Con l’art. 255 del D.L. 18 ottobre 2012, n. 179 (c.d. “Decreto crescita-bis”) il legislatore ha introdotto uno speciale regime fiscale per alcune imprese, definite “start-up innovative”, e per i soci delle stesse. Tale regime è stato poi oggetto di successive modifiche, ad opera dell’art. 4 del D.L. 24 gennaio 2015, n. 3, il quale ha inoltre esteso le agevolazioni citate ad un’altra categoria di imprese, le “piccole e medie imprese innovative” o “PMI innovative”.
Il regime riservato alle start-up innovative prevede numerose agevolazioni in materia fiscale e del lavoro, nonché semplificazioni e deroghe alle discipline del diritto societario e fallimentare.
L’agevolazione fiscale
Tra le misure di carattere fiscale, particolare importanza hanno le disposizioni agevolative riservate agli investitori nel capitale delle start-up innovative, le quali trovano applicazione per il periodo 2013-2016. Tuttavia, nonostante il 2016 rappresenti l’ultimo anno (salvo eventuali proroghe) in cui è possibile effettuare investimenti che possono beneficiare delle agevolazioni fiscali illustrate nel prosieguo, sembrano ancora esservi significativi problemi e questioni controverse che potrebbero limitare sensibilmente l’appeal dell’agevolazione in parola.
Il beneficio fiscale è correlato ai conferimenti in denaro effettuati sia in sede di costituzione della start-up innovativa sia in sede di aumento di capitale sociale in caso di società già costituite.
Nello specifico, le agevolazioni trovano applicazione nel caso di:
- conferimenti in denaro (non in natura) iscritti alla voce capitale sociale e riserva da sovrapprezzo delle start-up innovative o delle società di capitali che investono prevalentemente in start-up innovative;
- conferimenti derivanti dalla conversione di obbligazioni convertibili in azioni o quote di nuova emissione;
- investimenti in quote degli organismi di investimento collettivo del risparmio (OICR) che investono prevalentemente in start-up innovative.
Non sono agevolabili i conferimenti effettuati dai soggetti che esercitano un’influenza notevole sulla start-up innovativa, ossia da coloro che già possiedono nelle start-up innovative oggetto dell’investimento partecipazioni superiori al 30%, in termini di diritti di voto esercitabili nell’assemblea ordinaria o di partecipazione al capitale o di patrimonio dell’azienda.
Per i soggetti passivi IRPEF (i.e. persone fisiche), l’agevolazione consiste in una detrazione dall’IRPEF lorda pari al 19% della somma investita nel capitale sociale di una o più start-up innovative.
La percentuale è elevata al 25% nel caso di investimenti in start-up innovative a vocazione sociale o in start-up innovative che sviluppano e commercializzano esclusivamente prodotti o servizi innovativi ad alto valore tecnologico in ambito energetico.
L’investimento massimo su cui calcolare la detrazione non può eccedere l’importo di 500.000 euro.
Con riferimento ai soggetti IRES (i.e. persone giuridiche), il beneficio consiste invece in una deduzione dal reddito imponibile pari al 20% dei conferimenti rilevanti.
La deduzione è aumentata al 27% nel caso in cui l’investimento venga effettuato in start-up innovative a vocazione sociale e del settore energetico.
In ogni caso, l’investimento massimo deducibile non può comunque eccedere l’importo di 1,8 milioni di euro.
Qualora la deduzione sia di ammontare superiore al reddito complessivo dichiarato, l’eccedenza può essere computata in aumento dell’importo deducibile dal reddito complessivo dei periodi di imposta successivi, ma non oltre il terzo, fino a concorrenza del suo ammontare.
Si tenga presente che, sorprendentemente, non possono beneficiare dell’agevolazione in esame le start-up innovative stesse che intendano effettuare investimenti in altre start-up innovative.
Nuove regole per incentivare gli investimenti
Con decreto interministeriale, firmato dal Ministero dell’Economia e delle Finanze e dal Ministero dello Sviluppo Economico in data 25 febbraio 2016, il legislatore ha introdotto ulteriori nuove regole circa le agevolazioni in esame.
Tra le innovazioni di maggior rilievo introdotte con il nuovo decreto rispetto alla precedente disciplina si segnalano:
- la sopramenzionata estensione delle agevolazioni al 2016;
- l’aumento da 2,5 a 15 milioni di euro della soglia massima di investimenti ammissibili che ciascuna start-up innovativa può ricevere in ciascun periodo di imposta;
- l’aumento da 2 a 3 anni del periodo minimo di durata dell’investimento al fine di poter accedere all’agevolazione.
Conclusioni
Alla luce di quanto sin qui rilevato, emerge che solo una parte delle misure a favore delle start-up innovative può avere un impatto significativo.
Al di là delle perplessità in ordine alla ragionevolezza del metodo seguito dal legislatore – che, in sostanza, ha concentrato i vantaggi fiscali su soggetti diversi dalla start-up – resta fermo che il regime in esame è stato calato in un sistema oggettivamente non competitivo, non solo in considerazione della misura della pressione fiscale, ma anche alla luce della sua farraginosità e variabilità, elementi che finiscono con il disincentivare gli investimenti.
Forse – quantomeno sul versante fiscale – pur senza aver la presunzione di raggiungere gli obiettivi, indicati dal legislatore, di «crescita sostenibile, sviluppo tecnologico, nuova imprenditorialità e occupazione, in particolare giovanile, con riguardo alle imprese start-up innovative», sarebbe stato maggiormente semplice ed efficace intervenire su aliquote di ammortamento dei beni, materiali ed immateriali, a «vocazione tecnologica»; sul regime di deduzione degli interessi passivi (che sovente sono sostenuti per finanziare l’investimento in beni strumentali); e sulla tassazione delle plusvalenze reinvestiste nell’acquisto di beni strumentali.
Da ultimo, l’introduzione di un ulteriore limite quantitativo da parte del Decreto attuativo appare essere difficilmente giustificabile, stante il fatto che vi sono già precisi limiti quantitativi in capo agli investitori circa l’ammontare massimo del conferimento agevolabile. Pertanto, la soglia introdotta con il citato Decreto rischia di rappresentare un disincentivo all’investimento in quelle start-up che hanno una maggiore necessità di risorse. Ciò potrebbe essere controproducente poiché agevolerebbe indirettamente una sorta di “nanismo” di tali imprese, che potrebbero essere dissuase dal raccogliere risorse aggiuntive da investitori terzi ove esse fossero superiori ai limiti previsti dalla norma, con conseguente ed inevitabile necessità di ricorrere al capitale di debito.
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