più che da reali prove sulla nocività del vaccino trivalente, da pure e semplici esigenze di visibilità. Senza contare che dubbi e sospetti non possono che rafforzarsi nel momento in cui il sostituto procuratore responsabile dell’inchiesta partecipa ad un dibattito pubblico con un noto medico anti-vaccini, il quale invita genitori di figli autistici a rivolgersi al Pm per accertare la responsabilità della malattia dei bambini. Questa non è una questione secondaria, se si pensa ai rischi che l’iniziativa comporta. Contribuire ad aumentare la sfiducia nei confronti di uno strumento di protezione e controllo delle malattie infettive è non solo grave dal punto di vista morale, ma anche pericoloso da quello sociale e collettivo.
3. E dal punto di vista normativo? In Italia le vaccinazioni obbligatorie sono solo quattro: difterite, tetano, poliomielite ed epatite B. Le altre vaccinazioni, comprese quella trivalente, sono a discrezione dei genitori o delle persone stesse, qualora arrivino all’età adulta senza aver contratto le malattie. Ma è giusto che il vaccino contro la rosolia sia non obbligatorio e solo caldamente consigliato dalla Società Italiana di Pediatria, che ha sempre rivendicato con durezza l’inesistenza di un legame tra vaccino e autismo?
La non obbligatorietà del vaccino trivalente si fonda su una considerazione di stampo liberale e di carattere fortemente anti-paternalista: ciascuno dovrebbe poter scegliere a quali cure sottoporsi, senza la guida o il consiglio di altri, in particolare dello stato. E del resto il comma 2 dell’articolo 32 della Costituzione Italiana dice esplicitamente che “nessuno può essere obbligato a un determinato trattamento sanitario se non per disposizione di legge. La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”. Sebbene l’idea che debba essere tutelata la libertà di ciascuno di decidere a quali cure sottoporsi appaia giusta, nel caso dei vaccini la questione è molto più complicata perché i soggetti in gioco sono dei minori che non possono decidere in modo autonomo. La domanda che dobbiamo porci diventa quindi: chi deve decidere se i bambini debbano ricevere il vaccino trivalente?
Nonostante non si possa mettere in dubbio la responsabilità dei genitori nelle scelte di tutela della salute dei figli, è lo stato, in ultima istanza, il garante della salute e dell’interesse dei minori. Inoltre, lo stato ha il dovere di tutelare la salute pubblica e mantenere così un alto tasso di immunizzazione. L’unico criterio adatto per dirimere la questione se i vaccini debbano essere obbligatori e, quindi, una intrusione dello stato nella autonomia decisionale dei cittadini-genitori sia legittima, è il principio del danno difeso da John Stuart Mill. L’idea è che a ciascun individuo debba essere accordata la maggiore libertà possibile fin tanto che questo non comporti un danno per gli altri. Solo in questo caso, lo stato può legittimamente intervenire limitando la libertà dei cittadini. Per fare un esempio pratico che sia di aiuto a comprendere il nostro caso, Mill dice esplicitamente che lo stato non può condannare condotte riprovevoli perché autolesive, come potrebbe essere quella di un alcolizzato. Allo stesso tempo, però, se a bere in modo eccessivo e patologico è un padre di famiglia che, a causa di tale condotta, non riesce a provvedere ai bisogni dei propri figli, allora lo stato deve intervenire a tutela dei minori. Il caso dei vaccini è analogo. Qualora infatti la percentuale delle persone vaccinate diminuisse, come sta già accadendo dato che tra il 2010 e il 2012 si è passati dal 90,5% all’89,2% dei bambini vaccinati, il rischio di una epidemia aumenterebbe sensibilmente. Per capire il danno che potrebbe scaturire da un non tempestivo intervento normativo è sufficiente pensare che tra ottobre 2010 e dicembre 2011 ci sono stati in Italia 5.568 casi di morbillo. In un caso il paziente è morto e cinque hanno subito complicazioni gravi. Inoltre, 1.300 casi hanno richiesto cure ospedaliere, con costi per la sanità pubblica che sarebbero stati evitati con un semplice vaccino. Dato il principio del danno, sembra necessario mantenere una soglia elevata di immunizzazione non solo per prevenire il rischio, anche solo potenziale, di mettere a repentaglio la salute individuale, ma anche per non addossare alla collettività un costo in termini di prestazioni mediche eccessivamente gravoso.
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